Lo annuncia il vice-ministro Enrico Zanetti, che dice: "Se non si sono messi in regola, li attende una giusta tribolazione". Venerdì su "l'Espresso" nuove rivelazioni, mentre a livello internazionale le ripercussioni si fanno sempre più forti. Si dimette il premier islandese. In Francia svelata la rete offshore di persone vicine a Marine Le Pen, in Cina oscurate tutte le notizie sul web 

Gli ottocento italiani presenti nei Panama Papers? Se non hanno sfruttato l'opportunità della “voluntary disclosure” per far emergere «capitali all'estero, li attende un periodo di giusta e profonda tribolazione». Lo ha detto il vice-ministro dell'economia, Enrico Zanetti, in un'intervista pubblicata oggi sul “Corriere della Sera”. Tra gli italiani con i conti a Panama «ci sarà pure qualche contribuente onesto», premette Zanetti, che però sembra nutrire pochi dubbi sul perché si aprono società o si portano quattrini nei Paesi offshore: «Non ci vuole molto per capire che la maggior parte di loro sono evasori», sostiene.

Il vice-ministro, che durante gli ultimi mesi si è contraddistinto per gli attacchi all'operato dell'Agenzia delle Entrate, cerca di spiegare così le strategie del governo di Matteo Renzi sull'evasione fiscale: «Sul contrasto all'evasione fiscale internazionale questo governo ha condotto negli ultimi due anni una delle azioni più decise. Su altri fronti abbiamo razionalizzato, come sulle sanzioni penali, che erano populisticamente esagerate, ma sull'evasione internazionale abbiamo varato norme molto più stringenti e pesanti. Sappiamo che questa è una leva fondamentale per avere maggiore equità nel sistema fiscale, che non può accanirsi solo contro la piccola evasione domestica».

Per questo motivo, sostiene Zanetti, l'amministrazione farà degli accertamenti sui nomi della lista, su cui “l'Espresso” in edicola venerdì farà nuovi approfondimenti e rivelazioni: «La presenza di contribuenti in queste liste non li qualifica di per sé come evasori. Ma sono dati oggettivamente interessanti, sui quali la nostra amministrazione finanziaria andrà sicuramente a fare qualche accertamento, e sicuramente ne salteranno fuori delle belle». Nessun dubbio, da parte sua, anche sull'utilizzabilità di informazioni come queste quali capo d'accusa. Il vice-ministro ricorda il caso della lista Falciani, i cui contenuti erano stati rivelati sempre da “l'Espresso”, e ricorda come la Corte di Cassazione abbia «sancito la piena utilizzabilità di questi elementi, acquisiti anche in modo irrituale, nell'ambito dei procedimenti di natura tributaria. Non sono prove, ma elementi da cui partire per fare accertamenti».

SI DIMETTE PREMIER ISLANDESE

La prima vittima eccellente dei Panama Papers è il premier islandese Sigmundur Gunnlaugsson che oggi ha rassegnato le dimissioni. La decisione, sofferta, arriva dopo le rivelazioni contenute nei file delle società offshore di Pamana da dove è emerso che, insieme alla moglie, avrebbe trasferito milioni di dollari nella società Wintris. Gunnlaugsson aveva prima chiesto al presidente di sciogliere il Parlamento, ma questi aveva rifiutato di farlo anticipando piuttosto consultazioni con i partiti. 

AUTORITA' CINESI CENSURANO IL WEB

A livello internazionale, intanto, le ripercussioni dei Panama Papers continuano a essere fortissime. In Cina sembra essere scattata la macchina della censura da parte delle autorità. Come racconta “La Stampa”, su Weibo (il Twitter cinese) la ricerca di “Panama” non produce risultati, così come non ci sono risultati nelle news e nei link che compaiono su Baidu, il motore di ricerca considerato come il “Google” cinese. Ne parla il quotidiano di Stato “Global Times” in un editoriale pubblicato sia nell'edizione cinese che in quella in lingua inglese, per associarsi però alla tesi di un complotto «contro il mondo non occidentale». Va ricordato che nei Papers compaiono i nomi di aziende offshore aperte tramite lo studio Mossack Fonseca da parte dei familiari di otto membri o ex componenti del comitato permanente del Politburo del Partito comunista cinese. Tra i nomi confermati, ricorda “La Stampa”, ci sono Deng Jiagui, cognato del presidente cinese Xi Jingping, nonché Li Xiaoling, figlia dell'ex premier Li Peng.

OFFSHORE NELL'ENTOURAGE DI MARINE LE PEN

Il quotidiano francese “Le Monde” - che come “l'Espresso” partecipa al network mondiale di giornali che ha lavorato sulla lista ottenuta dall'International consortium of investigative journalists - racconta invece gli affari di alcune persone in stretti rapporti con Marine Le Pen, leader in ascesa del Front national. Il sistema offshore rivelato da “Le Monde” si dipana fra Hong Kong, Singapore, le Isole Vergini britanniche e, naturalmente, Panama. Al centro di questa rete societaria un personaggio di nome Frédéric Chatillon, ex dirigente di un gruppuscolo di studenti di estrema destra noto come Groupe union défense (Gud), vicino a Marine Le Pen fin dagli anni Novanta. La rete offshore è stata utilizzata per far uscire dalla Francia 316 mila euro prima delle elezioni politiche del 2012.

IAN CAMERON E I PRESTANOME CARAIBICI

Da segnalare poi che sui quotidiani britannici sono stati diffusi i dettagli dello schema offshore che negli anni passati ha permesso a Ian Cameron, il padre scomparso nel 2010 del premier David Cameron, di nascondere al fisco parte delle sue fortune finanziarie. La stampa, dal “Guardian” al “Times”, rivela che Ian Cameron ha dirottato fin dal 1982 ingenti somme di denaro in Centro America, facendo ruotare nel consiglio di amministrazione della società Blairmore Holdings decine di prestanome caraibici. «Questioni private», è la risposta dei portavoce di David Cameron, mentre il leader laburista Jeremy Corbyn è intervenuto sottolineando come accumulare denari nei paradisi fiscali «strappa risorse ai servizi sociali».