"Viveva e esponeva nella città del Papa l'uomo che aveva attentato alla vita di Paolo VI. E qui ha lasciato carte, disegni, dipinti, ora scoperti in un magazzino di periferia". Lo racconta lo studioso che ha ricostruito la sua vita rocambolesca e dissennata

Un clandestino a Roma, negli anni Ottanta. Illustre e sgraditissimo. Illustre sia pure per i quindici minuti promessi a tutti da Andy Warhol; ma con un'esposizione mediatica davvero planetaria; e sgraditissimo per lo stesso motivo: aveva tentato infatti di ammazzare Paolo VI, nel novembre del 1970 all'aeroporto di Manila. È il pittore maledetto Benjamín Mendoza y Amor, su cui poi è calata come una mannaia la damnatio memoriae.
Vite dissennate
La strana storia di Benjamín Mendoza, il pittore che voleva uccidere Paolo VI
14/6/2018

Perché era venuto a Roma, è uno dei tanti misteri che lo circondano. Roma, cioè la città più sbagliata e per lui proibita. Era successo questo: nonostante alla frontiera fosse inserito nella lista degli indesiderabili, soggiornava nella capitale, addirittura organizzando mostre e rilasciando interviste. Unica cautela, mai nel curriculum e nelle presentazioni pubbliche alludere a quel famigerato avvenimento di un decennio prima. Ma il diavolo ci aveva messo la coda: nel maggio del 1981 si era verificato un altro attentato, questa volta cruento, di Ali A?ca contro Giovanni Paolo II, nel cuore della cristianità, in piazza san Pietro. Erano scattate allora varie denunce sulla sua presenza nel territorio. Allertati polizia e carabinieri, la questura era stata già avvertita da un anno. A Roma nello stesso periodo circolavano due attentatori e uno era ancora a piede libero!

Nell'Italietta del tempo, tanto rumore per nulla. Nessuno aveva trovato nessuno. Sembra incredibile: Mendoza aveva continuato, sia pure a periodi alterni, a risiedere a Roma, promuovendo come sempre la sua attività. Ma nel 1988 si era eclissato.

Quasi trent'anni dopo, per una congiunzione astrale, la segnalazione di un'amica durante un soggiorno in Florida, ho trovato le valigie stracolme dei suoi disegni e delle sue carte, in un magazzino della Roma popolare. Dal contenuto di quelle valigie è scaturita la prima scintilla alla nascita di Wanted. Benjamín Mendoza y Amor (Marsilio). È cominciato così il mio viaggio sulle tracce di un artista originale ed estremo, che mi ha riservato sorprese a non finire.

All'inizio, il caos: materiali e carte alla rinfusa, accumulati e trasportati di continuo. Inesistente una letteratura critica sull'argomento. Come si disponevano le tessere del mosaico? Individuai le sezioni più consistenti: le tavole sugli indios delle Ande, che producono e consumano coca e cocaina; quelle sulle tribù in via di estinzione nella foresta amazzonica; quelle erotiche, dedicate a seducenti modelle oppure sull'anatomia sessuale; le suggestioni di viaggio su eventi memorabili o di interesse antropologico.

Una storia internazionale, protagonista un boliviano, indio di etnia aymara, in lingua inglese e spagnola. La mia ricerca si allargò progressivamente: fu un'emozione scoprire i meccanismi segreti di una doppia personalità, le verità nascoste dell'attentato, reale o simbolico, e del processo; esaminare e reinterpretare con la lupa, la lente di ingrandimento, gli schizzi visionari nel corso dei viaggi per i cinque continenti. Chi gli dava i soldi per sostenerne le spese? Erano viaggi reali o millantati? Invece tutto risultava vero, documentato: biglietti aerei e navali, ricevute di cambio, alberghi, opuscoli e cronache di mostre. I diari autografi in versi, con le confessioni sulla madre prostituta, mi fornirono notizie preziose e struggenti.
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La mia ricerca si è sviluppata in molteplici direzioni, in paesi diversi, in culture remote e alternative. Ma sarebbe rimasta incompleta e improponibile se non avessi trovato lui, vivo o morto. Sinché, dopo tentativi e peripezie, sono riuscito a scovarlo, in Perù, nella stanza di un ospizio di Lima, dove viveva da recluso, malato e in terribile indigenza. A quel punto ho acquisito alla sorgente testimonianze sulla giovinezza e sull'ultimo periodo, poco prima della morte.

A Roma avevo trovato una larga metà dei materiali che gli appartenevano, in un magazzino. Ma un'altra metà era rimasta nelle mani di un pittore suo amico, Paolo Cerroni, che ne aveva invece annunciato la distruzione, all'arrivo della polizia. La pubblicazione del mio Wanted ha aperto nuovi scenari: per esempio, sui rapporti diretti o indiretti con personaggi del tempo, quali l'attrice filippina Pilar Pilapil, o la famosa Shirley McLaine, premio Oscar e sorella di Warren Beatty. Mi è stato possibile un ulteriore inventario su opere disperse di proprietà privata, come lo stesso bellissimo Stalloni in rivolta, che aveva ispirato la copertina del mio libro e che ho scoperto essere stato acquistato dall'attivista democratico e candidato presidenziale Ramon Villarosa Mitra, un mito nelle Filippine di Marcos e del dopo Marcos, che lo teneva nel suo ranch a Puerto Princesa nell'isola di Palawan, dove allevava cavalli purosangue e galli da combattimento.

Ho potuto inoltre procedere a una ricostruzione definitiva di ciò che gli è accaduto nel 1988, quando è stato colpito da un decreto di espulsione. Questo cittadino del mondo, alla fine, non aveva diritto di stare da nessuna parte! Soprattutto, è saltata fuori la quota Cerroni, prima irreperibile: me l'ha segnalata e messa a disposizione un collezionista ex agente generale delle Assicurazioni Danubio, ora Zurich, che da Cerroni l'aveva acquistata.

Comprende documenti personali e foto, schizzi del repertorio andino e sull'ossessione sessuale. La sezione più importante riguarda il periodo di detenzione a Manila, l'orrore e gli usi e abusi: gli accoppiamenti, le masturbazioni, le violenze, la pratica dei tatuaggi. Conosciamo le condizioni inumane delle carceri nelle Filippine di oggi. Figurarsi quelle dell'epoca del dittatore Marcos. Per quanto sia stata totale la damnatio memoriae, arriverà il tempo del rimbalzo, il ritorno del rimosso.