Non solo talent show e social network. La riscossa dei giovani musicisti parte oggi da live contest, nuove factory, ?festival internazionali e programmi Ue
Se centoventi concerti in una sola sera vi sembrano troppi, vuol dire che non siete mai stati a Groningen (Paesi Bassi) durante l’Eurosonic Nooderslag (Esns). Ma se volete capire se per arrivare al successo esistono strade alternative ai “talent”, e come un giovane musicista possa costruirsi una carriera in una prospettiva europea, siete capitati nel posto giusto. Se l’esperienza vi incuriosisce prenotate con debito anticipo o rischierete di trovare un letto per dormire a non meno di venti chilometri dal centro città, sede della più antica e prestigiosa università del Nord, piena di studenti di ogni parte del mondo, di canali, di piste ciclabili, di locali per la musica “live”.
Voodoo psichedelico dalle steppe finlandesi, southern-rock olandese, elettro-avanguardia tedesca, post-punk inglese, ethno-pop bulgaro, delta blues made in Italy: la mappa della musica da diverso tempo non coincide più con l’immagine del mondo riprodotta sulle carte geografiche. È un segno dei tempi. Chiamatela, se credete, globalizzazione. Di fatto, l’evento ha offerto a tutti la possibilità di ascoltare dal vivo una selezione delle band più interessanti emerse nei ventotto paesi dell’Unione europea: in tutto sono stati 350 “showcase” (concerti di circa mezz’ora) distribuiti in tre giorni, dal 17 al 19 gennaio, fra teatri, club di ogni tipo e dimensione, tendoni, aule scolastiche, perfino nelle chiese. Per non parlare dei convegni, più di un centinaio, e dove si ritrova ogni anno il gotha dell’industria musicale europea: addetti ai lavori dei media e delle piattaforme streaming, promoter, organizzatori di festival, rappresentanti delle società del diritto d’autore. Tutti riuniti qui a Groningen per discutere di temi cruciali come l’innovazione tecnologica, le strategie di marketing, ma anche la sicurezza di concerti e festival: e in generale tutti i modi in cui la musica pop e i suoi molteplici derivati possono contribuire a tenere assieme lo scricchiolante carrozzone della Ue.
Le logiche dell’Europa del pop richiamano per certi versi quelle di Bruxelles. E in una stagione segnata dai populismi arrembanti si colorano di significati politici. Ad esempio lo Europe Talent Exchange Program (Etep), storico partner di Eurosonic, è il programma sostenuto dai fondi della Ue per la cultura che promuove la circolazione e l’interscambio degli artisti emergenti tra i paesi dell’Unione. Il meccanismo è semplice. Chi partecipa alla manifestazione non percepisce direttamente un supporto finanziario, ma quando uno degli oltre 90 festival del network (tra questi c’è Arezzo Wave, unico italiano) decide di far suonare una delle band selezionate qui a Groningen riceve un incentivo di circa mille euro dall’Etep.
Quest’anno poi è spuntato fuori un nuovo acronimo, il Ceetep: è un programma sostenuto con finanziamenti ad hoc, con l’obiettivo di coinvolgere maggiormente nel progetto di integrazione culturale i paesi dell’Est, in particolare quelli che le barriere verso l’Europa moderata e della tolleranza pare proprio vogliano tirarle su. Chissà se il potere della musica, come profetizzato dai Pink Floyd ai tempi di “The Wall”, riuscirà anche stavolta a farle crollare. Fatto sta che la rappresentanza di gruppi provenienti dall’Est e dai Balcani è sembrata particolarmente ricca in questa edizione della kermesse olandese. Mentre lo spazio rilevante concesso alle novità provenienti dal nord del continente si conferma una tradizione di questo festival.
Per tutta risposta, mentre si appresta a partire con il suo Arezzo Wave Band 2018, il più grande e premiato “live contest” italiano rivolto ai gruppi emergenti, in pista addirittura dal 1987 (il bando scade il 15 marzo e mancano solo poche centinaia di iscrizioni per raggiungere quota 50 mila), il fondatore Mauro Valenti lancia come provocazione una tre giorni di showcase, convegni e mostre che metta al centro i nuovi talenti del Sud-Europa. «La locomotiva sarà come sempre la musica, ma punto a un progetto con una forte valenza politica», spiega a L’Espresso. Altri membri di Yourope, l’associazione che riunisce molti dei principali festival europei, sembrano interessati a partecipare: a cominciare da Spagna, Portogallo, Grecia, Francia. Le trattative con una rinomata località delle riviera adriatica sono in corso. Ma niente ancora è ufficiale.
È certo invece, a questo punto, che quella dei “talent” non è l’unica via per emergere come credono ancora molti ragazzi abbagliati dal sogno del successo immediato. E come concorrono a far credere tutti quei “training di formazione accelerata” che stanno spuntando un po’ come funghi. Perfino il Midem di Cannes, fino a qualche tempo fa uno degli appuntamenti più importanti nel panorama dell’industria musicale, questa volta, oltre al solito programma di conferenze e concerti, ha previsto un workshop intensivo per undici artisti scelti dall’ennesima terrificante giuria di super esperti pronti a farne prodotti adeguatamente omologati per il mainstream. Non sorprende perciò che Carmen Consoli, Max Gazzè e Daniele Silvestri, cantautori legati da profonda amicizia e complicità, nel loro ultimo show “Collisioni a Roma” si siano inventati il cosiddetto “momento X Factor”, un siparietto autoironico in cui ognuno a turno giudicava l’esibizione dell’altro. Per giungere poi alla conclusione che nessuno di loro se si fosse davvero presentato a un “talent”, avrebbe passato il turno.
«Coltivare il talento richiede tempo, cura e infinita dedizione», ricorda Tosca. Cantante eclettica e ricercatrice musicale, Tosca è stata coach nella prima edizione di “Amici” (2001), il programma di Maria De Filippi trasmesso da Canale 5. «Ci avevo creduto, poi ho capito l’inganno e me ne sono andata». Dal 2016 Tosca è responsabile di “Officina Pasolini”, laboratorio di alta formazione finanziato da Regione Lazio e Fondo sociale europeo. Le sezioni sono tre: Teatro, Multimediale, Canzone. Di quest’ultima, naturalmente, si occupa lei stessa in prima persona. All’“Officina” si accede tramite un bando di concorso. Gli allievi sono 25 per sezione. I corsi durano un semestre e ci si diploma dopo un triennio. In pratica, una laurea breve. «Importante è riuscire a dare un luogo di appartenenza. Siamo una piccola roccaforte ideata per trasmettere competenze e aperta al confronto». Cantautori come Carmen Consoli e Niccolò Fabi sono ormai degli habitué e le loro lezioni-concerto frequentatissime. «Gli allievi entrano con certe convinzioni e ne escono trasformati. Non vendiamo illusioni: l’unica strada è la fatica».
L’alternativa in realtà non è più solo tra talent e gavetta. Per i giovani musicisti in cerca di fortuna ormai esistono diverse altre strade per imporsi all’attenzione del pubblico. Ci sono i social, c’è Youtube, ci sono nuove realtà come il premio Bianca d’Aponte per cantautrici, e altre competizioni ancora di consolidata fama come il Premio Tenco, Puglia Sound o il Meeting delle Etichette indipendenti (Mei): tutte iniziative nate proprio per dare visibilità e attenzione alle nuove proposte della canzone e non solo. Chi ha talento, personalità e un repertorio originale da valorizzare, ad esempio, da qualche mese può contare su Italia Music Export. Parliamo del bebè ancora in fasce che la Siae ha affidato alle cure di Nur Al Habash, una professionista di origini palestinesi, giovane e preparata con alle spalle una lunga esperienza nel campo della comunicazione musicale.
Finalità istituzionale della struttura è quella di promuovere la musica italiana all’estero e fornire un supporto economico a quanti intendono farsi conoscere fuori dai confini nazionali. È previsto anche un “supporto showcase” - con contributo minimo, a dire il vero, sotto forma di rimborso spese - per chi decide di esibirsi in festival che prevedono questa forma di “concerto breve”.
Quest’anno Italia Music Export era presente per la prima volta anche ad Eurosonic, ultima fra le grandi società europee del diritto d’autore ad occuparsi di promozione all’estero dei propri giovani talenti. Per fare solo un esempio, il suo omologo francese, il Bureau d’Export de la Musique, esiste da 1998 e dispone di un budget di due milioni e mezzo di euro: la neonata Italia Music Export ne ha appena 100 mila. Il sostegno fornito agli artisti italiani giunti a Groningen, a quanto si è capito, consisteva comunque soltanto nella pubblicazione di un pieghevole con foto e breve scheda informativa di ogni gruppo. Ottima invece la piattaforma web, mirata agli operatori dell’industria musicale straniera che voglio saperne di più dei nostri artisti. Ci sono le classifiche, ci sono le playlist per ascoltare in streaming un ampio ventaglio di generi, dal folk alla nuova canzone d’autore all’elettronica di nicchia. In primo piano i numeri uno del rap, artisti che sbancano puntualmente le classifiche di Spotify come Sfera Ebbasta, Gali, Coez, Calcutta e Cosmo, a seguire tutti gli altri.
I grandi nomi dello streaming hanno di fatto rivoluzionato il modello di business. E sepolto una volta per tutte quello imposto per anni dalle multinazionali della discografia. «Ma è anche vero che Spotify e iTunes pagano percentuali ridicole, che nelle tasche degli artisti arriva solo una parte infinitesimale dei loro ricavi milionari», spiega Stefano Senardi, già direttore artistico di Area Sanremo nonché produttore e talent scout tra i più stimati nell’ambiente discografico. Superstar del rap come Gali, Calcutta o Sfera Ebbasta, seguiti dal pubblico dei più giovani, scalano le classifiche dello streaming, ma le vendite dei dischi non aumentano più di tanto. Malgrado gli annunci trionfalistici dei “dischi di platino”, nel migliore dei casi ormai le vendite effettive si fermano intorno alle 50 mila copie.
La visibilità sul web serve soprattutto a richiamare il pubblico ai concerti: è questo il business che tira davvero. E infatti il circuito “live” sta riprendendo quota anche per musicisti non famosissimi. Locali da due, trecento posti dove si suona musica dal vivo, dove determinante non è l’algoritmo ma quel che hai da dire e il talento che dimostri. La grande fuga dal web, dall’omologazione dei “talent”, il bisogno del pubblico di instaurare di nuovo un rapporto ravvicinato con gli artisti del cuore.
Il fenomeno non è sfuggito a Claudio Trotta, immaginifico promoter del grande rock. Il quale, dopo l’autobiografia “No pasta no Show” si appresta a lanciarsi tra pochi giorni in una nuova avventura assieme a nuovi complici come Carlo Feltrinelli e Carlo Petrini, il patron di Slow Food. Non a caso il progetto si chiama “Slow Music”. Di cosa si tratta? Di un circuito di live club? Di una nuova linea di prodotti musicali? «Slow Music in realtà è molto di più», dice Trotta. «Una specie di Arca di Noé della Bellezza, dell’adesione alla creatività e alla originalità». Di più non siamo riusciti a sapere: per i dettagli l’appuntamento è alla presentazione ufficiale, il 22 febbraio a Milano.