La condanna a morte per Tataloo subito dopo la grazia per Salehi. E l’esilio di Namjoo. L’odio per la musica nelle storie di tre artisti

Per uno che riceve la grazia ce n’è subito un altro condannato a morte: ce ne vuole davvero di coraggio per fare il rapper in Iran. Le cronache italiane intrecciano inchieste penali e dibattiti sullo hate speech, e gli addetti ai lavori spiegano che la trasgressione è una posa, parte di un’immagine costruita sul modello dei divi americani degli anni d’oro che spesso finivano in ospedale per violenze di vario tipo o in carcere con accuse di ogni genere. Intanto però a Teheran basta davvero poco per ritrovarsi ad affrontare carcere, torture e processi senza garanzie. Lo sa bene Amir Tataloo, appena condannato a morte dopo un processo lampo per blasfemia.


Gli ottimisti sperano che la vicenda di Tataloo finisca come quella di Toomaj Salehi. Nell’aprile del 2024 Salehi era stato condannato a morte dal Tribunale Rivoluzionario, ma la sua pena è stata mutata in un solo anno di carcere ed è stato rilasciato nel dicembre scorso. Nel suo caso l’accusa non era religiosa ma politica: aver partecipato alle dimostrazioni scatenate dalla morte in carcere di Mahsa Amini, la giovane arrestata nel settembre 2022 perché il suo velo si era «allentato», e poi torturata e uccisa dalla polizia religiosa. È finito con la grazia anche il processo a Shervin Hajipour, condannato a tre anni per la canzone “Baraye”, che era diventata la colonna sonora di quelle stesse proteste. Nel 2023 Hajipour aveva vinto un Grammy speciale per la categoria “Best Song For Social Change.” Fare qualsiasi tipo di musica è pericoloso in Iran. Lo sa bene Mohsen Namjoo, artista che dopo una condanna «per aver disonorato con la sua musica il Corano» si divide tra Europa e Usa. Il 3 febbraio Namjoo ha presentato alla Accademia Romana il suo ultimo lavoro, “Minooor”, performance audiovisiva accompagnata dalla sua voce e dal sitar che racconta la vita in Iran nei primi dieci anni dopo la rivoluzione del 1979. 

 

Quanto sia pericoloso fare musica in Iran, lo hanno raccontato diversi film, dai “Gatti persiani” del 2009 , a “When God Spleeps”, del 2017, su Shahin Najafi, inseguito anche nell’esilio in Germania da una fatwa per blasfemia. Ora un documentario disponibile su Youtube, “Rap & Revolution” di Omid Mirnour, mostra che la situazione non è migliorata. In tedesco con sottotitoli in inglese, il video mostra Tataloo, ancora barbuto e senza tatuaggi, che racconta le torture subite in carcere nel corso degli arresti precedenti. Un aspetto particolarmente grave della sua vicenda è che il rapper sia stato consegnato alle autorità iraniane da un Paese europeo, la Turchia: eppure le autorità sapevano bene che per una canzone, in Iran, si rischia la vita.