Il riconoscimento del lavoro medico e delle pratiche di soccorso ci ha fatto sbirciare un mondo migliore. E tanti nuovi libri puntano sul valore della comunità. Tra gli esseri umani e anche nel mondo animale

Aiutarsi vicendevolmente è molto importante, vale ovunque, vale in un grande Paese come l’Italia. Se ci si aiuta vicendevolmente si vive meglio, si sta meglio. Ma da grandi questo si dimentica. Vivere insieme significa che ognuno ha bisogno degli altri e quindi aiutarsi rende migliore la vita di tutti quanti». Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante una recente visita a una scuola elementare di Roma. Tra i “grandi”, qualcuno non se lo dimentica. Vale per i promotori del Recovery Planet, un piano alternativo al Recovery Plan governativo «che contrappone il prendersi cura alla predazione, la cooperazione solidale alla solitudine competitiva, il noi all’io». Un piano «scritto a mille mani», esito di un processo durato quasi un anno, grazie alla partecipazione diretta di centinaia di associazioni e cittadini, dalla Casa internazionale delle donne di Roma al Centro Studi Sereno Regis di Torino, da Fairwatch al Forum siciliano dei movimenti per l’acqua e i Beni Comuni. Un lungo itinerario di democrazia partecipata che alla triade «competizione, concorrenza, produttività» oppone «cura, cooperazione, uguaglianza». Per quanto drammaticamente dolorose, «le lezioni della pandemia non vanno sprecate», sostengono i promotori della Società della cura.


Partono da un assunto simile le autrici e gli autori del “Manifesto della cura. Per una politica dell’interdipendenza” (edizioni Alegre, traduzione di Marïe Mose e Gaia Benzi). Cinque accademici e attivisti da Grecia, Australia, Stati Uniti, Regno Unito, riuniti nel collettivo The Care/La cura, per i quali «l’esperienza del lockdown ci ha dato effimeri indizi di quello che potrebbe essere un mondo migliore», con le pratiche diffuse di mutuo soccorso, condivisione, riconoscimento del lavoro di cura e di tutte le altre attività essenziali ma disconosciute nel corso della storia, associate alla femminilità, derubricate ad attività improduttive. I danni dell’incuria, il capitalismo neoliberista che vede il cittadino ideale come «autonomo, indipendente, resiliente, autosufficiente», vanno sostituiti con il riconoscimento che «siamo plasmati dalle nostre interdipendenze». E che abbiamo urgentemente bisogno «di politiche che mettano la cura al primo posto».


La cura intesa come «la nostra abilità, individuale e collettiva, di porre le condizioni politiche, sociali, materiali ed emotive affinché la maggior parte delle persone e creature viventi del pianeta possa prosperare insieme al pianeta stesso». Per farlo serve una infrastruttura della condivisione, una comunità di cura «promiscua e indiscriminata», al di là delle strutture di parentela e statuali, verso un cosmopolitismo radicale che trasformi l’idea di cittadinanza e appartenenza. Accompagnando il passaggio dal «vecchio, keynesiano modello di stato sociale» allo stato di cura universale. Possibile solo con una visione ibrida. «Femminista, queer, antirazzista ed ecosocialista».

VERSO UNA SOCIETÀ ECOLOGICA
La base unificante per le riflessioni «ambientaliste, femministe, classiste, neourbane e neorurali», «la più rilevante sintesi di idee che si sia vista dopo l’Illuminismo» è l’ecologia sociale. Se ne dice convinto Murray Bookchin, operaio metalmeccanico, sindacalista, fondatore dello Institute for Social Ecology e attivista della New Left americana in un testo del 1989, oggi un classico, appena tradotto: “Per una società ecologica” (eleuthera, traduzione di Roberto Ambrosoli). Per Bookchin occorre «ricondurre la società all’interno di un quadro di riferimento ecologico», perché «la maggior parte dei nostri problemi ecologici ha le sue radici in problemi sociali». Serve un nuovo equilibrio «basato sulla libertà dal dominio e dalla gerarchia, perché è dal dominio tra gli esseri umani che nasce l’idea del dominio sulla natura». Smarcandosi dal «dualismo che divide nettamente la società dalla natura» così come «dal rozzo riduzionismo che dissolve la società nella natura», Bookchin dimostra come la natura si dispieghi lentamente nella società. La storia naturale «è un’evoluzione cumulativa verso forme e relazioni sempre più differenziate e complesse». Segnata da svolte cruciali durante le quali possiamo indirizzarci verso una società ecologica e razionale o verso una società antiecologica e irrazionale. Come quella capitalistica.

LA PREVALENZA DEI TERRITORI
I tentativi di realizzare un capitalismo verde o ecologico, sostiene Bookchin, «sono condannati all’insuccesso: il capitalismo può essere “persuaso” a porre un freno al suo sviluppo», alla sua furia competitiva, accumulativa ed espansiva, «come un essere umano può essere “persuaso” a smettere di respirare». L’unica alternativa possibile «è distruggerlo», rimpiazzandolo con una «società ecologica fondata su relazioni non gerarchiche, su eco-tecnologie come l’energia solare e su comunità decentralizzate», come nel municipalismo libertario. Il ridimensionamento delle grandi città in comunità a misura umana «non è il sogno romantico di un solitario amante della natura, né un remoto ideale anarchico. È un obiettivo indispensabile per una società ecologicamente stabile», che alimenti i valori della complementarietà, del mutuo appoggio, del senso del limite.
Anche per Alberto Magnaghi, architetto urbanista, professore emerito all’università di Firenze, «una conversione ecologica non è praticabile in una società che non ha coscienza di luogo e abitanti consapevoli». È una delle tesi de “Il principio territoriale” (Bollati Boringhieri), in cui l’autore invoca «il ritorno alla cura sapiente, creativa, corale» del territorio «da parte di abitanti organizzati in forme comunitarie di autogoverno». Se la pandemia è una «conseguenza eco-catastrofica provocata sulla biosfera dall’antropocene nel suo delirio entropico», bisogna diffidare della «possibile deriva tecnocratica, tecnologica e centralistica della difesa della natura e della conversione ecologica». E ritrovare invece «la misura dell’insediamento urbano», attraverso un eco-territorialismo. Attingendo alle intuizioni di chi ha riconosciuto la superiorità del principio territoriale su quello funzionale. Come Murray Bookchin, appunto. Ma soprattutto Pëtr Kropotkin.

AIUTARSI È LEGGE DI VITA ANIMALE
Se oggi nei laboratori di Princeton, Harvard, Oxford o Cambridge schiere di economisti, sociologi, psicologici e biologi studiano la cooperazione animale e il valore del mutuo appoggio è grazie a questo pensatore e agitatore che da paggio di camera dello zar Alessandro II è diventato padre fondatore dell’anarchismo, ricercato dalla polizia russa, incarcerato nella prigione francese di Clairvaux insieme a Louise Michel, «figura mitica della Comune di Parigi» come ricorda Giacomo Borella, curatore e traduttore (per la prima volta dall’edizione originale inglese) de “Il mutuo appoggio: un fattore dell’evoluzione” (eleuthera).


Kropotkin redige questo libro profetico a Bromley, a sud di Londra, dopo decenni di militanza, viaggi, fughe e arresti. Lo fa con un obiettivo polemico, correttivo: riequilibrare una visione parziale e distorta del darwinismo. Per Kropotkin gli innumerevoli seguaci di Darwin hanno elevato «la lotta “spietata” per il vantaggio personale a livello di un principio biologico». Tra loro anche un interprete autorevole come Huxley, che nel 1888 pubblica “La lotta per l’esistenza nella società umana”. «Un’interpretazione molto errata dei fatti della natura» a cui Kropotkin replica con otto articoli pubblicati tra il 1890 e il 1896 sulla rivista londinese The Nineteenth Century, raccolti e integrati nel 1902 nel volume “Mutual Aid: A Factor of Evolution”, quello appena uscito in italiano.


A Bromley, Kropotkin sistematizza gli appunti di viaggio di quando, neanche trentenne, faceva ricerca sulle orme di Alexander von Humboldt. In Siberia orientale e Manciuria meridionale, in «cinquantamila miglia su carri, su piroscafi, in barca, ma soprattutto a cavallo» anche a quaranta o sessanta gradi sotto lo zero, aveva raccolto una documentazione titanica. Insettti sociali, api, formiche, locuste, farfalle del genere Vanessa, coleotteri del genere Cicindela, cicale, granchi di terra, termiti, uccelli, aquile, mammiferi, primati. «Non ho potuto trovare, sebbene la cercassi con impazienza, quell’aspra lotta per i mezzi di sussistenza tra animali appartenenti alla stessa specie che la maggior parte dei darwinisti (ma non sempre lo stesso Darwin) considerava la caratteristica dominante della lotta per la vita e il principale fattore dell’evoluzione». Non solo il mutuo appoggio è una legge della vita animale tanto quanto la lotta reciproca, riassume Kropotkin, ma «come fattore di evoluzione ha probabilmente un’importanza molto maggiore». A interessargli è soprattutto la società degli uomini. I modi e le forme della sua organizzazione. Studia la storia e le istituzioni di mutuo appoggio – la tribù, la comunità di villaggio, le gilde, la città medievale – e si convince, nota Borella, che si possa evitare la degenerazione delle istituzioni da vitali a oppressive solo rispettando il valore ecologico della misura, il radicamento territoriale.


Valeva in passato, vale ancora oggi, scrive il pensatore russo a cavallo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento: «Il bisogno di mutuo appoggio e di aiuto reciproco si afferma di nuovo, anche nella nostra società moderna, e rivendica il suo diritto di essere, come è sempre stato, la guida principale verso ogni futuro progresso».