Dopo la regina Elisabetta, Bono e la Apple, l'Espresso è in grado di rivelare le prime storie dei nostri connazionali che compaiono nelle carte su conti e società nei paradisi offshore


Trasparente. E impermeabile alla corruzione. Così dovrebbe essere, secondo il buon senso oltre che in base alla legge, la società che gestisce le reti di sicurezza delle forze di polizia, dell’esercito e delle più importanti istituzioni civili e militari. Trasparente, cioè senza beneficiari sconosciuti alle autorità. Così dovrebbe essere, secondo le norme antimafia, una società che per conto dei Monopoli di Stato gestisce il business miliardario delle scommesse e dei giochi. Trasparente, anzi santa, dovrebbe essere anche la tesoreria di una congregazione cattolica finanziata da migliaia di fedeli di tutto il mondo. E alla luce del sole, a disposizione della giustizia, dovrebbero essere i profitti di una maxi-corruzione di eccezionale gravità, ormai smascherata e punita da processi e condanne definitive.

Invece è tutto offshore. Le catene di controllo di società strategiche. E i tesori intascati attraverso corruzioni di portata storica. Tutto segreto, tutto al sicuro. Senza tasse. E senza rischi: i soldi girano il mondo, le leggi statali si fermano alla prima frontiera.

Anche in Italia i ricchi e potenti hanno imparato a nascondere enormi ricchezze, in qualche caso di conclamata provenienza illecita, nei paradisi fiscali. È il gradino più alto della scala sociale, un’élite finora intoccabile, rimasta per troppo tempo nascosta, protetta dall’anonimato delle società offshore. Oggi L’Espresso è in grado di raccontare, dopo mesi di lavoro insieme ai colleghi di Report, la trasmissione d’inchiesta di Raitre, 3, storie di offshore e trust miliardari, di conti segreti e prestanome internazionali, di cui finora i cittadini ignoravano l’esistenza. Il lato oscuro dell’Italia.

Storie di tangenti e veleni chimici che riaprono ferite mai cicatrizzate in territori contaminati da industriali spregiudicati, indifferenti alla vita degli operai e delle loro famiglie. Storie di miliardari che non pagano un soldo di tasse. C’è il tesoro offshore dei Legionari di Cristo. Il super bottino segreto della famiglia Rovelli. C’è l’impero anonimo delle eredi Crociani, arricchite a dismisura da una società privata che gestisce appalti strategici. E c’è anche la struttura riservata che controlla il gruppo di Andrea Bonomi, manager di una ricca e blasonata dinastia della finanza milanese.

A rivelare tutto sono i Paradise Papers. Le carte riservate dei paradisi fiscali. Una montagna di documenti finora segreti: 13,4 milioni di file, usciti con una colossale fuga di notizie da due grandi studi professionali offshore, Appleby e Asiacity. E ottenuti da due cronisti del quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, che li hanno condivisi con oltre 380 giornalisti di tutto il mondo, associati all’International Consortium of Investigative Journalists (Icij), come già nel 2016 per i Panama Papers.

Per diffondere le prime informazioni, tutti insieme, si sono date appuntamento domenica 5 novembre, alle 19 in punto, ben 96 testate di 67 paesi, dal New York Times al Guardian, da Le Monde alla Bbc, e in Italia L’Espresso e Report. All’unisono i giornalisti di tutto il pianeta hanno cominciato a svelare ai cittadini gli affari segreti dei super ricchi in paesi dove non esistono tasse sui profitti aziendali. Le casseforti estere con soldi non dichiarati da ben 120 politici di tutto il globo. Le società offshore che collegano ministri e familiari di Trump al cerchio magico del presidente russo Vladimir Putin. Gli investimenti alle isole Cayman della regina d’Inghilterra e quelli del figlio, il principe Carlo, alle Bermuda. Le tesoriere riservate del miliardario indonesiano che devasta le foreste primordiali per arricchirsi con l’olio di palma, ingrediente-base di mille prodotti amatissimi come la Nutella. I trucchi delle multinazionali, da Apple alla Nike, per minimizzare le tasse spostando miliardi. E le star della musica e dello sport, da Bono a Madonna, da Shakira al pilota Hamilton, che usano gli stessi consulenti per eludere le imposte su investimenti o ricavi, jet o yacht.

L’inchiesta giornalistica internazionale ha provocato forti reazioni. Negli Stati Uniti i democratici del senato hanno chiesto un’indagine parlamentare sugli intrecci societari con base alle isole Cayman, rivelati dai Paradise Papers, tra il segretario al commercio Wilbur Ross e la compagnia di navigazione controllata dal genero di Putin e da un altro oligarca russo. Il ministro di Trump, di fronte alle polemiche, ha negato irregolarità, ma ha detto che «probabilmente» venderà la sua partecipazione.

A Londra molti parlamentari hanno espresso «sdegno» per la scoperta degli investimenti della regina in un fondo offshore che finanzia una società accusata di danneggiare i proprietari di case a basso reddito. In Canada il fisco ha annunciato indagini su tremila soggetti citati nei Paradise Papers, tra cui spicca il tesoriere elettorale del primo ministro Justin Trudeau.

Dalla Spagna alla Gran Bretagna, dall’India all’Australia, molti altri governi annunciano inchieste fiscali su migliaia di vip. E a Bruxelles il commissario economico Pierre Moscovici commenta che «è arrivato il momento di completare le norme europee anti-evasione con decisioni forti».
Per i Paradise Papers non è che l’inizio, l’inchiesta continua.