L'innesto dell'uomo ragno sulla saga degli Avengers esplora sentimenti blandi. E spesso l'autoironia rasenta la parodia

Alla ricerca di una formula per aggiornare le variazioni sul supereroe più amato, dopo tre film negli anni Duemila e altri due più di recente, la Marvel sceglie la via della commedia per teenager innestando l’uomo ragno sulla saga degli Avengers. Più precisamente del teen movie anni Ottanta, con il modello dichiarato di John Hughes, mito segreto dei cinefili over 40 (“Breakfast Club”, “Una pazza giornata di vacanza”). Lo “homecoming” del titolo è infatti il ritorno a scuola della classe di Peter Parker dopo una trasferta a Washington, per una gara tra high school. Il sottotesto delle schermaglie e storie d’amore tra adolescenti copre gran parte del film, che risulta così un po’ meno soffocato del solito dagli effetti speciali. Il fatto di non ricominciare da capo, anzi di ripartire senza spiegazioni, in medias res, dalle macerie della “battaglia di New York” che aveva avuto luogo nel primo “Avengers”, evita allo spettatore quella molesta fase introduttiva in cui il protagonista deve familiarizzare con i propri poteri o si devono introdurre i cattivi.

Abbandonata la propria funzione di esorcismo-valvola di sfogo dell’11 settembre, con apocalissi a pieno schermo, lo scontro tra supereroi e supercattivi ripiega sul sentimento blando, da serie per adolescenti Disney o Nickelodeon (“Sam and Cat”, “Thunderman”).

Già noto come supereroe autoironico, Spiderman diventa a tratti decisamente autoparodistico, un po’ imbranato e accompagnato dal classico aiutante sovrappeso più sfigato di lui e da un mentore che non lesina spiritosaggini, l’Iron Man di Robert Downey jr.

Zia May da dimessa vecchina diventa una milf interpretata da Marisa Tomei, forse per pescare nel pubblico dei cinquantenni. Come cattivo c’è un memorabile Michael Keaton, con addosso ancora qualche scoria di Birdman (l’Avvoltoio che interpreta gli somiglia abbastanza), e che per giunta è il padre della ragazza che Peter ama.
Se si aggiunge che il film insiste sul parallelismo tra i superpoteri di Spiderman e i “mutamenti nel corpo” dell’adolescente, la metafora è completa.

“Spiderman: Homecoming”
di Jon Watts, Usa, 126’