Tanti big nella seconda pubblicazione esclusiva dell'Espresso. Tra di loro anche Stefano Pessina, il terzo italiano più ricco, lo chef dei vip, gioiellieri, galleristi e dentisti

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Nel gigantesco labirinto virtuale dei Panama Papers ogni sigla rimanda a decine di altre. Nomi e storie si intrecciano e rimbalzano da un continente all’altro, tra paradisi esotici e grandi istituti bancari. Con un marchio che si ripete ovunque: Mossack Fonseca. In quarant’anni di frenetica attività, lo studio legale fondato a Panama da Ramon Fonseca e Jurgen Mossack si era trasformato in una griffe della finanza nera. Tutto è visibile, adesso. Le rivelazioni di questi giorni, alimentate dalla più grande fuga di notizie della storia della finanza, hanno illuminato il mondo di mezzo dei traffici offshore. E l’inchiesta dell’International consortium of investigative journalists (Icij), di cui “l’Espresso” è partner in esclusiva per l’Italia, ha raccontato gli affari segreti di migliaia di politici, star dello spettacolo e dello sport, grandi industriali e banchieri.

Nel libro mastro dei Panama Papers, il made in Italy è ben rappresentato. La scorsa settimana abbiamo già pubblicato una prima lista di cento nomi. Un elenco che comprendeva vip come Luca Cordero di Montezemolo, Barbara D’Urso, Carlo Verdone, ma anche decine di imprenditori e professionisti sconosciuti alle cronache. In queste pagine sveliamo un altro elenco di cento italiani che sono andati offshore via Panama, grazie a Mossack Fonseca.

C’È BARILLA ALLE ISOLE VERGINI

Ancora una volta, le sorprese non mancano. Nella lista, per cominciare, troviamo Emanuela Barilla, erede di una delle dinastie più celebri dell’industria nazionale, azionista insieme ai fratelli Guido, Luca e Paolo dell’omonimo gruppo alimentare con sede a Parma. Secondo quanto emerge dai Panama Papers, la più giovane tra i quattro figli di Pietro Barilla ha costituito nel 2014 una offshore con sede alle Isole Vergini Britanniche, la Jamers international. Il capitale di questa società risulta intestato alla Maya international foundation e in base a una sorta di formulario che è rimasto agli atti dell’archivio, il valore dell’investimento nella società offshore sarebbe di entità superiore al milione di dollari. Alla richiesta di chiarimenti da parte de “l’Espresso”, una portavoce di Emanuela Barilla ha risposto che la «signora si trova all’estero e non è possibile contattarla».

FARNIENTE BY PESSINA

Stefano Pessina, 74 anni, nativo di Pescara, è invece uno dei manager più influenti dell’industria farmaceutica mondiale. Residente a Montecarlo da tempo, Pessina controlla la multinazionale Alliance Boots. La rivista americana “Forbes” gli attribuisce un patrimonio personale di oltre 13,4 miliardi di dollari: è il terzo italiano più ricco, dopo i Ferrero e Leonardo Del Vecchio di Luxottica e vale il doppio di Silvio Berlusconi.

I Panama Papers rivelano che Pessina, insieme alla compagna Ornella Barra, controlla una holding con un’insegna piuttosto originale: Farniente holding, sede alle Isole Vergini Britanniche. Dalle carte si scopre che questa offshore nel novembre 2006, ha negoziato un prestito di 36 milioni di euro con la banca francese Dexia, cedendo in pegno tutte le sue azioni.

La copertina dell'Espresso
Pessina risulta personalmente azionista di Farniente holding dal 3 ottobre 2006 al 10 dicembre 2007, quando le azioni vengono trasferite a “Simone Retter & Jean Paul Goerens”, in qualità di trustees, cioè amministratori del Serenity Trust. Retter rappresenta lo studio legale di Lussemburgo che assiste da anni Pessina ed è anche il cliente, cioè l’intermediario, che tratta con lo studio di Panama Mossack Fonseca. Il duo Retter-Goerens esce di scena con i suoi 50 mila titoli e gli subentra il Trust Company 123 Ltd, intestatario di 50.000 azioni con diritto di voto, a partire dal 15 luglio 2010. Quel giorno, nella compagine sociale riemergono Pessina e Barra rispettivamente con due e un’azione cosiddette redimibili. Questa stessa struttura risulta dal “certificate of incumbency”, cioè di titolarità, di Farniente Holding, datato 28 luglio 2015.

BERLUSCONI & BRIATORE

Il database panamense conserva anche decine di pagine di documenti intestati alla Sport Image international, società offshore della galassia di Silvio Berlusconi che una ventina di anni fa finì al centro di un’indagine giudiziaria per i pagamenti in nero ad alcuni calciatori del Milan, da Ruud Gullit e Marco Van Basten. Come amministratori della Sport Image, fondata nel 1989, sono indicati Adriano Galliani e altri due manager a quell’epoca targati Fininvest: Giancarlo Foscale e Livio Gironi. I magistrati di Mani Pulite avevano già identificato quella società delle Isole Vergini Britanniche, allora misteriosa, come una cassaforte nera utilizzata per gonfiare i bilanci del Milan negli anni d’oro 1989-1995. Galliani ha sempre negato di controllare società offshore. L’accusa è stata poi azzerata dalla riforma berlusconiana che nel 2002 ha depenalizzato il reato di falso in bilancio. Ora le carte di Panama documentano che Galliani era il direttore-gestore di quella cassaforte esentasse e anonima.

[[ge:rep-locali:espresso:285189829]]Molto numerosi sono i file panamensi dedicati alla Arner bank di Lugano, in passato finita più volte sotto inchiesta per via dei suoi rapporti con il mondo berlusconiano. Nelle carte sono citati più volte Nicola Bravetti e Paolo Del Bue, che gestivano la banca luganese: il secondo era anche il tesoriere personale di Berlusconi.

Struie invece, società creata dallo studio Mossack Fonseca alle Isole Vergini Britanniche, è una cassaforte di cui si sono serviti sia il leader di Forza Italia sia Flavio Briatore. Quest’ultimo, quando fu sentito in tribunale come testimone a Milano, ha confermato di avere utilizzato la società oggi finita nell’elenco panamense. A metterla a loro disposizione fu l’avvocato David Mills, studio professionale a Londra, creatore del sistema offshore da 775 milioni di euro per conto del capo della Fininvest. Il professionista inglese, anch’egli in contatto con Mossack Fonseca, usò proprio Struie come paravento per nascondere la provenienza dei 600 mila dollari versatigli segretamente da Berlusconi nel 1997-98, come compenso per la sua falsa testimonianza nei processi milanesi su fondi neri della Fininvest, come documentano le sentenze definitive (condanna di Mills in primo e secondo grado, prescrizione in Cassazione sia per lui che per Berlusconi).

QUEL MANAGER DI INTESA

Si approda invece in Lussemburgo con Alessandro Jelmoni, finanziere molto attivo nel Granducato e coinvolto quattro anni fa nella presunta frode fiscale da 200 milioni di euro del Giacomini trust, controllato dalla omonima famiglia di imprenditori piemontesi del lago d’Orta. La vicenda giudiziaria non si è ancora conclusa. Un fatto è certo, però, Jelmoni tirava le fila di numerose società lussemburghesi, quasi certamente create per conto di clienti italiani. Nell’archivio di Mossack Fonseca, il broker italiano viene citato decine di volte.

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In alcuni documenti compare anche il nome di Marco Bus, che nel 2014 ha lasciato l’incarico di amministratore delegato della lussemburghese Société Européenne de Banque (Seb), che fa capo a Intesa. Le carte non tirano in ballo direttamente il gruppo bancario italiano. I file, però, risalgono agli anni tra il 2000 e il 2006 e in quel periodo Bus era già un importante manager della controllata lussemburghese di Intesa. Lo stesso Bus è stato coinvolto e poi archiviato nell’inchiesta penale per la vicenda della frode fiscale Giacomini.

ACEA E DINTORNI

Anche a Roma i magistrati stanno indagando sugli affari di un imprenditore citato nei Panama Papers. È un’inchiesta per estorsione a carico di Furio Patrizio Monaco, che nell’archivio di Mossack Fonseca viene collegato alla Western Digital ltd con sede alle Seychelles. L’altro director della società offshore è Eugenio Batelli, ex presidente dei costruttori romani (Acer).

“L’Espresso” si era già occupato di Monaco all’inizio del 2015. In un articolo sull’Acea, l’azienda di servizi pubblici (energia, acqua, rifiuti) controllata dal Comune di Roma, l’imprenditore era descritto come uno dei fornitori preferiti dalla società pubblica capitolina. Tanto bravo che alla fine dell’anno scorso si è aggiudicato un altro grande appalto da 95,2 milioni di euro per la manutenzione delle reti idriche e fognarie della Capitale. Tutto è avvenuto tramite gara pubblica, considerata valida anche dal Tar del Lazio. Eppure, qualche consigliere comunale a Roma ha protestato. L’accusa nei confronti di Acea è di aver scelto le aziende di Monaco nonostante quest’ultimo sia imputato per estorsione insieme a Riccardo Mancini, l’ex amministratore delegato di Eur spa (anch’essa controllata dal Campidoglio) sotto processo anche per un’altra vicenda: quella di Mafia Capitale.

DA CHRISTIE’S ALLO CHEF

Stephane Bloch Saloz, classe 1954, irlandese di nascita, è un personaggio noto nell’ambiente dell’arte e dei collezionisti perché per alcuni anni ha presieduto Christie’s Italia, filiale della prestigiosa casa d’aste internazionale. Bloch Saloz, che è avvocato e ha fatto parte a lungo del consiglio di amministrazione della banca privata Edmond de Rothschild a Lugano, è indicato nella lista panamense come titolare della Sistan Trading ltd delle Isole Vergini Britanniche, attiva tra il 2006 e il 2010. Contattato da “l’Espresso”, l’ex numero uno di Christie’s Italia ha risposto di «non essere al corrente di questa situazione».

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Ha invece annunciato il suo addio all’Italia lo chef Henri Prosperi, titolare fino al 2012 di un ristorante di gran moda a Viareggio. Se n’è andato a Mosca, raccontavano le cronache dell’epoca. Intanto però Prosperi, nel 2006 aveva già aperto la offshore Kafu & partners alle Isole Vergini Britanniche. A Massa Carrara, pochi chilometri da Viareggio, i Panama Papers incrociano invece la rotta di Paolo Borghini, importante industriale del marmo, che alle Seychelles risulta amministratore della Kingsmill Avenue fin dal maggio del 2006. Borghini, molto conosciuto a Carrara, già vicepresidente della locale Associazione industriali, l’anno scorso è stato chiamato in causa in un’indagine della Guardia di Finanza per presunte sottofatturazioni nella vendita di calacata, uno dei marmi più pregiati. Tutte accuse respinte dall’imprenditore.

CRACK OFFSHORE

Per migliaia di investitori in tutta Italia il marchio Uniland significa perdite e guai. La società bolognese, quotata in Borsa e protagonista di mesi di rialzi a raffica, è finita al tappeto nel 2011. La magistratura ha ricostruito quella che nelle accuse viene descritta come una vera e propria frode a base di bilanci gonfiati e false perizie. Adesso, dalle carte dei Panama Papers, si scopre che almeno due dei protagonisti di quella brutta storia sono titolari di una società offshore. Il primo è Alessandro Arienti, commercialista, a capo di un importante studio professionale a Bologna insieme ai figli Leonardo e Lorenzo. Nei documenti consultati da “l’Espresso” gli Arienti vengono indicati come directors della Huxley investments corporation delle isole Seychelles. L’anno scorso il commercialista bolognese è stato rinviato a giudizio nel processo per il dissesto Uniland.

[[ge:rep-locali:espresso:285197275]]La stessa sorte è toccata a Maurizio Zuffa, considerato uno dei principali collaboratori di Alberto Mezzini, il patron del gruppo finito nella polvere. Zuffa, che nel 2011 era stato anche arrestato, viene collegato negli archivi panamensi alla House Resort delle Seychelles.

Anche il finanziere Gaetano Paradiso ha lasciato un brutto ricordo tra le centinaia di investitori che gli avevano affidato i loro risparmi. Paradiso dal marzo 2015 non è più presidente di Valore Italia, società romana specializzata nella gestione di patrimoni che l’anno prima, già in difficoltà, era passata sotto il controllo del finanziere Raffaele Mincione. Dal novembre 2015 la Valore Italia è in liquidazione dopo essere stata sospesa su ordine della Consob. Paradiso invece lo troviamo alle Seychelles, come amministratore dell’Arena distribution group, una delle offshore che fanno parte dello sterminato elenco di Mossack Fonseca.