Richiami di cronaca e omaggi a "Le mani sulla città" di Francesco Rosi per uno spaccato della banlieue più multietnica. Firmato da un regista cresciuto a noir e Victor Hugo

Sospinto dall'onda inattesa delle ultime elezioni, arriva dalla Francia un film che forse avrebbe meritato un'uscita più importante. Il regista, Ladj Ly, è quello di “Les misérables”. Anche ambientazione e parte del cast vengono da quel clamoroso esordio, preceduto e nutrito da una serie di documentari girati soprattutto a Montfermeil, una delle banlieue parigine più care alle cronache incendiarie di questi anni. I punti comuni ai due film però si fermano qui.

 

Ribattezzata Montvilliers, la Montfermeil di Ladj Ly (e di Victor Hugo, da cui il titolo del debutto), stavolta fa da sfondo a una vicenda di natura più apertamente politica che contrappone il quartiere al neosindaco, il pediatra bianco Pierre (Alexis Manenti, poliziotto cattivo in “Les misérables”), e al suo vice, un nero colossale di nome Roger (il formidabile Steve Tientcheu, pure lui già nel film precedente). 

 

La divisione dei ruoli è netta quanto ingrata: designato in fretta e furia dal partito per sostituire il predecessore, morto all'improvviso e già nel mirino dei giudici, il neosindaco dalle mani pulite non ci mette molto a scoprirsi un'anima da falco. Mentre lo spregiudicato vice, usato da sempre per i lavori sporchi ma anche per tenere i rapporti con i residenti della cité, si trova tra due fuochi. Di qua il sindaco, che vuole cacciare gli abitanti dai loro casermoni (il titolo originale è “Bâtiment 5”, Edificio n. 5) per “riqualificare” il quartiere, ovvero avviare una sfacciata speculazione immobiliare.

 

Di là i locali, in testa la giovane attivista Haby (la luminosa Anta Diaw), così brava e coraggiosa che il vice vorrebbe averla a libro paga, anche se lei ovviamente non ci sta. Anzi...

 

Lo schema non è nuovo, e i debiti con il capolavoro girato a Napoli da Francesco Rosi nel 1963 sono così evidenti che il film potrebbe chiamarsi “Le mani sulla Cité”. Nuovi sono il quadro geopolitico (l'arrivo di alcuni “immigrati selettivi" siriani complica ulteriormente la faccenda) ma soprattutto la capacità di spremere da ogni conflitto e da ogni personaggio, di qualsiasi età, una verità di prima mano che sarebbe bello veder fiorire liberamente, senza dover obbedire a una sceneggiatura a tratti un poco dimostrativa. Anche perché Ladj Ly ha un occhio davvero speciale. Basta vedere con quanto amore filma quei casermoni, o come trova accenti addirittura chapliniani seguendo alcuni bambini durante un'evacuazione forzata.

 

Fare film, del resto, significa fare cittadinanza. Letteralmente. Basta paragonare il cinema francese, così multietnico, al sempre bianchissimo cinema italiano, per rendersene conto.

 

GLI INDESIDERABILI
(BÂTIMENT 5)
di Ladj Ly
Francia, 100'