Le carte segrete dei paradisi fiscali svelano le falle nei controlli anti-riciclaggio: numeri in codice per coprire principi sauditi, parlamentari americani, oligarchi russi e funzionari corrotti. Ignorati gli allarmi di un ex poliziotto, che spiegava i rischi ai dipendenti mostrando immagini dei Soprano's

Chi mai si nasconderà dietro la sigla BMRSK4? Un principe saudita. E chi dietro un codice quasi uguale, BRMSK4? Un parlamentare del congresso americano. E dietro VGRSK4? Una donna russa, legata a un oligarca della cerchia di Putin. Sono, queste, sigle d’importanza vitale per lo studio Appleby, Ogni numero nasconde un Pep, acronimo che sta per Politically exposed person, che significa “Persona esposta politicamente”. Le norme internazionali contro il riciclaggio impongono alle banche e a tutti i gestori di fondi di identificare questi clienti. E di controllare che non muovano soldi di provenienza sospetta. In questi casi occorre la massima prudenza, insomma, per non ritrovarsi coinvolti in scandali di corruzione o reati peggiori.

Anche dentro Appleby opera quindi una struttura speciale, che vigila perché non si commettano errori in grado di macchiare l’immagine del gruppo, più volte premiato a livello internazionale come “studio offshore dell’anno”. La guida Robert Woods, un ex poliziotto di Liverpool, assunto nel 2006 come “compliance manager”, cioè gestore dei controlli sui clienti per evitare brutte sorprese. Che però ci sono state, come rilevano oggi i Paradise Papers.
Speciale
Paradise Papers, tutti gli articoli sullo scandalo dei tesori offshore di vip e potenti
7/11/2017

Appena arrivato alle isole Cayman per prendere possesso del suo ufficio, infatti, l'ex poliziotto scopre la magagna dei 600 clienti cifrati. Quasi dei fantasmi, perché negli archivi non esistevano documenti d’identità, né informazioni sufficienti per escludere la costituzione di “shell companies”, società-schermo utilizzabili per coprire attività criminali.

Tempo cinque anni e mister Woods fa carriera. Diventa “director of compliance”, massimo responsabile dell’ufficio di controllo. Non è chiaro però se nel frattempo la situazione sia migliorata. I dubbi non mancano, tanto che proprio in quel periodo l’ex poliziotto sfodera un documento di 44 pagine, corredato da immagini tratte dalla celebre serie televisiva dei “Sopranos” sulla mafia italo-americana: una presentazione da mostrare al computer ai dipendenti della grande fabbrica di offshore. Una lezione sui rischi del mestiere: tra i titoli campeggia a caratteri cubitali, in maiuscolo, la scritta “money laundering is a dirty crime”, il riciclaggio di denaro è uno sporco crimine. Segue un’altra massima tratta dall'esperienza dei professionisti dell'elusione fiscale: «C’è sempre una vittima che tocca il fondo, mentre il ricco resta in alto».
[[ge:rep-locali:espresso:285301464]]
Una slide illustra anche il caso concreto di un cliente interessato a comperare delle case a Londra con un trust messo in piedi proprio da Appleby, che era disposta a farsi pagare «senza domande». Un buco clamoroso nei controlli interni. Perché, come si scoprirà in seguito, il soggetto in questione era un ex funzionario pubblico pakistano accusato in patria di appropriazione indebita.
Paradise Papers
Il ministro di Trump, il genero di Putin e gli oligarchi: affari segreti alle Cayman
5/11/2017

Ben più grave è un’altra vicenda, che coinvolge la Omega Diamonds, una società belga autorizzata ad operare alla borsa dei diamanti di Anversa, finita nei guai per traffici illegali di queste gemme in Africa. E costretta, nel maggio 2013, a versare 200 milioni di dollari alle autorità fiscali per chiudere la vertenza. Uno dei suoi titolari, Ayre Laniado, non è toccato, personalmente, dallo scandalo giudiziario. Quando però, in epoca successiva, il signore dei dimanti deposita due assegni da 5 mila dollari su un conto bancario di Appleby, a nome di un trust offshore, nessuno fa scattare l'allarme. E non succede nulla neanche quando monsieur Laniado chiede di creare un altro trust. Un dipendente di Appleby si ricorda della Omega Diamonds e dei suoi problemi legali. Ma non blocca la nuova operazione. Anzi, concede il via libera e il trust nasce ufficialmente nell’aprile 2014. Tre mesi dopo, in luglio, l'ex poliziotto Robert Woods se ne accorge e dà in escandescenze, scrivendo a un collega: «Le accuse sono serie, sono in ballo diamanti insanguinati: perché questo fatto non è stato portato alla mia attenzione prima che fosse approvato?». Nonostante questa scenata di Woods, la Appleby si è tenuta Laniado come cliente.

In altre circostanze è andata ancora peggio, ad esempio in alcuni uffici periferici del network che ha la sede centrale alle Bermuda. In particolare, altre crepe nei controlli anti-riciclaggio vengono riscontrate, nel 2012, dagli enti regolatori delle British Virgin Islands. Il problema riguarda le mancate verifiche su politici ad alto rischio.

Nel 2015, nuove falle, questa volta all’isola di Man, per una offshore che risulta posseduta da un dirigente palestinese: negli archivi non era disponibile nessuna informazione su un prestito da 11,2 milioni di dollari.

Simili comportamenti, aggiunti ad altre disfunzioni, non potevano restare senza sanzioni neppure nei paradisi fiscali, almeno dopo la stretta contro i paesi della “black list” disposta dall'Ocse a livello internazionale in seguito alla crisi economica mondiale. Nell’ottobre 2015 una prima multa di 550 mila dollari, comminata dalle autorità delle Bermuda, si abbatte su Appleby. Accusata ufficialmente, come rivelano i Paradise Papers, di «non essersi attenuta alle raccomandazioni, richieste, di intervenire sulla sua rete antiriciclaggio».