Dietro "Costruiamo il futuro" i contributi di 58 aziende. Finanziamenti anonimi da colossi privati anche nel 2015.? Quagliariello: basta bilanci segreti, serve una legge seria

Maurizio Lupi
Una fondazione made in Brianza è finanziata da un cerchio magico di decine di imprenditori amici di Maurizio Lupi, l’onorevole ex ministro delle Infrastrutture che, dopo il divorzio tra i vertici ciellini e Berlusconi, ora è il capogruppo dei centristi di Ncd e Udc alla Camera.

La fondazione ha un nome edilizio, «Costruiamo il futuro». È stata creata il 21 febbraio 2009 dalla fusione di due omonime associazioni brianzole, gestite da imprenditori e politici legati a Comunione e Liberazione, ed è registrata in prefettura a Lecco. Il capitale iniziale era di 100 mila euro: il presidente Lupi ne ha versati mille, le associazioni dei ciellini 49.500 euro ciascuna.

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La particolarità di questa fondazione, rispetto agli analoghi enti collegati a politici nazionali (esaminati da “l’Espresso” nell’inchiesta della settimana scorsa), è la quantità di aziende private che la sostengono. Il vicepresidente operativo è un imprenditore, Lino Iemi, soprannominato il re dei centri commerciali: nell’anno di nascita della fondazione dichiarava di controllarne 40 solo in Italia, dopo averne costruiti e venduti molti altri in Ecuador. Negli organi direttivi, accanto al politico e imprenditore lecchese Francesco Sangiorgio, si avvicendano rappresentanti di note aziende lombarde come Frigerio Viaggi e Salumificio Beretta.

Nell’elenco integrale dei 117 soci fondatori e primi finanziatori, depositato dal presidente Lupi, si contano ben 58 società commerciali: sono soprattutto piccole e medie imprese di costruzioni, immobiliari, impianti elettrici e idraulici, studi di ingegneria, rifiuti e discariche, alimentari e mense, ma non mancano colossi come Deloitte, la multinazionale della consulenza, rappresentata dal manager italiano Antonio Cattaneo.

Anche tra le 59 persone sostenitrici di Lupi compaiono professionisti e manager. Alcuni hanno lo stesso nome di imprenditori brianzoli poi coinvolti in indagini per fallimenti immobiliari, appalti pubblici truccati o frodi fiscali: gli atti depositati però non indicano alcun elemento, come la data di nascita o il codice fiscale, in grado di escludere eventuali omonimie.

Di «Media Service srl di Filippo Duzioni», invece, ne esiste una sola: è l’azienda al centro dello scandalo di corruzioni e bancarotte edilizie culminato nell’arresto dell’ex assessore lombardo Massimo Ponzoni, legatissimo all’ex governatore ciellino Roberto Formigoni. Nel processo di primo grado, Duzioni è stato condannato a tre anni e due mesi come tesoriere delle presunte tangenti versate nel 2009 all’allora assessore all’urbanistica di Desio, il ciellino Antonino Brambilla (mezzo milione di euro) e allo stesso Ponzoni (oltre un milione). Obiettivo: cambiare le regole edilizie, azzerare il verde e costruire l’ennesimo maxi-centro commerciale nella terra brianzola che diede i natali a don Luigi Giussani. Brambilla è un’eminenza grigia del vertice politico che da trent’anni guida il popolo ciellino: già condannato ai tempi di Mani Pulite, ora si gioca la libertà nel giudizio d’appello insieme a Ponzoni e a Duzioni, il sostenitore di Lupi.

“Costruiamo il futuro” non pubblica le somme versate dai 117 finanziatori iniziali né dai benefattori successivi. “L’Espresso” non ha ottenuto dalla prefettura di Lecco neppure i bilanci. Il sito della fondazione quantifica solo una voce di spesa: ben 393 mila euro girati ad associazioni di volontariato. Sulle entrate, pubblica una lista di «sostenitori del 2015», ma senza cifre: sopra la scritta «grazie!» compaiono i marchi di 35 società, tra cui Lottomatica, Ricoh, Marriott, Hilton, Credito Valtellinese, Bcc di Carate Brianza, Omet, Edilsud, Cave Satima, Ivri sicurezza, Sangiorgio costruzioni, oltre al gruppo degli europarlamentari popolari. Lo stesso Lupi inoltre ringrazia per l’adesione altri ciellini di rango come Raffaello Vignali, Renato Farina ed Elena Centemero.

Fondazioni
Ermete Realacci e la discarica bocciata
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Nei primi quattro anni, il sostegno economico di un così alto numero di aziende private non ha creato imbarazzi al politico milanese, che era già parlamentare e amministratore della Fiera di Milano, la città dove iniziò la carriera politica come assessore all’urbanistica del centrodestra. Il 4 maggio 2013 però, una settimana dopo la nomina a ministro del governo Letta, lo stesso Lupi segnala alla sua fondazione di trovarsi in «conflitto d’interessi» e si «auto-sospende dalla carica di presidente». La fondazione viene quindi affidata ai suoi vice, Iemi e Sangiorgio.

Confermato nel governo Renzi, Lupi si dimette da ministro nel marzo 2015, senza essere indagato, quando l’inchiesta sulle grandi opere svela i rapporti troppi stretti con la società privata di un super-consulente del suo ministero arrestato a Firenze, che gli aveva fatto regali di valore e assunto un figlio. Oggi Lupi continua a comparire nella fondazione-cassaforte come «presidente autosospeso», ma di fatto è sempre lui ad animare le cene con gli imprenditori e a presentarne le attività sul sito: convegni, seminari, una rivista e una scuola di formazione politica.

L'intervento
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L’inchiesta de “l’Espresso” intanto sta aprendo il dibattito sul problema dei finanziamenti anonimi incassati dalle fondazioni. Il senatore Gaetano Quagliariello, presidente di Magna Carta, ha scritto al nostro settimanale una lettera dove annuncia che la sua fondazione «sta lavorando a una proposta di legge che prescriva meccanismi di controllo e trasparenza» (invocati su “l’Espresso” dal magistrato anti-corruzione Raffaele Cantone), «approdi all’istituzione di un registro delle fondazioni e introduca finalmente una linea di demarcazione tra le fondazioni che lavorano, producono ricerca, realizzano cultura, e le scatole vuote che servono solo a drenare finanziamenti a beneficio dell’attività politica dei loro dominus».

Vincoli rigorosi erano in realtà già previsti dal vecchio codice civile: fino a vent’anni fa le fondazioni non potevano «accettare donazioni» di nessun tipo senza un’autorizzazione statale, e nemmeno modificare gli statuti che fissano le regole di gestione dei soldi. Entrambi i divieti sono stati aboliti da due leggi approvate sotto i governi di centrosinistra tra maggio 1997 e febbraio 2000. Da allora le fondazioni non hanno più neppure l’obbligo di pubblicare i bilanci né dichiarare i finanziamenti privati. Quella liberalizzazione ha avuto un grande successo trasversale. Delle 65 fondazioni collegate a politici nazionali censite dai ricercatori di Openpolis, più di metà (33) sono state costituite dal 2000 al 2009. E altre 17 dal 2010 al 2015. Nel mezzo secolo precedente, dal 1950 al 1999, ne erano nate 18 in tutto.

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