Anche se nel periodo tra il 2018 e il 2020 si è ridotta per effetto della fatturazione elettronica non migliora il comportamento dei contribuenti

Torno a parlare di evasione fiscale, alla luce della “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva” da poco pubblicata dal governo. Questa relazione viene preparata ogni anno da un gruppo di esperti e viene inviata al Parlamento ogni ottobre. Visto che le stime sono basate su dettagliati dati di contabilità nazionale disponibili solo con ritardo, e tenendo anche conto delle complicazioni delle analisi dovute al periodo Covid, la relazione di quest’anno si ferma al 2020. Che cosa ci dice?

 

Prima di rispondere, facciamo un rapido ripasso. Per anni, in queste relazioni, si è stimato che l’evasione fiscale si attestasse intorno ai 110 miliardi di euro l’anno. Una cifra enorme. Per termine di confronto ricordo che, negli stessi anni, la spesa per la pubblica istruzione era nell’ordine dei 65 miliardi di euro l’anno. Inoltre, il calcolo ufficiale di 110 miliardi sottostimava probabilmente la vera evasione perché le stime escludevano, per vari motivi, l’evasione sui contributi sociali degli autonomi e qualche altra voce.

 

Nel 2018-2019 è arrivata una buona notizia: per effetto dell’introduzione della fatturazione elettronica e di un po’ di altre misure più tecniche (per esempio, il cosiddetto split payment), l’evasione sull’Iva si era ridotta di circa 10 miliardi, portando così il totale evaso da 110 a circa 100 miliardi. Erano anni che non si registrava un calo così significativo. La relazione sul 2020 sembra portarci una nuova buona notizia. L’evasione stimata per il 2020 sarebbe scesa dai 99 miliardi del 2019 a 87 miliardi. Purtroppo il calo è dovuto solo in parte modesta a un migliore comportamento dei contribuenti, riflettendo piuttosto le particolari condizioni dell’anno 2020, ossia l’anno del Covid. Due circostanze sono state rilevanti.

 

La prima è che il volume di imposte da pagare scese perché il Pil si ridusse pesantemente e per posticipi e tagli di aliquote decisi per fronteggiare la crisi causata dalla pandemia. Ovvio che questo riduce anche l’evasione: se quello che devi pagare si azzera, non c’è bisogno di evadere. Il secondo motivo è che nel 2020 i redditi degli autonomi e delle imprese – la parte dei contribuenti per cui l’evasione è percentualmente più alta (per gli autonomi il grado di evasione eccede i due terzi, per le imprese raggiunge un quarto) – scendevano più rapidamente degli altri. Si riduceva, quindi, il peso, sul totale dei redditi, di chi evade di più contribuendo alla riduzione dell’evasione media.

 

Se si vanno a guardare i dati più da vicino, le notizie sono meno confortanti. Tra il 2019 e il 2020, tra i principali tributi, la percentuale dell’evaso si è ridotta per Iva e Irap, ma è aumentata per l’imposta sui redditi degli autonomi, per quella sui redditi delle società e per le accise sui prodotti energetici. A voler essere ottimisti si può notare che è normale che autonomi e imprese evadano di più in un periodo di profonda crisi. Si può anche notare che, pur tenendo conto dei fattori considerati, un piccolo calo dell’evasione (circa 2 miliardi di euro) sembra essere genuino, secondo le mie stime, forse per l’onda lunga della fatturazione elettronica e delle altre misure sopra menzionate.

 

Resta il fatto che l’evasione si colloca ancora su livelli incredibilmente alti per i Paesi europei, soprattutto quelli più avanzati.