Dopo lo scandalo, lo Stato americano apre alla collaborazione con i giudici di altre nazioni (Italia compresa) per reati di mafia, terrorismo e corruzione
di Paolo Biondani
2 giugno 2016
PanamaIl muro di Panama sta per crollare. Questo piccolo stato centro-americano è da decenni un paradiso non solo fiscale, ma anche legale: una nazione-cassaforte in grado di assicurare la più totale segretezza ai titolari di enormi ricchezze, lecite o illecite, nascoste in anonime società offshore. Ora, dopo l’inchiesta giornalistica internazionale sui Panama papers, le autorità hanno annunciato una svolta che gli esperti definiscono storica.
Almeno per i reati più gravi, infatti, i giudici di Panama ora si impegnano a collaborare e a fornire conti e documenti ai magistrati di altre nazioni, compresa l’Italia. Per la prima volta, dunque, le barriere del segreto bancario e delle schermature offshore, già franate nei maggiori paradisi fiscali europei come Svizzera, Montecarlo e San Marino, sembrano destinate a cadere perfino a Panama.
La svolta è stata formalizzata nei giorni scorsi con una lettera ai magistrati italiani della Direzione nazionale antimafia, l’organo centrale che coordina le indagini delle procure distrettuali su fatti di mafia e terrorismo. Con questo passo ufficiale, i giudici di Panama garantiscono piena collaborazione con l’Italia per tutte le indagini più importanti: la lettera cita espressamente le accuse di mafia, traffico internazionale di stupefacenti, terrorismo e corruzione.
I giudici italiani potranno inviare rogatorie per ottenere documenti riservati, verbali, testimonianze, conti bancari e altre prove, che i magistrati panamensi s’impegnano a trasmettere «in via prioritaria». Finora il sistema legale panamense era citato a livello internazionale come esempio negativo, scelto da molti indagati anche italiani proprio perché «impermeabile a qualsiasi richiesta di collaborazione giudiziaria», come hanno denunciato i nostri giudici.
Ora invece, almeno per boss mafiosi, narcotrafficanti, terroristi e politici corrotti, l’impunità sembra finita. Restano salvi, almeno per adesso, i tesori dei semplici evasori: tra le accuse che i giudici di Panama si impegnano a perseguire, infatti, non compaiono i reati fiscali. La lettera informa però che i magistrati locali hanno già acquisito, con una formale perquisizione, l’intero archivio informatico dello studio Mossack Fonseca: la premiata fabbrica di società offshore che per quarant’anni ha servito migliaia di ricchissimi clienti di tutto il mondo. Secondo la comunicazione inviata all’Italia, la quantità di dati riservati ora custoditi dai giudici di Panama sarebbe molto superiore al materiale, già enorme, acquisito dal consorzio Icij.
La svolta di Panama è il primo effetto legale dell’inchiesta giornalistica internazionale, a cui ha collaborato “l’Espresso” in esclusiva per l’Italia, che ha svelato l’identità dei titolari di oltre 120 mila offshore create dallo studio Mossack Fonseca. Il nostro settimanale ha scoperto, tra l’altro, una serie di società-cassaforte collegate a tesorieri di Cosa Nostra.
Altri giornali associati al consorzio hanno svelato i tesori esteri accumulati segretamente da decine di capi di Stato, dittatori e loro familiari o prestanome. Uno scandalo che ha spinto la magistratura di Panama a promettere, per la prima volta, un’effettiva collaborazione contro il riciclaggio di denaro sporco e la corruzione. E anche le agenzie fiscali, sia italiane che di altri Stati occidentali, stanno premendo su Panama, attraverso gli ispettori internazionali dell’Ocse, per procedere contro l’intera massa di possibili evasori con l’offshore.
Il precedente più famoso è l’evoluzione legale della Svizzera, che resta la più importante cassaforte delle ricchezze globali. Fino a 25 anni fa nella confederazione elvetica era possibile aprire conti bancari anonimi e società senza intestatario.
Per i casi di mafia, il muro è caduto dopo le storiche indagini di Giovanni Falcone sui tesori accumulati da Cosa Nostra negli anni d’oro dei traffici di eroina: da allora, il riciclaggio di denaro sporco è diventato reato anche in Svizzera, che però si rifiutava di colpire la semplice evasione. Ora anche Panama si colloca su questa linea: stop a mafia e corruzione. Nel frattempo la crisi economica e le pressioni internazionali hanno spinto la Svizzera a far cadere il segreto bancario, dal 2017, anche per i reati fiscali. E ora persino stati come Panama rischiano di non poter salvare neppure i cari, ricchi evasori.