L'intelligence italiana: «Non gettiamo la croce sui servizi del Belgio, sono attentati quasi impossibili da prevedere. In Italia seguiamo una cinquantina di jihadisti, il numero è in crescita, la radicalizzazione sempre più veloce. Da noi quartieri come Molenbeek non esistono, ma lupi solitari possono fare danni. Ovunque»

«Sarebbe un errore gettare la croce sui servizi segreti del Belgio. Attacchi asimmetrici come quelli di Bruxelles possono capitare ovunque. Anche in Italia». Così ragiona una fonte qualificata della nostra intelligence, che da tre anni segue una cinquantina di possibili jihadisti e foreign fighther che si muovono nelle nostre città.

«Attacchi kamikaze come quello al check-in dell'aeroporto, che in qualsiasi scalo del mondo è zona franca antistante il cordone dei controlli, o quelli delle due stazioni metro sono difficilissime da prevedere. Chiunque, anche soggetti poco addestrati, possono entrare in azione con modalità suicide».

Il livello di allerta, tra gli investigatori dei vari servizi di sicurezza nazionale del nostro paese, non cambia: era altissimo, e tale rimane anche dopo gli attentati di Bruxelles. «Sapevamo che i colleghi belgi e francesi si aspettavano un nuovo attacco. La cellula di terroristi che ha organizzato gli attentati del 13 novembre a Parigi è composta - secondo alcune ricostruzioni - da più di una sessantina di uomini, e molti sono ancora liberi. Ma nessuno sapeva dove e quando avrebbero colpito».

Gli interrogativi sono tanti, e finora le risposte definitive latitano. La concomitanza tra l'arresto di Salah, uno dei tre jihadisti ricercati per la strage del Bataclan, e le nuove esplosioni a Bruxelles fanno ipotizzare due scenari possibili: la vendetta dei superstiti della cellula nata e cresciuta a Molenbeeck, che serve a dimostrare la forza di gruppo che sembra invincibile, o l' ultimo colpo di coda messo a segno in fretta e furia, nel timore che Salah Abdeslam potesse iniziare a collaborare con le forze di sicurezza e bruciare i piani criminali dei terroristi.

La terza pista, quella più inquietante, e che dietro gli attentati di Bruxelles ci sia invece una nuova cellula di terroristi legati all'Isis rimasta finora dormiente: in quel caso significherebbe che la rete jihadista installata nel cuore dell'Europa è ancora più vasta e pericolosa di quanto non si ipotizzasse.

«Francia e Belgio, va sottolineato, hanno un rischio terrorismo molto diverso dal nostro: quartieri come quello di Molenbeek o le banlieu parigine, a grande maggioranza musulmana, in Italia semplicemente non esistono. Sono quelli i focolai della radicalizzazione islamista, i luoghi in cui gli emissari dell'Isis riescono a fare proseliti più facilmente, sfruttando le condizioni di disagio socio-economico in cui versano le seconde e terze generazioni».

Non è un caso che Salah abbia vissuto indisturbato la sua latitanza a pochi chilometri dalla casa nella quale è cresciuto, godendo di un'omertà vasta e radicata. Non è un caso che gli stragisti di Charlie Hebdo abbiano avuto rapporti con i guerrieri dell'Isis di Bruxelles, né che da Molenbeek siano stati pianificati gli attentati di Parigi.

«In Italia abbiamo evidenze che i nostri "homegrown mujahidin", cioè i possibili jihadisti nati e cresciuti nel nostro Paese, stiano crescendo di numero, e che l'Isis riesca a reclutarli sempre più giovani. Alcuni partono per la Siria, altri restano in Italia. Il processo di radicalizzazione è veloce e, come abbiamo spiegato in una relazione al Parlamento, spesso avviene a totale insaputa della famiglia d'origine», conclude il nostro 007 dell'antiterrorismo.

«Finora abbiamo stroncato sul nascere qualsiasi minaccia, ma non è detto che la squadra contro cui giochiamo stia facendo, in Italia, soltanto melina. Nel caso decidano di passare all'azione dobbiamo essere pronti a tutto. Ovunque».