I lavoratori autonomi: 'Per la politica il lavoro è solo quello dipendente'

placeholder

C'è Francesca che si è reinventata un lavoro ma non sa se riuscirà a mantenere il nuovo impiego. C'è Irene, che in gravidanza ha dovuto interrompere l'attività, ma i soldi della 'maternità' sono arrivati solo dopo. C'è Marianna che dice: "Fino all'estate guadagni, poi fino a dicembre solo pagamenti". Storie di lavoratori indipendenti

Irene, 39, anni, consulente in comunicazione per aziende

«In gravidanza sussidi ridicoli e divieto di fatturare»

«Mi trovo in una situazione paradossale: sono stata chiamata da un’azienda per una consulenza molto importante, ma non posso accettare perché la legge Fornero ha stabilito che non puoi avere un committente principale. In pratica, dovrei chiedere di essere assunta, a Roma: peccato che ormai da anni io viva – grazie alla Rete e alle nuove tecnologie – nella campagna toscana, con due figlie piccole, e viaggi solo quando serve.

Ma lo scandalo non è solo questo. Io che, dopo un master in giornalismo e comunicazione d’impresa mi sono specializzata in comunicazione aziendale, lavoro da oltre quindici anni per aziende importanti: Confcommercio, Confindustria e società milanesi quotate in borsa. Ho sempre fatturato cifre alte, versando contributi anche per 100.000 euro l’anno, per avere un netto di 40.000 euro. In cambio di tutto questo la gestione separata dell’Inpgi cosa mi dà? Quando sono andata in maternità, mi ha equiparato a una coltivatrice diretta, dandomi un sussidio ridicolo.

Per la seconda gravidanza sono dovuta stare alcuni mesi a casa: da gennaio a ottobre ho ricevuto 11.000 euro, che tassati sono meno di 6.000 e che mi sono arrivati solo la settimana scorsa. Nel frattempo come avrei dovuto vivere? Perché, ultima aberrazione, durante la gravidanza non puoi fatturare neanche un euro, come se fossi una lavoratrice dipendente in congedo, cosa che ovviamente non sono.

In altre parole, noi che produciamo fatturato e ricchezza, non siamo messo in condizioni di poter lavorare, pur pagando moltissimo per non avere tutele. Tra l’altro per la gestione separata Inps è impensabile guadagnare più di 80.000 euro, oltre questo tetto tutto viene utilizzato per tasse e pagamenti. Ma la cosa più assurda è che quei sudati contributi non vanno ad alimentare la mia gestione separata, ma sono usati per pagare le pensione di dirigenti e altri lavoratori dipendenti. Io ho rischiato, mi sono messa in proprio, mi sono inventato un modo di lavorare e ho fatto due figli, quando andò in pensione avrà poco o nulla».

Francesca S., 36 anni, archivista

«Lo Stato? Ancora crede che chi ha la partita Iva sia ricco»

Sono nata come archeologa. Poi, per sfuggire allo sfruttamento delle cooperative cui il ministero subappalta il lavoro nei cantieri, sono diventata archivista. Guadagno tra i 7 e gli 8 mila euro l’anno, eppure l’Inps mi chiede insieme i contributi dell’anno in corso più l’acconto dell’anno successivo, almeno 4000 euro tolti i quali non mi resta molto per vivere.

Lo Stato ancora crede stato pensa che chi ha una partita Iva navighi nell’oro, tanto che all’asilo pubblico un dipendente viene prima di te nella graduatoria. Certo, è vero che all’inizio non ci sono costi per aprirla, ma il regime fiscale agevolato al 5% si rivela inutile se poi la quantità di contributi da versare è talmente alta che per pagarla chiedere un prestito ai parenti.

Ricordo che quando mio figlio aveva cinque mesi – lo Stato mi ha dato un assegno di maternità di 1500 euro una tantum arrivato quando lui aveva due anni – lo portavo con me presso gli archivi di stato. Oggi ho smesso di lavorare per amministrazioni e istituzioni pubbliche, che ti pagano dopo una o due anni, e faccio l’archivista soprattutto per clienti privati. Un lavoro che mi sono inventata da sola, e che potenzialmente, oggi che Equitalia può chiederti una documentazione di anni fa, è una professione che avrebbe buone potenzialità di crescita: ma se devo dare allo Stato il 60% di quello che guadagno o che si suppone che guadagnerò, i conti non possono tornare. Non posso evadere, e in più se poi l’anno successivo il mio reddito si abbassa sono io che devo dimostrare allo Stato, con una lunga trafila burocratica, che guadagno di meno. Mentre nel frattempo devo continuare a vendermi sul mercato e a formarti, oltre a spiegare ai parenti che mi sostengono perché ha senso continuare a lavorare per così poco.

E poi c’è il problema della rappresentanza: perché oggi si ventila il mantra del “fare rete”, poi però di fatto chi ti rappresenta sono associazioni di secondo livello, paraistituzionali. Le quali, mentre da un lato non ti danno vantaggi, dall’altro rischiano di disperdere il senso della libera professione, perché invece di liberalizzare tendono a verticalizzare. L’altra alternativa inutile è creare un ordine, ma poi chi decide le commissioni e i criteri di ammissione? Per fortuna che ci sono anche associazioni trasversali come ARCH.I.M, Archivisti in Movimento, un gruppo di professionisti che lavorano soprattutto fuori dalle istituzioni pubbliche. Con l’obiettivo di regolare una professione sulla quale non c’è chiarezza e anche stimolare gli umanisti a capire che il mondo è cambiato e a scendere in campo per proteggersi contro una tassazione impossibile.

Massimo M., formatore linguistico e insegnante di lingue

«Ti spingono a evadere, o a chiudere»

«L’anno scorso ho fatturato 17.000 euro, e ne ho versati quasi settemila, praticamente di soli contributi, perché ancora posso ancora usufruire del regime Iperf al 5%, avendo da poco aperto la partita Iva. Ma quando andrò in tassazione piena e passerò al regime ordinario, sarò costretto a chiudere la partita Iva, visto che tra Inps dell’anno in corso più l’anticipo e le tasse il lordo si decurta di quasi il sessanta per cento.
Mi sono messo a insegnare lingue nelle aziende a 31 anni, dopo una laurea in scienze del lavoro a Milano e qualche anno come responsabile commerciale di una filiale per un’agenzia per il lavoro dipendente. A me andrebbe bene così, se riuscissi a pagare un Inps ragionevole, non cerco l’assunzione. Invece è assurdo che si faccia pagare un’aliquota simile a persone che guadagnano poco, meno di professionisti iscritti all’albo che possono cavarsela con meno, e tutto questo per una pensione ridicola.
Ovvio che poi sei spinto a evadere, anche se nel nostro caso si fattura tutto, al massimo qualche ripetizione privata. Nel frattempo ho avuto un’ernia del disco, ho fatto domanda per il sussidio di malattia, sto aspettando che me l’accettino, ma la cosa ridicola è che, in teoria, non dovrei fatturare nulla. Come se lo Stato non sapesse che quello che fattura mi verrà pagato tra quattro mesi. La politica, partito democratico compreso, ancora crede che il lavoro sia solo quello dipendente operaio. Siamo ancora fermi lì».

Marianna M., 33 anni, traduttrice tecnica
«Fino ad agosto guadagni, poi sono solo pagamenti»

«Va bene, ho fatto un dottorato poco spendibile, tra Palermo e Parigi, in letteratura moderna francese. Ma finita l’università ho cominciato a lavorare per alcune agenzie straniere, statunitensi, canadesi o australiane, a tempo pieno, la mia famiglia è maltese e parlo molto bene l’inglese. Mi occupo di revisioni di testi medici, sperimentazioni farmaceutiche, traduzioni in ambito informatico, siti web, marketing e lavoro a tutte le ore, anche la notte, visto che la mia project manager di New York può cercarmi in qualsiasi momento.

Ho aperto la partita Iva l’anno scorso, a regime minimo, eppure sui circa 11.000 euro che guadagno quasi il 30 per cento se ne va per per l’Inps, le spese del commercialista, e le assurde marche da bollo che devo pagare per ogni traduzione. Il nostro regime fiscale poi non è chiaro, siamo professionisti senza ordine, diversi dai traduttori editoriali, tanto che a volte neanche i commercialisti sanno cosa consigliarti: sta di fatto che praticamente guadagni fino all’estate, poi da agosto a novembre devi versare migliaia di euro all’Inps e non sai come vivere.

In più, il nostro lavoro comporta una continua formazione, oltre che un’autopromozione costante: bisogna avere un sito, curare la propria pagina sul portale, il curriculum, poi gestire la nostra fatturazione e la burocrazia. E, ovviamente, tradurre dalla mattina alla sera, per guadagnare un minimo, anche perché con la crisi è aumentata la domanda di lavoro e si sono abbassati i compensi. Ormai sui siti di traduzione c’è chi si offre di tradurre per 2 centesimi a parola, quando di media siamo pagati 7/8 centesimi. Io ho un piccolo sogno, acquistare un mini appartamento qui a Palermo per uscire da casa dei miei. Loro mi aiuterebbero, ma anche io devo mettere la mia parte e non sono certa di farcela».

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Siamo tutti complici - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso