La legge 40 vieta questa pratica nel nostro Paese. Così le coppie eterosessuali o lesbiche che non vogliono recarsi in una clinica estera, spesso per motivi economici, si 'arrangiano' cercando sul web. Ecco come si incontrano e come cercano di evitare i rischi di affidarsi a uno sconosciuto
La fecondazione eterologa in strutture pubbliche e ospedaliere, come si sa, in Italia è vietata dalla legge 40. Ma c'è un nuovo modo per aggirare il divieto, a parte il classico viaggio verso cliniche estere: è la fecondazione fai da te.
Nel nostro paese dilagano sempre di più gruppi di contatto – su Facebook o su siti creati appositamente – dove le donne e le coppie che desiderano avere un bambino possono trovare un donatore di sperma assolutamente gratuito. Al massimo, dovranno rimborsargli le spese di viaggio e di alloggio nel caso non risieda nella stessa città.
A questi donatori privati, “sciolti” da agenzie specializzate, si rivolgono sia coppie etero – sposate e non, con lui sterile – che coppie lesbiche, come anche diverse donne single che decidono di avere un figlio e che non hanno un compagno. Lo fanno soprattutto spinte da motivazioni economiche, perché comunque questo metodo costa meno di una clinica: per quelle danesi, le più economiche, tra servizio di inseminazione, viaggio e soggiorno vanno via almeno 2500-3000 euro. Rarissimamente la fecondazione avviene con un rapporto sessuale: la gran parte delle volte il donatore consegna alla donna un vasetto con il suo sperma, e lei provvede dopo pochi minuti a iniettarselo con una semplice siringa sprovvista dell'ago.
Rapporti perlopiù informali, quindi: un contatto su Internet, magari un incontro per una chiacchierata, non sempre lo scambio dei documenti di identità, ma di solito al minimo il donatore mostra le proprie analisi recenti, per evitare il rischio di contagio delle principali malattie. Poi si passa all'azione: la donna che ha scelto di tentare la gravidanza incontra il donatore nei giorni dell'ovulazione, da sola, o accompagnata dalla partner o dal compagno/marito. Spesso la location scelta è una camera d'albergo: il donatore si apparta in bagno, poi consegna il vasetto (quello sterile, usato per le urine) con lo sperma e va via. La donna, con il suo “kit”, una normale siringa da iniezioni, procede ad “autoinseminarsi”: entro pochi minuti deve aspirare il seme dal vasetto e inserire la siringa nella vagina, cercando di versare il contenuto sulla cervice dell'utero. Se la gravidanza andrà a buon fine, successivamente ogni tanto scriverà al donatore, mandandogli magari immagini dell'ecografia, e via via le foto del bambino. Ma i contatti potrebbero anche interrompersi del tutto, e comunque di solito non vanno oltre: a meno che non voglia avere un nuovo figlio, che preferibilmente, a distanza di qualche anno, sceglierà di avere con lo stesso donatore.
Tutto questo nella maggioranza dei casi. C'è però un altro tipo di esperienza che va diffondendosi, soprattutto nel mondo gay: la cogenitorialità. Ovvero la scelta di non fermarsi alla semplice donazione, ma di condividere con il donatore anche la crescita e l'educazione del figlio, come se si fosse una coppia vera, non legati però da un vincolo d'amore e risiedendo in case diverse. Già da qualche anno la sperimentano diverse coppie lesbiche con un amico o una coppia di amici gay, o anche donne single con un gay o una coppia gay. Un costume che sta dilagando, grazie principalmente al sito internazionale
cogenitori.it.
C'è infine la possibilità di rivolgersi a siti esteri, come il
Free Sperm Donation Worldwide, che offrono bacheche per cercare il donatore ideale, e provvedono a recapitarti a casa il kit per l'inseminazione fai da te: costa intorno ai 25 euro, è composto da una guida, un recipiente per lo sperma, una siringa da 10 ml, test di fertilità e di gravidanza, un documento-accordo da firmare eventualmente con il donatore (ma cambiando le leggi a seconda dei paesi, la parte “legale” è sicuramente la più difficile da affrontare).
Altri siti, ad esempio danesi, come il
Cryos International, spediscono lo sperma a domicilio, anche in Italia: può provenire da donatori anonimi o non anonimi, costa più o meno a seconda del numero di spermatozoi presenti in un millilitro (e quindi in base alla potenziale fertilità), viene inviato in contenitori ripieni di azoto liquido o ghiaccio secco per la conservazione.
Marco, 22 anni, fiorentino, studente universitario, è il fondatore della pagina Facebook “
Donazione di seme: dono di vita”, che funziona da più di un anno e ha oltre cento membri. Lui è un donatore attivo su Internet con lo pseudonimo di
Jens Nergaard: ha già cinque figli biologici, in Toscana, Umbria, Puglia, Sicilia, uno perfino in Brasile, e altri tre sono in arrivo. Su Facebook esistono tanti altri donatori “professionisti”, ma sempre rigorosamente gratuiti, come l'americano
Joe Donor – che nel gruppo di Marco posta le foto dei suoi bambini – o l'olandese
Donatore Seme Jonathan, dell'Aia, capelli biondi e fisico da vichingo: “Ho 32 anni, sono single ed eterosessuale – scrive in un post – Sono disponibile a viaggiare per voi, ad aiutare nuove donne come ho già fatto in passato con successo”. Ciascuno di loro ha dai 10 ai 25 figli biologici sparsi nel mondo, chi ha iniziato da più tempo supera i 50.
A spingere i donatori, come spiega Marco, “è spesso la voglia di aiutare gli altri, di donare la vita”. Julius, attivo con l'alias
Mikael Gustavsson, è un donatore svedese: ci conferma via Facebook che per lui, fin dall'inizio, è stato importante “dare gioia a famiglie che volevano un bambino: è nuova vita, creatività di cui il mondo ha bisogno”. Julius ha due figli biologici in Italia, due in Ticino, diverse altre decine nel resto d'Europa e negli Usa. “Ci sono anche casi – riprende Marco – in cui si avvicinano persone ambigue, che vogliono conoscere le donne per un contatto erotico: nel mondo di Internet capita di tutto e bisogna selezionare, queste persone non vengono ammesse nel mio gruppo”.
Marco ha avuto solo in due casi un rapporto sessuale con le donne che ha aiutato. In uno di questi, una coppia pugliese, il marito era consenziente e si trovava nella stanza accanto: è stato concepito un bambino che oggi ha 8 mesi. Ma sono eccezioni: la quasi totalità delle volte tutto si risolve con il vasetto delle urine e la siringa.
Michela e Salvo – usiamo nomi di fantasia, perché non vogliono rivelare la loro identità – sono una delle coppie aiutate da Marco, vivono a Palermo. Hanno un figlio di quasi due anni: “Ci siamo sposati nel 2006 – spiega Michela – e da allora abbiamo sempre tentato di avere dei figli: abbiamo provato la fecondazione omologa assistita, ma nulla da fare. Escludendo di andare all'estero per motivi economici, abbiamo cominciato a esplorare il mondo dei donatori privati, e così ci siamo imbattuti in Marco. Siamo andati due volte da lui a Firenze, ma non ha funzionato. Poi una volta che era qui in Sicilia in vacanza, lo abbiamo raggiunto e nonostante mille peripezie il concepimento c'è stato”. “Ci siamo accordati dentro la chiesa del paese, per non farci notare in piazza - spiega Salvo – Poi lui è andato in fretta a casa dei parenti che lo ospitavano, per preparare la provetta: abbiamo fatto l'inseminazione in un parcheggio abbandonato, e pensavamo che dato il caldo e tutti questi imprevisti non sarebbe andata, invece ora abbiamo nostro figlio”.
Se chiedi a Michela e Salvo se riveleranno mai la verità a loro figlio, loro nicchiano, rispondono con difficoltà: “Ci abbiamo pensato, ma è un problema che affronteremo magari quando sarà più grande. Per ora pensiamo di no”. Di diversa opinione, dice Marco, è Bianca, una ragazza brasiliana, che è venuta per lui addirittura da San Paolo, ha già un figlio di quasi un anno, e quest'anno in settembre è rimasta di nuovo incinta, sempre di Marco: “Bianca è sposata ma suo marito è sterile, cercava un donatore italiano perché tutta la sua famiglia ha origini italiane. Sua madre e sua nonna sanno di me, e lei dice che spiegherà tutto ai suoi figli, quando arriverà il momento”.
Roberta e Giulia (anche qui usiamo nomi di fantasia, come ci è stato richiesto) sono una coppia lesbica, vivono in un centro della Lombardia. “Stiamo insieme da 11 anni – racconta Roberta – e fin dall'inizio del nostro rapporto abbiamo desiderato di arricchire la nostra famiglia. Abbiamo chiesto consigli sulla omogenitorialità alle
Famiglie Arcobaleno, poi per conto nostro abbiamo cominciato a navigare sul web. Il nostro donatore lo abbiamo trovato sul
Known Donor Registry: un ragazzo scandinavo, dopo diversi tentativi andati male con donatori italiani. Una persona scrupolosissima, siamo fortunate: ci ha subito inviato via mail tutti i suoi documenti di identità, poi al primo incontro ci ha mostrato un faldone con le sue analisi dal 2006, anno in cui ha cominciato a donare. A noi interessava un punto fondamentale, e anche per questo lo abbiamo scelto: volevamo una persona disponibile a conoscere nostro figlio, in futuro, qualora quest'ultimo ci chiedesse di incontrare il suo padre biologico”.
Il figlio di Roberta e Giulia adesso ha 8 mesi. Roberta, che lo ha generato, lo allatta, ma per il resto dividono equamente con Giulia tutti i compiti di cura. “Per la legge è solo figlio mio – dice Roberta – ma noi lo abbiamo voluto insieme, lo consideriamo di entrambe. Vorremmo che la legge riconoscesse non solo i matrimoni omosessuali, ma anche la possibilità per uno dei partner di adottare il figlio dell'altro. Il paradosso è che Giulia risulta nel mio stato di famiglia, perché risediamo insieme, e per il diritto all'asilo nido i nostri redditi fanno cumulo: ma perché lei possa andarlo a prendere nello stesso asilo, io devo scriverle una delega”.