Più che una rondine, un’araba fenice. Quest’anno, ad apertura di stagione, ?il 17 ottobre, l’Opera di Firenze onora “La Rondine” di Puccini, a cent’anni dalla sua prima rappresentazione.
Un capolavoro che non ha mai conosciuto un vero successo di pubblico, nonostante l’esito positivo della prima esecuzione. Concepita inizialmente come operetta destinata ?a Vienna, la sua messa in scena fu bloccata dallo scoppio della prima guerra mondiale. L’autore decise allora di farne un’opera in piena regola.
Denis Krief ci racconta il suo allestimento, di cui firma regia, scene e costumi: «Sono molto contento di come è andata la sua preparazione. Ho avuto tutti i cantanti a disposizione nello stesso tempo per provare. Se non fosse stato così, non avrei accettato l’incarico». Come è solito fare, ?nel completo rispetto del libretto.
«Certamente. È molto più facile tagliare tutto», o parecchio, come fanno molti suoi colleghi. Con Puccini, il regista, ?ha un rapporto ventennale. «Ho già affrontato “Turandot” in diverse occasioni. Nella musica ho trovato molti fili sottili che legano le due opere: l’influenza di Debussy nei recitativo, ad esempio. E nella mia messa ?in scena noterà poi come, quando appare il “tema del paravento”, questo ci rimanda alle tipiche “cineserie” turandotiane».
È stato intrigante lavorare per quest’opera? «È una meravigliosa commedia malinconica. Dove, penso, ci sia ben poco di viennese. Piuttosto mi sono rivolto, nella sua ambientazione, a Parigi o addirittura a Hollywood. Puccini vi ha avuto la premonizione di quella che poi sarà la grande commedia sofisticata alla Lubitsch. Un filone che a Vienna arrivò proprio da Parigi. Nel rileggere il libretto... mi sono leccato i baffi. La musica poi, è straordinaria. Ma perché ancora non si capisce ?che siamo dinanzi a un capolavoro? È un po’ ?il “Rosenkavalier” della cultura italiana. C’è un parallelo che propongo ?fra Richard Strauss e Puccini: entrambi raccontano la nostalgia ?per un mondo che sanno che finirà. ?Al suono del valzer».