Grandi scrittori

Ennio Flaiano, un marziano a Pescara

di Antonia Matarrese   21 novembre 2022

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Festival, letture, un nuovo museo del cinema, persino pedalate urbane. Gli omaggi della città natale

«Una volta andai a trovarlo a Roma, nell’albergo Leonardo da Vinci dove viveva dopo che il primo infarto l’aveva colpito. Entrai nella sua stanza e lo trovai carponi guardare sotto il letto. Mi disse con aria disperata: “Aiutami, ho perduto il talismano che mi ha donato Silvana Mangano. Me lo ha portato dall’India!”. Con grande desolazione mia, e soprattutto sua, il talismano non riuscimmo a trovarlo né ho saputo se in seguito riuscì a recuperarlo. La Mangano era una sua grande passione».

 

A raccontare questo curioso episodio della vita di Ennio Flaiano era Edoardo Tiboni, ideatore del Premio Flaiano, che si prepara alla cinquantesima edizione. L’amicizia fra i due conterranei era nata per merito di Gabriele D’Annunzio: la città di Pescara aveva da poco intitolato un teatro al Vate e Tiboni chiese aiuto a Flaiano per la trasposizione delle novelle dannunziane. Non se ne fece nulla. Lo sceneggiatore, fresco della notorietà raggiunta con “La dolce vita” felliniana e con “La notte” di Michelangelo Antonioni, si mostrò scettico sull’operazione.

 

«Iperproduttivo, per nulla salottiero e un po’ in controtendenza rispetto alla società del suo tempo», lo definisce così Carla Tiboni, che nel 2016 ha preso la guida dei Premi Internazionali Flaiano, dell’Associazione Culturale e della Fondazione Edoardo Tiboni. «Una figura fondamentale per la vita culturale di Pescara: nel 1966 è stato il primo presidente della Società del Teatro e della Musica, ancora oggi attiva. Quando tornava in riva all’Adriatico incontrava sempre gli stessi amici». Per l’edizione 2023 del Premio Flaiano, Carla Tiboni anticipa un convegno internazionale su Flaiano e la comunicazione: «I celebri aforismi sono molto diffusi sui social fra i giovanissimi e si moltiplicano le tesi di laurea perché leggere Flaiano significa ritrovarsi in quello che scrive». Ma, nell’immediato futuro, si intravedono progetti più ambiziosi: «Entro la primavera prossima, inizieranno i lavori del nuovo MOC (Museo Officina del Cinema Ennio Flaiano) nella piazza che ospita l’attuale Mediamuseum la cui attività non si è fermata neppure durante la pandemia».

 

Si snoderà lungo tutto il 2023 il lavoro di drammaturgia su “Tempo di uccidere” dell’attore e regista pescarese Domenico Galasso, diplomato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico insieme ad Alfredo Troiano: «Un Flaiano insolito, intimo, in dialogo profondo con se stesso, che mette a nudo le sue fragilità e contraddizioni», spiega Galasso, che porterà lo spettacolo anche nei licei.

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Sempre diviso fra cinema e letteratura, radio e televisione, Roma e New York, Fregene e Pescara, Ennio Flaiano porta in sé quella modernità che si ritrova oggi nella città che gli ha dato i natali: «Pescara è molto più flaianea che dannunziana. Rappresenta la crescita, la velocità con la Coppa Acerbo, è curiosa, accogliente, aperta verso chi sceglie di viverci. Ma è una città senza storia. Roma, per Flaiano, è stato l’approdo naturale», sottolinea Giovanni Di Iacovo, scrittore ed ex assessore alla Cultura del Comune. Esattamente venti anni fa, insieme a tre amici, ha ideato il FLA, festival letterario sostenuto da fondi pubblici e privati, che mixa oltre duecento appuntamenti in gran parte gratuiti spalmati per quattro giorni. E siccome Pescara conta ben quaranta chilometri di pista ciclabile e quasi tutti usano le due ruote, è stata organizzata una pedalata urbana letteraria sui luoghi di Flaiano: «È una iniziativa che unisce la passione per la bicicletta e quella per le quartine», racconta Alessandro Ricci, anima di Borracce di poesia. «Sotto la casa natale dello scrittore leggerò la lettera a Pasquale Scarpitti (“Sono nato a Pescara: in un 1910 così lontano e pulito che mi sembra un altro mondo. Una Pescara diversa, di cinquemila abitanti, al mare ci si andava con il tram a cavalli e le sere d’estate si passeggiava, incredibile, per quella strada dove sono nato, il Corso Manthoné, ora diventato un vicolo e allora persino elegante”, scrive Flaiano nel 1972, poco prima della morte, ndr) per poi proseguire verso il Ponte Flaiano». Un ponte sospeso sul fiume Aterno che porta incisa sulla base in pietra della Maiella forse la massima-simbolo dello scrittore: “Sognatore è un uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole”.

 

«Per intitolare il ponte coinvolgemmo gli alunni delle scuole primarie. Furono loro a decidere che si chiamasse Ponte Flaiano», ricorda Marco Alessandrini, ex sindaco di Pescara. Nessuna nuova, invece, per quanto riguarda l’idea dell’amministrazione comunale di riportare le spoglie dello scrittore da Roma a Pescara: «La tomba di Flaiano è nel cimitero di Maccarese, non lontano dalla spiaggia di Fregene a lui cara. Abbiamo scritto al sindaco di Fiumicino per parlarne ma ci ha fatto presente che il nostro interlocutore era Gualtieri. Da cui non abbiamo mai ricevuto risposta», conferma l’attuale sindaco, Carlo Masci che, per il 20 novembre ha in serbo la pubblica lettura di due lettere inedite dell’illustre pescarese a Palazzo di Città.

 

«Flaiano, sua moglie Rosetta e la figlia Lelé trascorrevano molto tempo a Fregene dove si sentivano protetti. Lui frequentava assiduamente il ristorante Mastino e il villaggio dei pescatori dove ha conosciuto mio padre Armando che gli vendeva il pesce fresco e le telline che tanto gli ricordavano la sua Pescara», ricorda Mariano Micco. «Ogni settimana mi prendo cura della tomba e porto i fiori. L’altro giorno ho scelto i girasoli».

 

Mariano Micco aveva poco più di quattro anni nel 1972 invece Enrico Vanzina, premio Flaiano alla carriera nel 2010, era più grandicello e di Ennio Flaiano ha ricordi nitidi. «Liberale, intelligente, scettico», così lo sceneggiatore romano definisce uno dei suoi autori preferiti. «Ha avuto un rapporto molto difficile con Pescara forse per il continuo paragone con D’Annunzio. Era un uomo di provincia che ha capito e raccontato Roma meglio di tanti romani. Non tollerava gli stupidi. Sapeva che la satira in Italia poteva portare guai e lui non voleva cercarsi nemici. E aveva capito che la centralità del cinema è la scrittura. Con mio padre (lo sceneggiatore Steno, ndr) sono stati amici fino alla fine. La sera si andava a cena da Suso Cecchi D’Amico. Intorno ai diciassette anni, avevo deciso di fare lo scrittore e pensai di rivolgermi a Flaiano per un consiglio. Gli chiesi a bruciapelo: “A cosa serve scrivere?”. E lui rispose lapidario: Serve a sconfiggere la morte».