Caso Alpi, il supertestimone ha mentito Vent'anni dopo l'omicidio la verità è più vicina

Il somalo che aveva accusato Hashi Omar Assan è stato scovato da “Chi l’ha visto” : gli italiani avevano fretta di chiudere il caso e gli hanno promesso denaro in cambio di una sua testimonianza, si legge in una nota del programma.  Scoprire chi ha depistato è la via maestra per arrivare ai mandanti

Era uccel di bosco dal dicembre del 1997, quando lasciò l’Italia diretto verso il Regno Unito. Il supertestimone del caso Alpi, il somalo che aveva accusato Hashi Omar Assan - unico condannato per l’agguato costato la vita alla giovane giornalista del Tg 3 il 20 marzo 1994, a Mogadiscio - si era reso irreperibile dopo aver deposto davanti alla Digos e alla Procura di Roma. Mai apparso in Tribunale, lasciando dietro di sé il sospetto di una testimonianza in qualche maniera pilotata.

Alla fine sono stati i colleghi di Ilaria Alpi a scovarlo. Ai giornalisti del programma di Rai 3 “Chi l’ha visto” Ahmed Ali Rage, detto Gelle, il supertestimone sparito nel nulla, ha confermato di aver mentito: “Gli italiani avevano fretta di chiudere il caso - riferisce una nota del programma - e gli hanno promesso denaro in cambio di una sua testimonianza al processo: doveva accusare un somalo del duplice omicidio”. Un capro espiatorio, dunque, un nome da dare in pasto all’opinione pubblica e alla famiglia, cercando di chiudere un caso complesso e politicamente delicato.

La lunga fuga di Ahmed Ali Rage è la chiave di volta del caso Alpi. Già nel 2006 le autorità italiane conoscevano tutto sul testimone sparito. Una nota dell’Interpol diretta alla commissione d’inchiesta sulla morte dei due giornalisti Rai indicava con precisione molti elementi per trovare e ascoltare Gelle: l’indirizzo della sua casa a Birmingham, dove andava a ritirare il sussidio da rifugiato politico, i suoi contatti nel Regno Unito. E il nome della moglie, Kadro Arale.

Nel frattempo il Tribunale di Roma aveva aperto un processo contro il supertestimone per calunnia, dopo la rivelazione di una telefonata tra il testimone e un giornalista collaboratore di Rai International, dove Gelle
Il somalo Hashi Omar Hassan, accusato di concorso nel duplice omicidio
sosteneva di essere stato pagato per raccontare il falso. Nulla, però, è accaduto. Ahmed Ali Rage non è stato mai trovato dalle autorità italiane e il processo si è concluso con un’assoluzione, basata sulla impossibilità di verificare l’autenticità della telefonata e della voce di Gelle.

Per trovare il testimone somalo in fondo bastava poco. La moglie Kadro Arale lo scorso anno era regolarmente registrata sulle liste degli elettori di Birmingham. Documenti pubblici, consultabili facilmente sul web. All’indirizzo indicato abitava la famiglia di Gelle, strettamente protetta dalla comunità somala. “Cosa volete da lui?”, aveva risposto un anno fa la moglie, mentre vicini e altre famiglie somale creavano un muro invalicabile. Gelle in quei giorni era assente, ma bastava insistere con le domande per avere la conferma di essere nel posto giusto. Se il vecchio indirizzo indicato dall’Interpol nel 2006 era ormai “bruciato”, le tracce lasciate dalla moglie e dai figli erano chiari e inequivocabili.

Ora le sue parole registrate da Rai 3 riaprono con forza il caso. La Procura di Roma - che ha ancora aperto il fascicolo sull’agguato del 1994 - dovrà capire chi ha pagato Gelle per mentire. Scoprire chi ha depistato è la via maestra per arrivare ai mandanti. Vent’anni dopo l’agguato di Mogadiscio forse la verità è più vicina.

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