Dall’edilizia al turismo, dal commercio ai convegni. Doveva essere solo un modo per far emergere il nero: invece è diventata una forma di impiego diffusa in tutti i settori

Piccoli pezzi da 10. Minime tessere, minuscoli frammenti di un puzzle che raccoglie però oltre un miliardo di euro di retribuzioni, ormai. Valgono più di un miliardo infatti gli “stipendi” pagati nel 2015 attraverso i pezzi da 10 dei voucher. I buoni, nati per l’emersione dei lavoretti in nero (pulizie, giardinaggio, ripetizioni) si stanno evolvendo in strumento di massa.

Fra i loro più grandi acquirenti ci sono le associazioni sportive e i club di calcio, che ne hanno bisogno per arruolare migliaia di steward durante le partite; oppure le catene di negozi come Stroili Oro, che cercano giovani per le attività di promozione nei centri commerciali; o gli organizzatori di convegni; o ancora i parchi di divertimento, che hanno abbracciato il tagliando azzurro come alternativa ai contratti temporanei che venivano sottoscritti, prima, per i weekend e le aperture straordinarie. Uno strumento più semplice. Ma anche più precario. Il “voucherista” è diventato un passepartout: dal ristoratore all’impresario edile, dall’albergatore al falegname, tutti lo chiedono, tutti lo vogliono. Perché è facile, costa poco ed è sempre in regola. Ma con l’ampliarsi dei modi e delle funzioni, sono aumentati anche gli infortuni, i trucchi, e le maschere per nascondere il volto dei nuovi sfruttati.
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I sindacati denunciano quello che si nasconde dietro al boom:«È come con il doping nello sport: appena riesci ad aggredire un problema, a reprimere gli abusi, subito chi vuole giocare sporco trova un altro sistema per truccare i risultati. Ecco: nell’edilizia, adesso, questo sistema è il voucher». Franco Turri è il segretario generale del sindacato dei lavoratori edili nella Cisl. I loro 600 osservatori stanno incontrando spesso voucheristi in cantiere.

A Torino, un’impresa impegnata nella ristrutturazione di una caserma dei Carabinieri aveva arruolato tre persone su 5 con voucher: beccati, sono stati costretti dal comandante a regolarizzare i dipendenti “accessori”. Sempre in Piemonte, un’altra ditta di restauri si è fatta trovare all’opera con cinque manovali: due subordinati, due voucher, una falsa partita Iva. Un’antologia del piccolo precariato. A Bari in un’azienda che produce scheletri in legno per divani, cinque falegnami sono passati dal nero assoluto, in contanti, al nero parziale con retribuzione a voucher per un terzo dello stipendio da 900 euro al mese. Un classico: nel corso di una visita della Guardia di Finanza, il padrone ha timbrato i ticket, evitando sanzioni. «La concorrenza nel settore è selvaggia, e ora la gara al ribasso sui compensi si fa anche così», dice Turri.

Dati sicuri su quanti siano i voucher in edilizia, non ce ne sono: il dubbio dei sindacati è che in molti si nascondano dietro quella categoria “altro” dentro cui sta un terzo dei 114 milioni di buoni venduti l’anno scorso. L’Inps sta redigendo un rapporto più approfondito, previsto per aprile. Lo stesso il ministero del Lavoro. In attesa, la preoccupazione resta. Soprattutto per i rischi: «I lavoratori in edilizia devono seguire 16 ore di formazione sulla sicurezza, prima di cominciare. I voucheristi? Niente», spiega il segretario.

Il tema è sociale, ma anche economico; nei 10 euro all’ora del ticket, il contributo Inail è standard: 70 centesimi. Che si tratti di un potatore arrampicato su un albero o di un’insegnante di greco, il versamento anti-infortuni è lo stesso. Così i rimborsi agli incidenti da “lavoro accessorio” ricadono sulla fiscalità generale. E gli infortuni, seppure pochi, accadono sempre più spesso: l’Inail ha registrato 1.180 denunce nei primi nove mesi del 2015, di cui 950 riconosciute valide. Nel 2014 erano state 1.400; nel 2012 solo 436. Ancora una volta è la categoria “altro” a coprire il 44 per cento dei casi. Seguito da ristorazione, agricoltura, giardinaggio. Ed edilizia. Appunto.
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La copertura Inail di centinaia di migliaia di mini-lavoretti che prima venivano eseguiti in contanti, senza alcuna assicurazione, è certamente un passo importante però. E dai riscontri immediati, a differenza forse di quanto si accantona per l’Inps: il 13 per cento dei 10 euro, una percentuale che non è mai stata aggiornata dal 2008, a differenza dei contratti a progetto. «Sono briciole», lamenta Corrado Brachetti della Cgil: «Le pensioni che torneranno ai lavoratori dalle ore retribuite coi voucher avranno cifre irrisorie». Senza incidere poi sull’anzianità contributiva. D’altronde i buoni erano nati per coprire gli extra, non per diventare “impieghi” a tutti gli effetti. E una polvere di versamenti, risponde convinto chi difende gli effetti positivi dei ticket, è sempre meglio del nulla. Anche se, come dimostrano le storie raccolte da “l’Espresso”, spesso i voucher servono più ad agevolare l’evasione, che a combatterla.

Ma la soluzione del problema, per il governo, c’è, e a portata di clic. «Renderemo necessaria la pre-attivazione del voucher via sms da parte del datore di lavoro; che dovrà indicare giorno, ora e numero del buono che intende utilizzare», spiega Filippo Taddei, responsabile economico del Pd: «Non c’è bisogno di un decreto ad hoc: basterà una procedura di revisione. Tempo pochi mesi e macro abusi come quelli dei tagliandi tenuti in tasca, inattivi, non saranno più possibili. Senza aggravi per le imprese». Voucher-ottimismo.