Date retta a Pericle: le sirene del populismo non si sconfiggono con la testa ma con il cuore
Per contrastare derive qualunquiste e demagogia pensiamo di dover usare la razionalità. Errore. Bisogna puntare alle emozioni. Come ci insegna il mondo greco
Stando a quel che ci racconta il primo storico nel senso moderno del termine, ossia Tucidide, il migliore statista della grande Atene del V secolo, l’Atene della democrazia e della sfida a Sparta, Pericle, si conquistò il primato per una gran varietà di ragioni. I motivi più evidenti e sotto gli occhi di tutti furono la capacità di visione, la progettualità e anche il sogno che offrì ai suoi concittadini.
Durante i tre decenni di potere, per esempio, fu lui a volere la ricostruzione dell’Acropoli e a consegnarne la direzione dei lavori a Fidia pur di coronare Atene con capolavori architettonici inarrivabili. Forse però i motivi meno evidenti ebbero un’importanza anche maggiore. Essi risiedevano nelle sue capacità di persuasione, ossia in un’abilità oratoria unica, assolutamente lontana da quella che sarebbe stata chiamata demagogia, ovvero la rincorsa degli istinti e dei desideri delle masse.
La descrizione che ne offre lo storico è celebre. Tanto consapevole Pericle era delle sua abilità di grande seduttore, che poteva permettersi, nell’assemblea come di fronte a qualsiasi uditorio, di fare ogni volta il contrario rispetto alle attese. Scrive Tucidide: «Pericle, potente per dignità e senno, chiaramente incorruttibile al denaro, dominava il popolo senza limitarne la libertà, e non era da lui condotto più di quanto egli stesso non lo conducesse, poiché non parlava per lusingarlo (…) ma lo contraddiceva anche sotto l’influsso dell’ira (…). Quando vedeva gli Ateniesi inopportunamente audaci per tracotanza, con la parola li riduceva al timore, mentre quando erano irragionevolmente spaventati li rimetteva in condizione di aver coraggio».
Un’abilità di seduzione e persuasione tanto potente costò a Pericle anche critiche e prese in giro senza fine. Alcuni commediografi presero a raccontarlo sempre accompagnato da una particolare divinità che gli si posava sulle labbra: Peithò. Eppure è proprio questa raffigurazione sarcastica che apre la strada a una rilettura della sua retorica, che può dirci molto, ancora oggi. Peithò, infatti, viene spesso dimenticata quando si tratta di raccontare la religiosità greca, ma merita invece studi accuratissimi, tanta è la sua importanza al di là dei tempi e delle circostanze.
Perché questa femminile dea del mare, dotata di tutte le abilità delle acque, ovvero della loro capacità di trovare sempre il pertugio per superare l’ostacolo e infilarsi ovunque, fu sempre compagna di Afrodite, divinità della seduzione erotica per eccellenza, eppure venne via via identificata soltanto con Persuasione, ovvero con una capacità di persuadere tipica del logos, un’attitudine razionale, dunque. Ma Peithò rappresentava qualcosa di diverso, qualcosa di più rispetto alla semplice persuasione. Qualcosa che possiamo scoprire soltanto mettendo in gioco capacità che con la ragione hanno poco a che fare e sono invece legate profondamente a quel brivido emotivo di cui sono capaci i grandi seduttori.
Laura Pepe, docente di Diritto greco antico all’Università di Milano, nel suo ultimo libro ripercorre bene la storia di Peithò indicando a noi la via perché la consapevolezza antica non vada perduta e possa invece riprendere vita in tempi in cui la demagogia populista ha preso il largo. S’intitola “La voce delle Sirene. I greci e l’arte della persuasione” (Laterza, pp. 206, euro 18) questo libro alla portata di tutti ma fondato su studi seri e accurati, calibrato dunque sulla qualità della migliore divulgazione. Sono argomenti che dovrebbero illuminare molti politici, soprattutto coloro che si oppongono alla retorica delle menzogne (quella che oggi va sotto il nome di fake news, tanto per essere “moderni” e non usare la nostra lingua) e del cosiddetto “parlare alla pancia”, rincorrendo i desideri, le paure e le vuote ambizioni che serpeggiano fra la maggioranza dell’elettorato.
Con grande prosopopea, spesso, il politico che cerca di dire soltanto la verità e che inorridisce di fronte alle falsità e ai mezzucci per prevalere dei propri avversari, pretende infatti di parlare solo alla mente dell’elettorato, di convincere razionalmente i cittadini, di persuaderli usando esclusivamente argomenti solidi, chiari, efficaci nella loro consequenzialità. Se il demagogo parla alla pancia, chi al demagogo si oppone deve parlare alla testa. Niente di più sbagliato. Gli antichi greci lo mostrarono con chiarezza. E questo libro ci aiuta a mettere assieme le loro più disparate riflessioni.Dalle sirene che incantano Odisseo a Odisseo che sa ingannare chiunque; da Era che seduce Zeus per lasciare un segno sulla guerra di Troia a Elena che abbindola Menelao dopo averlo lungamente tradito pur di tornare in patria e non essere uccisa; dai Sofisti a Socrate, con un uso della parola che incanta e rende spaesati; da Platone a Aristotele: studi sempre più raffinati, mentre, nell’Assemblea dove la democrazia trionfa, è diventato assolutamente necessario parlare, persuadere, ammaliare.
Con la sua nota purezza di ragionamento è Aristotele a offrirci il miglior compendio del buon persuasore capace di sedurre. Questi deve innanzitutto lasciare che le sue parole ne rispecchino il carattere (l’ethos), il che significa mostrare autorevolezza, chiarezza, misura; deve poi avvalersi di argomentazioni logiche (il logos) per parlare alla testa di chi ascolta; ma deve anche e soprattutto toccare l’emozione (il pathos), mettendo in movimento i sentimenti, e ciò significa che deve parlare non soltanto alla testa ma anche a quelle parti dell’anima che non sono esclusivamente razionali.
Quando seguiamo gli antichi alle prese con Peithò, questa divinità invincibile e spesso in secondo piano, come qualsiasi grande potenza che preferisce agire da dietro le quinte, noi ci troviamo di fronte alle risposte più efficaci per avere a che fare con alcuni dei problemi eterni che qualsiasi epoca ci propone. Così, in fondo, non è nemmeno tanto complicato rispondere a chi è convinto che per contrastare la demagogia del parlare alla pancia sia necessaria soltanto la buona persuasione del parlare alla testa.
Esiste un’altra strada, molto chiara in fondo, ossia quella che pretende di parlare al cuore. Usare argomenti razionali sì ma cercando soprattutto di colpire le emozioni di chi ascolta perché sono le emozioni che ci muovono e se queste sono positive, come il coraggio nei momenti di difficoltà, o la paura nei momenti di inutile eccitazione, ecco che la persuasione-seduzione ha davvero colto nel segno.
Parlare al cuore. Si tratta di un termine che i greci non usavano come è comune fare oggi. Essi facevano riferimento all’anima e alle passioni dell’anima, che erano molteplici, ma una su tutte le dominava: eros. Ossia l’amore, ma non l’amore sessuale, semmai l’amore che è passione e ci travolge e spinge alle più alte conquiste. L’amore che ci attraversa con potenza e ci proietta in una ricerca costante, la migliore delle quali è la saggezza e la sapienza.
I greci la chiamarono usando un composto che ha avuto fortuna eterna. L’amore (philia) di sapienza (sophia) fu la filosofia. Dunque l’attività di chi è spinto dalle emozioni a raggiungere mete ideali, a mettere in discussione le verità rivelate, a cercare costantemente una via migliore per realizzare la giustizia e vivere una vita felice. Il vero compito insomma di chi si prende cura della propria città, la polis, e per questo fu detto politico.