L’impegno contro Netflix con i suoi colleghi. Le maschere da interpretare, da Hitler a Messina Denaro. Ora il film “Confidenza” di Daniele Luchetti. Dialogo a tutto campo con l'attore

Può un segreto compromettere un’intera esistenza? È quello che capita a Pietro, protagonista prima del romanzo “Confidenza” di Domenico Starnone poi dell’omonimo film di Daniele Luchetti appena uscito al cinema. A interpretare turbamenti e ossessioni di quello che definisce “un uomo mediocre” ritroviamo Elio Germano, classe 1980. È tra i nomi di Artisti 7607, che ha appena citato in giudizio Netflix a tutela degli attori e del loro riconoscimento: «Negli Stati Uniti gli attori hanno fatto giustamente un bel casino, era ora di farci sentire anche noi. Assieme a Marcorè, Mastandrea e altri più visibili ci siamo attivati per dare dignità a chi viene sfruttato. Parliamo tra l’altro di una percentuale bassissima del guadagno delle piattaforme da riconoscere agli attori, come dice la legge».

 

Partiamo da “Confidenza”. Torna ad essere diretto da Daniele Luchetti, che le fece vincere la Palma d’Oro nel 2010 con “La nostra vita”.
«Daniele è stato capace di mettere in scena una serie di inquietudini della nostra interiorità: c’è una zona sotterranea dentro ciascuno di noi che prescinde dalla maschera pirandelliana che indossiamo».

 

Ha, come il professore che interpreta, un segreto che la rovinerebbe?
«Ingigantiamo tante cose dentro di noi, ognuno ha il suo senso di pudore, vergogna e colpa: possiamo aver fatto cose gravissime di cui non ci sentiamo colpevoli e cose insignificanti che temiamo si sappiano. Siamo nel regno dell’interiorità e dell’immaginario, una volta tanto si racconta anche questo al cinema. Quanto a me, dato il mestiere che faccio, molto del mio privato è stato già “violentato” ed esposto».

 

Devo contraddirla, si sa pochissimo del suo privato.
«A me sembra già troppo, mi sono già sentito devastato così, pensa gli altri che sono ancora più esposti!».

 

Tornando alla Palma, il suo discorso di ringraziamento fu politico. Perché oggi gli artisti si guardano bene dal parlare di politica?
«Mi ha stupito l’intervento di un cantante a Sanremo che si è addirittura scusato per aver detto una “cosa politica”. Senza pensare che anche non dire, o rinnegare, è fare politica. La storia del Terzo Reich è fondata su chi non ha fatto niente, che è comunque un fare politica attivo ed eversivo».

 

Quanto costa esporsi oggi come artista?
«Espormi adesso è meno rischioso che essermi esposto vent’anni fa, o rispetto a un attore agli inizi. Esporsi pubblicamente, poi, ha un rischio minore che esporsi sul posto di lavoro. Il problema è che, artista o non artista, chiedere di rispettare i propri diritti, o sentirsi liberi di dire la propria nella società individualistica di oggi, senza più associazionismo che protegge il lavoratore, espone a ritorsioni».

 

Nel film la vediamo invecchiato, com’è stato vedersi settantenne?
«Mi sono visto allo specchio in così tante fogge che ormai non mi impressiono più. Mastroianni si addormentava al trucco e al risveglio si spaventava allo specchio. Io non mi addormento e non mi spavento, è la mia faccia vera di tutti i giorni che faccio fatica a vedere».

 

Perché?
«Per mestiere dobbiamo perderci nell’emozione, seguire un movimento interno. Occorre abbandonare il controllo di cosa stia facendo il corpo. Sul set, come nella vita: per sedurre una persona, a livello sentimentale o professionale, è meglio permettere alla personalità vera e più sincera di uscire fuori, anziché modulare ad arte voce, postura o gestualità».

 

Si pone mai problemi etici quando sceglie un personaggio, come il boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro nel prossimo film “Iddu”?
«Dopo aver interpretato Hitler (nello spettacolo diventato film VR “Segnale d’allarme”, ndr) è tutto in discesa. Prima di “chi” mi interessa “come” si racconta, mi preme che l’ambiente di lavoro sia sano, con una volontà artistica di narrare e nessuna aria di operazione commerciale. Il problema etico se lo deve porre chi racconta».