Quando si parla di acquisti in rete si tende a focalizzarsi solo sul prezzo di un prodotto. Ma oltre a questo andrebbero presi in considerazione altri elementi. Come il conformismo e la manipolazione dei nostri dati

Seguire una dieta. Cercare lavoro. Trovare casa. Ogni mossa sulla scacchiera della vita è una scelta. Ogni scelta ha un costo. E il costo è determinato da vari fattori, incluse le tecnologie digitali, sempre più influenti quotidianamente. Così è giusto chiedersi: il digitale rende le nostre scelte più o meno costose? Vediamo, seguendo Lucia che vuole comprare una camicia.

Il costo primario della scelta di Lucia è il prezzo della camicia. Qui la storia è nota: aumentando efficienza e competizione, il digitale ha abbassato il prezzo delle nostre scelte in modo significativo. Continuiamo. Per scegliere la camicia, Lucia ha fatto una ricerca online, comparato offerte e alla fine ha scelto un sito web che offre la camicia con uno sconto e a zero costo di spedizione. Queste attività rappresentano un costo secondario, che non è il prezzo della camicia, ma l’onere accessorio legato alla sua scelta, detto overheads. In passato, gli overheads erano rappresentati dal tempo necessario per raggiungere il negozio, dal costo del tragitto e magari del parcheggio, e così via. Oggi il digitale elimina molta della frizione inevitabile nel mondo analogico, riducendo gli overheads delle nostre scelte. È la facilità del “basta un click”. Perciò le aziende si fanno concorrenza non solo sui prezzi delle nostre scelte, ma anche sui costi dell’esperienza nel farle.

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Torniamo a Lucia. La riduzione di costi e overheads si traduce in aspettative e quindi in cultura sociale. Lucia diventa impaziente verso scelte costose, in termini di tempo, attenzione, sforzo mentale, pazienza, sacrificio, e così via. Lascia subito una pagina web che non si apre velocemente o che non si naviga facilmente. Penalizza con una sola stella un’app poco intuitiva. Non finisce di leggere un articolo difficile da capire. Il mantra è semplificare, abbreviare, facilitare. L’usabilità (user-friendliness), se è assunta come unico criterio di scelta, rischia di trasformare il semplice in semplicistico, e diventa pericolosa quando determina univocamente scelte importanti, come in politica, dove la strategia del costo zero con overheads zero è una buona definizione del populismo.

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Non basta. Per facilitare le scelte di Lucia (abbassare i suoi overheads), il digitale cerca di prevederle, e per far questo ha bisogno d’informazioni su Lucia. Il risultato è che Lucia paga una vita più facile, cioè l’abbassamento dei prezzi e degli overheads, in dati personali, e quindi in perdita di privacy. Inoltre, si sa che il modo migliore di prevedere una scelta è forzarla.

In teoria, se il sito web sa quale camicia comprerà Lucia, potrebbe spedirgliela prima ancora che la ordini, prevedendo che sarà lieta di pagarla. In pratica, non potendogliela imporre, gliela suggerisce. Qui subentra la pubblicità persuasiva, che spinge Lucia a fare scelte predeterminate. «Cara Lucia se ti è piaciuta questa camicia potrebbe anche piacerti questa giacca».

E le analisi predittive (predictive analytics), che cercano di anticipare le scelte di Lucia sulla base dei molti dati che lei ha già condiviso. «Cara Lucia questa è la cinta che vorresti acquistare» suggerito a Lucia prima che ancora ci pensi. Oggi una parte significativa dell’intelligenza artificiale commerciale ha lo scopo di gestire e migliorare proprio queste tecnologie della manipolazione delle nostre scelte. L’erosione della privacy e dell’autonomia individuale è parte del costo della scelta della camicia online. C’è infine il “divario digitale”. Se Lucia compra la camicia online, una percentuale maggiore dei costi fissi del negozio in città ricade su Renzo. Gli overheads di Renzo non si abbassano – va ancora in auto ad acquistare la camicia di persona – ma ora la camicia costa di più. A un certo punto anche Renzo decide di fare shopping online. La spirale finisce con la chiusura del negozio.

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Arriviamo al terzo costo di ogni scelta. Si tratta del costo della scelta non fatta, detto costo opportunità. Se Lucia può acquistare o una camicia o dei pantaloni, la scelta della camicia ha come costo opportunità il sacrificio dei pantaloni. E se non acquista niente, dilaziona i suoi costi opportunità. Qui il rapporto con il digitale è più complicato.

Ci sono molti casi nella vita in cui una scelta è obbligatoria, perlomeno di fatto. Respirare non ha alcun costo opportunità, perché non c’è alternativa. Invece lavorare ha come costo opportunità quello di sacrificare una parte del tempo libero. Tuttavia, se Lucia deve per forza lavorare, parlare di costo opportunità diventa ozioso. Ci sono poi meccanismi di scelta come le abitudini, le consuetudini, le routine, le tradizioni che abbattono i costi opportunità limitando artificialmente le alternative. «Non ci devo pensare» «si è sempre fatto così», non lasciare la strada vecchia per la nuova, in altre parole il conservatorismo è un modo semplice ed efficace per ridurre gli overheads e il costo opportunità delle scelte, spesso a scapito di un loro prezzo più alto, perché se le scelte non cambiano la competizione non funziona e i prezzi non scendono.

Si capisce allora che i costi opportunità delle scelte sono direttamente proporzionati ai loro overheads: scegliere tra poche opzioni (basso costo opportunità) costa di meno, in termini di overheads, dello scegliere tra molte opzioni, fino al punto che, se non ho alternative, non ci devo pensare e la scelta è automatica. Il risultato è che nella misura in cui il digitale riduce gli overheads delle nostre scelte, ha anche la tendenza a ridurne i costi opportunità.

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Fine del percorso. La risposta alla domanda iniziale è che il digitale rende le nostre scelte meno costose, che però paghiamo in altro modo. In passato, ci siamo focalizzati sui costi delle nostre scelte intesi come prezzi. Il digitale li riduce. Bene. Oggi, facciamo molta più attenzione anche agli overheads delle nostre scelte, cioè alla fatica impiegata nel farle. Il digitale riduce anche questi costi secondari. Bene anche qui.

Purtroppo, ciò avviene a scapito della ricchezza di alternative, cioè abbassando i costi opportunità. Il digitale genera molte opzioni fisse – che chiamiamo bolle – ma non la flessibilità nell’abitarle, finendo per privilegiare una notevole uniformità e massificazione delle scelte. Male. Oggi la comodità e la facilità si paga in termini di minore privacy, più manipolazione, e maggiore uniformità e insofferenza verso le alternative. La bolla delle informazioni è la parte più visibile della bolla delle scelte.

Dovremmo cambiare strada e muoverci verso una cultura in cui privilegiamo i costi opportunità delle nostre scelte, cioè la presenza di alternative, e quindi la necessità di fare un po’ di lavoro nello scegliere quelle giuste. Perché al digitale piacciono le mosse forzate, totalmente prevedibili, ma sulla scacchiera della vita è meglio fare scelte strategiche aperte e lungimiranti, pensandoci sopra, con un po’ di lavoro, e pronti a cambiare idea in modo flessibile e ragionevole. Con il digitale, vince chi fa la fatica di scegliere con intelligenza.