Lui è un pianista jazz.  Lei aspira a recitare. Insieme reinterpretano ?il tema del musical. ?Senza nostalgia

Il musical cinematografico è un genere defunto da mezzo secolo, che nella memoria ricorda, più di altri, un’età fascinosa e sognante. Chazelle, regista abilissimo e non sempre simpatico (“Whiplash”), è l’unico da molti anni a questa parte a saper davvero girare i numeri musicali: a differenza ad esempio di “Chicago”, non bara con frenesie di montaggio, dettagli e controfigure, ma inquadra a figura intera, volteggia in sinuosi movimenti di macchina e fa ballare i due protagonisti Ryan Gosling ed Emma Stone, che non saranno Astaire & Rogers, ma ce la mettono tutta.

Che Chazelle voglia far vedere quanto è bravo, è chiaro dalle prime scene: un numero ballatissimo in (quasi) piano-sequenza in cui gli automobilisti, bloccati nel traffico di Los Angeles, scendono dalle auto e si mettono a ballare. E poi un accenno di monologo di Emma Stone, aspirante attrice, che proprio mentre stiamo per pensare: «Oh, quanto è brava», viene interrotto senza pietà (il monologo è una recita, un regista che le sta facendo un provino). Il senso del film, in fondo, è chiaro già in queste due scene. Il contrasto continuo tra realtà e sogno, da sempre il tema del musical, qui viene giocato in equilibrio tra malinconia ed energia, tra (avrebbe detto Truffaut) la gioia e la tristezza di fare cinema.

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La trama la conosciamo passo passo, è quella di mille altri film: lui è un pianista jazz sfigato che non accetta compromessi, lei vuol fare l’attrice. Poi per lui arriva il successo, e per la coppia la crisi (è la parte più debole del film, inevitabilmente); ma nel finale arriverà un colpo di grande astuzia del regista. Che è anche un limpido teorico di quel che fa, e usa criticamente l’inevitabile tono nostalgico dell’operazione: rifare quel cinema è impossibile, si balla sempre con il retropensiero di non poter credere davvero al sogno.