
Nel social network più amato da star e politici, che conta 270 milioni di utenti attivi ed è ormai secondo solo a Facebook, si trova una rete di account creati al solo scopo di diffondere foto e video sui minori. “L’Espresso” ha ricevuto una segnalazione da un lettore: poi ha verificato, approfondito e indagato, confermando l’esistenza di una quantità enorme di materiale pedopornografico rivoltante e visibile a tutti, raggiungibile con un clic da chiunque utilizzi il sito. Il network pedofilo è composto da centinaia di account internazionali attivi da diversi mesi, su cui è adesso al lavoro la Polizia Postale diretta da Antonio Apruzzese, che ha subito preso in carico la segnalazione de “l’Espresso”.
Gli amici degli amici Come nella fiaba di Pollicino, ricostruire il giro della pedopornografia su Twitter richiede solo una prima mollichina di pane da cui cominciare la ricerca. Una volta trovato un account sospetto, basta andare a guardare chi segue e da chi è seguito per avere una più chiara immagine di quanto estesa sia la rete, composta dalle reciproche amicizie e dai retweet che gonfiano il volume del network.
I membri di questa comunità tendono tutti a somigliarsi. Come nel caso del già citato “Michael”, chi abita Twitter per questo genere di attività si presenta spesso come un bambino, fornisce una descrizione di fantasia delle proprie abitudini citando scuole, videogiochi o gruppi musicali, mette una foto a volte ammiccante e altre molto esplicita e segue solo altri profili simili al suo. Tanti specificano sin dal proprio nickname di essere (o comunque di identificarsi) in dodicenni, quattordicenni e anche ragazzi più giovani. Una sorta di slogan pubblicitario per far capire, a chi ha orecchie per intendere, che tipo di materiale si può ottenere da quella persona. Un vero e proprio codice condiviso da chi conosce il giro.
Come cinguetta il pedopornografo Il modo di agire on line di questi account varia di caso in caso. Ci sono persone che condividono con frequenza foto e video con immagini molto esplicite e c’è chi invece preferisce retwittare gli altri o lasciare commenti, in genere in inglese, arabo o spagnolo. C’è anche chi dopo aver attivato il profilo e aver inserito alcune foto, rimane in silenzio ad aspettare e a guardare i contenuti degli altri. Almeno a un primo sguardo però, non sembrano coinvolti profili di chiara origine italiana, effetto forse della minore diffusione del social network nel nostro Paese.
Gran parte dei profili e dei contenuti di questo giro inquietante sono del tutto visibili sia agli utenti sia ai motori di ricerca come Google, mentre solo una piccola parte dei criminali nasconde i suoi scatti e deve approvare personalmente i suoi “follower” prima che possano accedere a questi materiali.
La scarsa preoccupazione per la segretezza è dimostrata anche dall’uso di immagini esplicite nella foto profilo e nella copertina (una grande immagine orizzontale usata sulle pagine personali di Twitter) e non è raro imbattersi in veri e propri hashtag usati dalla comunità dei pedofili per segnalarsi l’un l’altro i contenuti per loro di valore. L’hashtag non è altro che una parola chiave, preceduta dal simbolo del cancelletto (#), usata sul social network per identificare alcuni contenuti e renderli più facilmente ricercabili all’interno della rete. È possibile così cliccare su queste parole per raggiungere grandi quantità di contenuti illegali diligentemente catalogati da altri.
Se è Twitter a guidarti tra gli orchi La stretta correlazione di tanti account pedopornografici, intrecciati tra loro in un rapporto di follower e following, genera anche un altro incredibile fenomeno.
Iniziando a seguire alcuni di questi profili, infatti, sono gli stessi algoritmi di Twitter a “suggerire” all’utente di interessarsi anche ad altri soggetti simili, portando al paradosso di poter costruire in pochi clic una pagina che riceve in automatico gran parte di questi materiali e senza alcuno sforzo. Un effetto collaterale della funzione, in altre circostanze molto utile, che tutti i social network hanno introdotto per aiutare gli utenti a stringere amicizie o a coltivare i propri interessi. E che si attiva anche quando gli interessi sono devianti.
Allarmi inascoltati La presenza di una rete tanto estesa di possibili pedofili su Twitter (e la facilità di accedere ai loro messaggi e contenuti) sorprende almeno in parte. Tra tutti i social network e i sistemi di messaggistica comparsi negli ultimi anni, il sito dei cinguettii sembrerebbe infatti quello meno adatto alle attività illecite. Fin dalla sua nascita, Twitter ha infatti premuto l’acceleratore sulla diffusione pubblica e condivisa dei contenuti, differenziandosi da Facebook che ha prediletto, almeno in parte, una più attenta gestione della privacy. Ed è quindi assai più facile nascondere qualcosa su Facebook che su Twitter. «Ma il numero di segnalazioni di pedofili e pedopornografi attivi sui social network è direttamente proporzionale al loro successo», spiega Elvira D’Amato, vicequestore aggiunto e responsabile del Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia online (Cncpo), l’organo di Polizia che si occupa della prevenzione e del contrasto del fenomeno e coordina le indagini sul tema in Italia. «Queste persone hanno spesso un social network, un sito o una app preferite per scambiarsi materiale o adescare minori, ma nella gran parte dei casi usano più strumenti. Non è quindi impossibile ricevere segnalazioni di scambio di materiale pedopornografico anche su Twitter». Segnalazioni che arrivano dai cittadini, dalle istituzioni e dalle associazioni di tutela del minore e portano poi all’apertura di indagini o all’inibizione dei contenuti, anche grazie alla collaborazione internazionale tra le forze dell’ordine, i provider e i gestori dei social network.
I problemi di Twitter con la pedopornografia non sono in effetti una novità assoluta. Già nel 2012 un’inchiesta del giornale inglese “Sunday Mirror” aveva denunciato la presenza di centinaia di account usati per adescare minori o per scambiarsi foto e video. L’eco di quell’indagine aveva portato a un’ondata di segnalazioni da parte degli utenti e a una caccia al pedofilo on line lanciata dal gruppo di hacker di Anonymous. Passata quella ondata però, le cronache delle azioni di contrasto alla pedofilia e alla pedopornografia on line hanno raramente interessato il social cinguettante, mentre si hanno molte più notizie dell’interessamento delle forze dell’ordine per altri lidi e, di recente, per il cosiddetto “deep Web”, la parte più nascosta della Rete.
Le regole del sistema A disincentivare l’uso di Twitter per questi traffici dovrebbero essere in teoria le regole imposte dal sito stesso e i possibili controlli sugli account. I termini di utilizzo di Twitter, quelli che ogni persona deve accettare per usarlo, sono naturalmente severi e vietano la violazione delle leggi locali e l’uso di immagini oscene come foto profilo. A queste regole generiche si aggiunge poi una specifica policy per la tutela dei minori: «Non tolleriamo lo sfruttamento sessuale minorile su Twitter», si legge nel documento: «Quando veniamo a conoscenza di link a immagini o contenuti che promuovono lo sfruttamento sessuale minorile, tali contenuti verranno rimossi dal sito senza preavviso e segnalati al Centro nazionale per i bambini scomparsi e sfruttati e sospendiamo definitivamente gli account che promuovono o contengono aggiornamenti con link allo sfruttamento sessuale minorile».
Con 500 milioni di tweet postati ogni giorno non stupisce però la presenza di alcune falle nei sistemi di controllo. E se è vero che gran parte della rete di account segnalati da “l’Espresso” è stata rimossa poche ore dopo la nostra denuncia presso la Polizia Postale, alcuni profili sono sopravvissuti e altri utenti sembrano essersi premurati di creare identità multiple proprio per affrontare situazioni simili. Oppure hanno messo in atto altre precauzioni.
Nascosti nelle chat Tanti profili pedopornografici, forse preoccupati dal possibile allontanamento da Twitter, rimandano infatti con un link dalla propria breve biografia ad altri luoghi virtuali in cui conoscersi meglio e, probabilmente, scambiarsi materiale illecito lontano da occhi indiscreti. Ad andare per la maggiore per questo tipo di traffici sono i nuovi sistemi di messaggistica istantanea, come le app per smartphone Kik, Snapchat e perfino il popolare Whatsapp, considerate più sicure e meno rintracciabili dalle forze dell’ordine, spesso erroneamente. Così i contatti nati su Twitter, usato quasi come una vetrina, si spostano verso altre piattaforme. Andando ad alimentare un traffico di immagini e video che diventa sempre più difficile contrastare.