Una giovane pastora sarda contro l’industria del turismo di massa. Da un fatto di cronaca, un film che spinge a rifiutare ogni forma di omologazione

Poco prima del Covid nelle sale circolò in orgogliosa indipendenza un bel documentario dell’architetto paesaggista Anna Kauber sulle vite poco ordinarie delle donne pastore attive in Italia, “In questo mondo”. Costato un anno di lavoro (e 17mila chilometri macinati ovunque fuorché in Liguria), il documentario della Kauber riportava d’attualità una figura alonata di mito che avevamo visto riaffacciarsi con insistenza in film firmati Martone (“Capri-Revolution”) o Kechiche (“Mektoub, My Love”). E che oggi torna al centro di uno dei lavori più appassionati della stagione: “Anna” di Marco Amenta, già regista di “Il fantasma di Corleone” e “Diario di una siciliana ribelle”.

 

Interpretata con adesione totale dall’esordiente-rivelazione Rose Aste, Anna è una giovane sarda spregiudicata quanto indipendente che dopo un periodo nero a Milano torna alla sua terra per accudire pecore e capre ereditate dal padre. Fino a quando un giorno non viene svegliata dal frastuono delle ruspe: come in paese tutti sanno – tranne lei – davanti alla sua casupola sorgerà il complesso alberghiero di un grande gruppo straniero. 

 

Per Anna e le sue capre, che vagano per casa come in “Le quattro volte” di Michelangelo Frammartino, la strada sembra segnata. Nulla, se non una vecchia foto, prova che quelle terre siano sue. E nessuno in paese sembra disposto ad aiutarla, visto che il cantiere promette lavoro per tutti. Nessuno tranne un febbrile avvocato locale (Marco Zucca), sensibile alle sue ragioni e forse anche al suo fascino.

 

Il resto segue con ritmo trascinante e grande aderenza psicologica un copione che potremmo dire canonico se Amenta e i suoi interpreti non si tenessero sempre in sapiente equilibrio tra mito e verismo (c’è dietro un fatto di cronaca) facendoci quasi sentire l’odore dei formaggi di Anna come del catrame del cantiere. 

 

Fino a fare di questa ragazza attraente, ostinata e ostinatamente sola un personaggio singolare, dunque perfettamente credibile. E insieme la rappresentante di tutti i dimenticati della terra. In lotta contro lo strapotere dell’economia e il loro alleato più insidioso: l’amnesia collettiva, che regala il diritto a travolgere umani, ambiente e animali.

 

«Ti offrono 500mila euro, puoi comprare un’altra casa, rifarti una vita», grida l’avvocato. «Ma a me piace, la mia vita!». Ecco, in fondo il punto è tutto qui. Per questo “Anna” è una di quelle storie che abbiamo bisogno di raccontare e raccontarci ogni volta di nuovo. Come se ripetizione e variazione potessero rendere più vero, cioè possibile, il coraggio dei protagonisti. E la forza mitica che trovano misurandosi, anche per noi, con forze così più grandi di loro.

 

ANNA
di Marco Amenta
Italia, 120’