Un appalto miliardario. E un’inchiesta con pesanti risvolti politici. Che ora cambia corso: si indeboliscono le accuse contro Tiziano Renzi

C ’è un nuovo colpo di scena nello scandalo sulla Consip, che può modificare il corso dell’inchiesta della procura di Roma. Un dettaglio che cambierà, forse, la storia di uno dei filoni più importanti e politicamente delicati, ossia quello che coinvolge direttamente Tiziano Renzi, il padre di Matteo, segretario del Partito democratico e probabile candidato premier alle elezioni della primavera 2018.

È noto, infatti, che il babbo dell’ex presidente del Consiglio sia stato iscritto nel registro degli indagati dai pm di Roma per concorso in traffico illecito di influenze insieme al sodale Carlo Russo, con l’accusa di aver chiesto denaro all’imprenditore Alfredo Romeo (indagato per lo stesso reato) in cambio di un loro intervento sull’allora amministratore delegato della Consip Luigi Marroni nell’appalto miliardario chiamato Fm4.

Ebbene, a “L’Espresso” risulta che lo stesso Marroni abbia spiegato ai magistrati romani che durante gli incontri Russo non gli ha mai fatto pressioni per favorire le imprese di Romeo, come molti avevano finora ventilato e come pizzini e intercettazioni dei carabinieri del Noe facevano immaginare, ma solo quelle del raggruppamento concorrente, guidato dai francesi di Cofely. Un’azienda che Marroni aveva definito, nei verbali rilasciati il 20 dicembre 2016 agli inquirenti napoletani che hanno dato il via alle indagini finite per competenza nella Capitale, essere «nel cuore» del deputato di Ala Ignazio Abrignani e, soprattutto, del suo capo. Cioè il senatore Denis Verdini.

Le dichiarazioni dell’ex manager di Consip, che durante i primi due verbali “napoletani” aveva detto «di non ricordare il nome» della società riferibile a Russo, complicano non poco il lavoro dei magistrati della procura guidata da Giuseppe Pignatone. Innanzitutto perché indeboliscono, una volta di più, il quadro probatorio contro Tiziano.

I presunti falsi del capitano Giampaolo Scafarto hanno tentato di inchiodare Renzi senior (e lo stesso Romeo) a un incontro privato di cui non ci sono altre evidenze nelle intercettazioni. Adesso il nuovo verbale di Marroni (il cui contenuto era già trapelato nella coda di un articolo della “Stampa” a metà agosto) non permette più al cerchio delle indagini di chiudersi. Anzi: l’accusa di traffico illecito di influenze sembra assai più difficile da provare «al di là di ogni ragionevole dubbio», come vuole la legge. Se Russo e Tiziano si facevano promettere (come si legge nel pizzino che i pm presumono scritto da Romeo) 32.500 euro al mese come prezzo per la loro mediazione con Marroni (30 mila per «T.», che i pm presumono poter essere Renzi senior, e 2.500 per «R.C.», ossia l’imprenditore con un passato nella farmaceutica), come mai Russo quando si incontrava con il numero uno di Consip non sponsorizzava Romeo, ma spingeva l’amministratore di Consip a favorire i suoi acerrimi nemici?

Prima di ricostruire, con una nuova prospettiva, la storia dello scandalo che continua a incombere sulla campagna elettorale ormai alle porte, è bene ricordare che il traffico illecito di influenze, inserito nel 2012 nella legge Severino per punire coloro che svolgono attività di lobby su pubblici ufficiali con mezzi illegali, coinvolge tutti coloro che «sfruttando relazioni esistenti» si fanno dare o promettere, per sé o per altri, «denaro o altro vantaggio patrimoniale come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale».

Ora, secondo l’accusa, Russo si sarebbe presentato da Romeo promettendogli (parlando a nome anche dell’amico Tiziano, che certamente conosceva bene Marroni) di intervenire sul numero uno della stazione appaltante in modo da favorire le sue imprese nella gara Fm4. Una mediazione che sarebbe comprovata dal famoso pizzino e da alcune intercettazioni ambientali. Ma se il reato di traffico illecito di influenze ha forse una “testa” nel pizzino con il celebre «accordo quadro» tra Romeo e la coppia Russo-Tiziano, con le nuove dichiarazioni di Marroni non ha più una “coda”. Perché invece di mediare a favore di colui che ti avrebbe promesso del denaro, Russo avrebbe chiesto al pubblico ufficiale di favorire la diretta concorrenza.

Il reato, dunque, non pare consumarsi appieno. E senza nuove prove (in mano ai pm restano le testimonianze degli ex piddini Alfredo Mazzei e Daniele Lorenzini, che ipotizzano – ma solo di relata refero – che l’incontro tra Romeo e Renzi senior ci sia stato davvero) per i magistrati non sarà facile andare a dibattimento e vincere. Sia perché Tiziano, va ricordato, non è mai stato intercettato a parlare né con l’imprenditore campano né con il suo amico toscano. Sia perché il traffico illecito di influenze, inserito nel nostro codice penale dopo che molti altri paesi europei l’hanno adottato come arma di prevenzione alla corruzione vera e propria, è stato varato senza che il Parlamento approvasse una legge sulle regolamentazioni delle lobby. Un paradosso tutto italico, che dà ampi margini interpretativi su quali mediazioni sono lecite, e quali no.

Marroni, contattato da “L’Espresso”, ha preferito non rilasciare alcun commento. L’avvocato di Tiziano Renzi, Federico Bagattini, sembra invece soddisfatto: «Sono mesi che dico che Romeo non appare mai nei verbali di Marroni. Quando provai a interrogarlo come teste della difesa, lui decise di non presentarsi nel mio studio. Alcuni suoi colleghi mi chiesero come mai non insistetti. Le rispondo ora: leggendo le carte capii che Marroni non aveva mai detto che Russo gli aveva chiesto di aiutare Romeo o le sue aziende. Questo per me tagliava la testa al toro, almeno da un punto di vista penale. Il mio cliente è infatti accusato di aver favorito proprio gli interessi di Romeo, non quelli di altre imprese. Sulle quali, ovviamente, non entro nel merito».

Alla luce delle nuove evidenze, però, è palese che la storia dello scandalo vada in parte riscritta. Se il filone che accusa Alfredo Romeo di aver corrotto il funzionario Consip Marco Gasparri va avanti spedito (il processo di Romeo comincerà il 19 ottobre, mentre il dirigente che si è autoaccusato di aver preso mazzette ha patteggiato 18 mesi di carcere tre settimane fa), e quello sulla fuga di notizie in cui sono coinolti il ministro Luca Lotti e i generali dei carabinieri Tullio Del Sette e Emanuele Saltalamacchia resta immutato, la vicenda delle presunte pressioni su Marroni da parte di società importanti che si contendevano l’appalto da 2,7 miliardi di euro per i servizi della pubblica amministrazione va raccontata da una diversa angolazione.

Partiamo dal principio. Secondo le dichiarazioni di Marroni rilasciate al Noe e ai pm napoletani lo scorso 20 dicembre, qualche mese dopo la sua promozione sulla poltrona più prestigiosa della Consip fu convocato da Tiziano Renzi. Che, durante un primo incontro a Firenze avvenuto nell’autunno del 2015, gli avrebbe chiesto di ricevere «un suo amico imprenditore, Carlo Russo, che voleva partecipare a delle gare d’appalto indette da Consip. Mi chiese di fare il possibile per assecondare le richieste del Russo e di dargli una mano».

Marroni, come è noto, accettò. Così circa due settimane dopo il sodale del babbo dell’allora premier si presenta nei suoi uffici della Consip. I due si parlano faccia a faccia. «Russo mi chiese in modo esplicito di attivarmi sulla commissione da me nominata al fine di aumentare il punteggio tecnico relativo all’offerta presentata dalla società da lui segnalata in modo da favorirlo» spiega Marroni. «Per rafforzare la sua richiesta, mi disse in modo esplicito che questo affare non interessava solo a lui ma dietro la società che lui stava rappresentando vi erano gli interessi di Denis Verdini».

Il manager aggiunge ai militari che Russo gli aveva fatto intendere che avrebbe rischiato di perdere il posto, e che in un secondo incontro, avvenuto nella primavera del 2016, gli ribadì «che sia Verdini che Tiziano Renzi davano per scontato che io gli garantissi tale aggiudicazione e che quindi non potevo sbagliare». Erano loro gli «arbitri del mio destino professionale». Ma qual è la società tanto cara a Verdini e a Russo? Non quella di Romeo, chiarisce Marroni lo scorso giugno ai pm romani, ma i concorrenti del raggruppamento temporaneo di imprese guidati dai francesi di Cofely. Che sono alleati con Ezio Bigotti, un imprenditore di Pinerolo amico di Verdini e avversario giurato di Romeo, che risulta dagli atti essere andato a pranzo con Marroni e Verdini e l’avvocato Piero Amara.

Il nome di Cofely (che dal primo ottobre 2016 ha cambiato nome in Engie Servizi) spunta per la prima volta nel secondo interrogatorio di Marroni, quello del pomeriggio del 20 dicembre, rilasciato direttamente ai magistrati napoletani Henry John Woodcock e Celeste Carrano. È a loro che l’ex numero uno della Consip spiega come prima Ignazio Abbrignani deputato di Ala (ma anche legale del Consorzio Energie Locali alleato di Cofely), poi il suo capo Verdini gli chiesero di raccomandare il raggruppamento dei francesi, «segnatamente in relazione al lotto Roma centro che al Verdini stava molto a cuore». Proprio il lotto che Romeo temeva di perdere, e per cui - secondo i pm - si rivolse a Russo e ai suoi buoni uffici.

Tutte le persone tirate in ballo dal grande accusatore hanno smentito la ricostruzione di Marroni: se Renzi senior ha giurato di aver incontrato il manager solo per chiedergli di intercedere a favore di alcuni volontari per piazzare una statuetta della madonna di Medjugorje nel cortile dell’ospedale fiororentino Meyer, Abrignani ammette all’Espresso di non aver ancora denunciato per calunnia il supertestimone. «Ripeto. Gli chiesi solo informazioni sui tempi della gara. Ho letto le sue accuse sui giornali, ma aspetto che le ripeta in aula per querelarlo».

Ma se Marroni dice la verità, e se davvero Russo non ha mai raccomandato Romeo ma solo Cofely, ci sono altre domande a cui bisognerebbe provare a dare una risposta. Carlo Russo, se fosse davvero anche lui sponsor del raggruppamento francese, perché ha offerto i suoi servizi a Romeo? È un truffatore che, usando il nome dei Renzi, ha preso per i fondelli il re del facility management del Paese per strappargli denari o collaborazioni economiche? Impossibile dirlo, ma sicuramente si è presentato a Romeo con credenziali credibili: Russo è uno dei compagni di pellegrinaggio di Tiziano, e quest’ultimo è stato anche padrino al battesimo di uno dei suoi figli. Il rapporto non è millantato.

Possibile, pure, che Russo si sia proposto come lobbista a Romeo facendo il doppio gioco fin dall’inizio, in modo da ottenere benefici sia dal napoletano, sia da coloro che appoggiavano la cordata tanto cara a Verdini e Abrignani. Prove di rapporti tra Russo e aziende concorrenti a Romeo però – almeno negli atti depositati – non ci sono. Se va ricordato che Marroni e Verdini si conoscono da anni (il figlio della compagna è persino socio di uno dei rampolli di Denis), va pure sottolineato che Russo avrebbe raccomandato a Marroni le aziende dell’Ati di Cofely già nel settembre del 2015. Dunque 11 mesi prima del primo incontro con Romeo registrato dalle cimici del Noe, avvenuto nell’agosto del 2016. Quando le graduatorie provvisorie erano comunque già state pubblicate, e avevano visto vittoriosi proprio i francesi, che si erano accaparrati lotti per 582 milioni rispetto ai 70 che avevano ottenuto nel bando precedente.

Alla fine, abbiamo poche certezze. Ma significative. Marroni ha giurato a verbale di non aver fatto alcuna pressione sulla commissione di gara, e di aver chiesto solo qualche informazione sulla posizione di Cofely. «Sono stato un muro di gomma». Finora è lui uno dei pochi protagonisti della storia che non è finito nel registro degli indagati.

Romeo, invece, è sempre più convinto di aver fatto la parte dell’asino in mezzo ai suoni, di un Pulcinella in doppiopetto cornuto e mazziato. Se il processo per corruzione ci dirà se Gasparri ha davvero preso da lui qualche decina di migliaia di euro per passargli alcune notizie privilegiate sulle gare, lui sospetta già da mesi che chi s’era offerto di aiutarlo, in cambio di consulenze e accordi quadro, lavorava in realtà per suoi nemici. «Ci sono molti agenti provocatori in questa storia, mi volevano fare fuori dal sistema», ripete preoccupato ai suoi. Chissà se i giudici gli crederanno.