Magia e fantatecnologia, fisica e pseudoscienza.  Ogni mezzo è buono per cambiare epoca. E i loop temporali conquistano grandi e piccoli schermi. Dall'ultimo Besson a "Passengers", da Woody Allen a Benigni e Troisi di "Non ci resta che piangere"

Sembra un’epidemia. Al cinema non c’è quasi film che non celebri la possibilità di viaggiare nel tempo: tra quelli usciti di recente o in arrivo in questi giorni, la fantascienza di “Passengers” e “Arrival”, la favola gotica di “Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali”, e persino la psicologia disturbata di “T2-Trainspotting” narrano loop temporali. Mentre in giugno scopriremo come Luc Besson abbia trasposto al cinema il classico fumetto di fantascienza “Valérian et Laureline” di Pierre Christin e Jean-Claude Mézières. Besson ha trasformato quella saga nata nel 1967 in “Valérian e la città dei mille pianeti”, kolossal da 170 milioni di euro con Dane DeHaan e Cara Delevingne nei panni degli agenti spaziotemporali le cui avventure si svolgono tra l’anno Mille e il 3412. Nel frattempo, i viaggi nel tempo conquistano i serial televisivi: dopo aver fatto impazzire gli spettatori di “Lost”, sono il filo conduttore principale di serie di successo come “Timeless” e “Outlander”, e hanno ottenuto persino una comparsata in “Game of Thrones” grazie al dono di uno dei personaggi, Bran Stark. Ma andiamo per ordine.

In “Passengers” di Morten Tyldum, la storia d’amore tra Jim Preston (Chris Pratt) e Aurora Lane (Jennifer Lawrence), risvegliati anzitempo dall’ibernazione durante un viaggio interstellare di 120 anni sull’astronave Avalon, è una delle varianti al tema del viaggio nel tempo che il cinema ha affrontato in ogni declinazione, attingendo prima dalla letteratura fantastica e di fantascienza, poi dai fumetti. L’idea che il sonno (magico o criogenico che sia), faccia risvegliare il dormiente in un’altra epoca risale addirittura al 1819, quando Washington Irving pubblica il racconto “Rip van Winkle”, il cui protagonista dorme venti anni, tra il 1770 e il 1790, addormentandosi suddito di George III e risvegliandosi dopo la rivoluzione americana. Una storia che il cinema ha presto fatto sua: nel 1921 il racconto ispirò un film muto diretto da Edward I. Luddy.

Il viaggio nel tempo genera paradossi e dormire per risvegliarsi nel futuro causa spaesamento. È così nella metafora politica “Il dormiglione” di Woody Allen (che tornerà a viaggiare, ma nel passato, in “Midnight in Paris”). Il dormiglione di Allen, Mike Monroe, ibernato nel 1973, si sveglia nel 2173 e si ritrova in un’America post-atomica, governata da un dittatore. Trauma non da poco, ma inferiore a quello dell’ultima, indimenticabile, sequenza nel primo film della saga “Il pianeta delle scimmie” (1968) di Franklin J. Schaffner (tratto dall’omonimo romanzo di Pierre Boulle). Qui l’astronauta George Taylor (Charlton Heston) scopre i resti della Statua della Libertà e capisce che il pianeta irriconoscibile dove è approdato dopo un lungo criosonno altro non è che la Terra, da cui era partito nel 1972 sull’astronave Icarus.
Il dormiglione

Ma che succede se il viaggio nel tempo avviene nei due sensi? È possibile cambiare il passato? Si può visitare il futuro e tornare indietro? Al cinema sì: ed è uno dei segreti del successo della trilogia “Ritorno al futuro” di Robert Zemeckis. Quando Marty McFly (Michael J. Fox), in viaggio sulla macchina del tempo (un’automobile DeLorean modificata da “Doc” Emmett/Christopher Lloyd), passa dal 1985 al ’55, dà uno scossone alla storia del rock. Sale sul palco del ballo della scuola e imbraccia la chitarra elettrica in una rovente interpretazione di “Johnny B. Goode”, un classico rock’n’roll scritto da Chuck Berry proprio nel 1955, ma pubblicato solo tre anni più tardi. Nel retropalco, mentre Marty suona, vediamo questa telefonata: «Chuck, Chuck! È Marvin! Tuo cugino, Marvin Berry! Sai quel nuovo sound che stai cercando? Bene, senti questo!». Il rock’n’roll, dunque, grazie al viaggio nel tempo è suggerito a Chuck Berry direttamente da un fan venuto del futuro.
Ritorno al futuro

Ma questo è nulla, al confronto del primo “Terminator”, girato da James Cameron nel 1984. Siamo nel 2029 e gli umani, guidati da John Connor, combattono disperatamente contro le macchine che hanno preso il potere sul pianeta. Stanche della guerra, le macchine decidono di inviare un loro agente (il Terminator Arnold Schwarzenegger) nel passato, nel 1984, con il compito di uccidere la futura madre di John. In questo modo, le macchine impedirebbero la nascita del leader della resistenza umana. Anche John però manda nel passato un soldato: che non solo riesce a salvare la donna dal cyborg assassino, ma si innamora di lei e finisce per diventare lui stesso il padre del suo comandante!

Il cosiddetto “effetto farfalla” è esplorato a fondo nella suggestiva miniserie televisiva “22.11.63”, andata in onda lo scorso anno e basata sull’omonimo romanzo di Stephen King. Il ripostiglio in un ristorante nell’America odierna ha il magico potere di far tornare nel 1960 un insegnante di inglese del Maine (James Franco). L’obiettivo è nobile - impedire l’assassinio di John F. Kennedy nel 1963 - ma, come nel paradosso sugli effetti del battito d’ali di una farfalla, le conseguenze sfuggiranno di mano, perché ogni modifica del passato causa una valanga di eventi.

Viaggi nel tempo e loop temporali hanno affascinato, tra gli altri, registi immaginifici come Terry Gilliam (“L’esercito delle 12 scimmie”), Duncan Jones (“Source Code”), Steven Spielberg (“Minority Report”), Christopher Nolan (“Interstellar”).

Ma anche la commedia italiana “Non ci resta che piangere” scritta (con Giuseppe Bertolucci), diretta e interpretata da Massimo Troisi e Roberto Benigni: che sognano di impedire la scoperta dell’America per evitare che uno yankee spezzi il cuore di Gabriellina, sorella di Benigni. La fantascienza si trasforma in magia in “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban” di Alfonso Cuarón, dove Hermione usa la “Giratempo” per studiare di più, e per molte altre cose.
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La lista potrebbe continuare a lungo. Ma sarebbe sempre il caso di chiuderla con le considerazioni finali di “Doc” che, nel secondo “Ritorno al Futuro”, dichiara: «Viaggiare nel tempo è troppo pericoloso. È meglio che mi dedichi a studiare l’altro grande mistero dell’universo: le donne!».

ha collaborato Emiliano Carpineta