Il re delle macchinette mangiasoldi è stato arrestato a dicembre. Accusato di un’evasione fiscale per centinaia di milioni. E anche questa volta,  come già è accaduto in passato, potrebbe rimanere titolare delle concessioni pubbliche. Ora però interviene Raffaele Cantone con una lettera al prefetto di Roma. In cui ne auspica il ritiro

Commissariare la società. Adesso, concretamente. Chiudere finalmente il capitolo Stato-Corallo. Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, interviene sul caso del re delle Slot di cui l’Espresso ha scritto anche sull’ultimo numero. Interviene con una lettera al prefetto di Roma, un documento ufficiale in cui ripercorre le tappe che dal 2004 ad oggi hanno permesso all’impero di Gaetano Corallo di prosperare sulla rete delle macchinette, con una gestione “spregiudicata” anche secondo la Corte dei Conti, che ha arricchito la sua rete di offshore e impoverito l’erario, forte di continue vittorie ai tribunali amministrativi e al Consiglio di Stato (l’ultima nel 2015) conto i tentativi di sospendere il fiume di cassa nei confronti della piramide di società dietro cui stava lui - già indagato per associazione a delinquere. Ora, dopo l’arresto, che non ha bloccato però il business né l’appalto dei monopoli, l’Anac auspica nella lettera anche la decadenza della concessione, oltre al suo effettivo commissariamento. Un passo atteso da tempo. E necessario. Come dimostra quest'inchiesta dedicata al suo impero.


L'INCHIESTA
Dietro i miliardi delle slot mangiasoldi che hanno invaso l’Italia, c’è una storia nera. Nera come la disperazione dei troppi cittadini che si sono rovinati (o ammazzati) per il vizio dell’azzardo legalizzato. Una storia criminale che rivela come nel nostro sistema-paese, dove si straparla di mafia sconfitta, siano rimaste intoccabili certe enormi fortune cresciute all’ombra di Cosa Nostra.

Tutto comincia molti anni fa, con un aereo. Un Cessna 421. Antonino Calderone, il grande pentito della mafia catanese, ricorda così l’importanza di quel bimotore: «Gaetano Corallo era un commerciante che gestiva una sala da gioco a Catania con Nitto Santapaola e la sua famiglia mafiosa. Il salto internazionale l’hanno fatto nel 1976-77, con quell’aereo: portavano i giocatori fino ai Caraibi, nelle isole dei casinò, come Sint Maarten». Una specialissima agenzia viaggi, che spennava i clienti più ricchi, incastrandoli come debitori-finanziatori.
Santapaola è il super boss di Cosa Nostra a Catania, condannato all’ergastolo per decine di omicidi e per le stragi del 1992-93. Gaetano Corallo è un suo amico e socio fidatissimo, condannato come capo della storica associazione criminale che si era impadronita dei casinò di Campione e Sanremo. Un problema che non ha impedito a suo figlio, Francesco Corallo, di fondare il gruppo Atlantis-Bplus (nel 2015 ribattezzato Global Starnet) e ottenere dallo Stato, dal 2004 fino ad oggi, la concessione miliardaria per le macchinette mangiasoldi.
Corallo junior è stato arrestato in dicembre a Sint Maarten, l’isola del tesoro di suo padre. Le indagini dello Scico della Guardia di Finanza lo accusano di aver sottratto all’Italia almeno 250 milioni di euro, riciclati in società offshore. Solo ora, dopo che l’Autorità anticorruzione ha minacciato il commissariamento, i Monopoli di Stato hanno avviato la procedura che potrebbe portare alla revoca della concessione. Ma il condizionale è d’obbligo, perché finora Francesco Corallo ha sempre superato le peggiori tempeste giudiziarie. Grazie a un’incredibile rete di coperture istituzionali.

L’Italia è ancora immersa negli anni di piombo quando papà Corallo lascia Catania per sfondare al Nord. A Campione d’Italia, dal 1977, diventa il re degli usurai: presta soldi ai giocatori e con i milioni intascati in nero acquista segretamente il casinò, intestandolo a un prestanome. Poi tenta il raddoppio: la sua cordata catanese si scontra con i mafiosi palermitani per conquistare, con l’aiuto di industriali conniventi e politici corrotti, anche Sanremo. E intanto vola ai Caraibi, dove fonda il casinò Rouge et Noir, ristoranti, piano-bar, residence e un hotel da 400 stanze.

Corallo senior viene arrestato nel 1983 con la prima inchiesta sulla mafia al Nord. Tutte le sentenze confermano che ha corrotto i politici di Campione e Sanremo; che trasportava in aereo Santapaola; che ha ospitato per mesi a Sint Maarten quel boss stragista, già latitante (tra l’altro) per l’omicidio del generale Dalla Chiesa. Corallo e Santapaola si sono perfino scambiati soldi, assegni, auto. Nei processi, a Milano, il tribunale e due diverse corti d’appello condannano Corallo senior anche per associazione mafiosa. Quel reato però esiste solo dal 1982. Per cui la Cassazione annulla l’accusa, solo quella, per due volte, con questa motivazione: è vero che Corallo era intimo di Santapaola e controllava i casinò con una violentissima banda di usurai, ma non è certo che abbia usato il «metodo mafioso» anche dopo il fatidico 1982. Alla fine la terza corte d’appello si arrende e riduce la pena a sette anni e mezzo. Dopo tanti scontri tra giudici, la condanna diventa definitiva solo nel 1999. Quindi Gaetano Corallo beneficia di due amnistie, che gli annullano quattro anni di carcere, e resta un pregiudicato comune, al riparo dalle confische antimafia.

Il figlio Francesco, nato a Catania nel 1960, sbarca a Sint Maarten a 23 anni. Mentre il padre è inquisito, è lui a guidare alberghi e casinò alle Antille olandesi. E da quel paradiso fiscale riesce a diventare un concessionario dello Stato italiano. L’anno del colpaccio è il 2004. Il governo Berlusconi spalanca ai privati il business delle macchinette mangiasoldi. La procedura è anomala, con tempi strettissimi: il bando è del 14 aprile, le offerte scadono il 7 giugno, un mese dopo i dieci concorrenti hanno già le concessioni in tasca. Nove sono multinazionali italiane o straniere. La decima è una misteriosa società offshore, Atlantis World, fondata a Sint Maarten pochi giorni prima, il 17 marzo 2004, con 30 mila dollari di capitale, di cui solo 6 mila versati.

A controllarla segretamente è Francesco Corallo, il figlio del pregiudicato. Nel 1948 i fondatori della nostra democrazia avevano vietato ai privati il gioco d’azzardo, proprio per l’alto rischio d’infiltrazioni criminali, ammettendo solo pochissimi concessionari con «adeguate garanzie d’idoneità». Nella seconda Repubblica invece può arricchirsi con le slot anche una offshore anonima. Senza bilancio. Che auto-certifica la sua solidità dichiarando cifre «indicative» (e in una beffarda nota avverte che «non costituiscono redditi effettivi»). E così, scommettendo 6 mila dollari con una offshore, Corallo junior può invadere l’Italia con le prime 70 mila macchinette mangiasoldi. Con il timbro dello Stato.

Da allora l’azzardo diventa una patologia nazionale: le giocate continuano a salire, da meno di 20 a più di 90 miliardi all’anno. In cambio lo Stato si accontenta di circa 9 miliardi. Un decimo della torta. E proprio sulle tasse scoppia il primo scandalo. A riscuoterle sono gli stessi imprenditori del gioco, che dovrebbero allacciarsi a una rete informatica. Ma un’indagine scopre che non funziona: lo Stato non sa quanto incassano i miliardari delle slot. Proprio Corallo ha il record dei mancati collegamenti. Ne nasce un processo, lentissimo, davanti alla Corte dei dei conti. Nel 2012 il gruppo di Corallo viene condannato a risarcire 845 milioni. Che in secondo e ultimo grado, nel 2015, scendono a 335 milioni. Sulla carta è la condanna finale, esecutiva, ma quattro mesi dopo viene sospesa dalla stessa Corte dei conti, preoccupata da un ricorso straordinario della difesa. A tutt’oggi il re delle slot non ha risarcito un soldo.

Secondo la nuova inchiesta di Roma, Francesco Corallo ha frodato il fisco con molti altri metodi almeno fino al 2014. Lo Scico ha ricostruito un saccheggio durato dieci anni: centinaia di bonifici milionari che escono dall’Italia, approdano in società estere, spariscono nelle offshore e poi finiscono nei conti personali dell’imprenditore catanese, dalle Antille a Dubai. Sommando profitti ufficiali, presunte evasioni e altri riciclaggi, il signore dell’azzardo risulta aver incamerato almeno un miliardo e mezzo.

E nonostante la clamorosa condanna del padre ha sempre beneficiato di coperture politiche. Il primo rappresentante in Italia del gruppo offshore è Amedeo Laboccetta, parlamentare di An e poi di Forza Italia fino al 2013. Nel 2004, quando nasce l’affare, Laboccetta porta in vacanza da Corallo ai Caraibi il leader del suo partito, Gianfranco Fini. La lista degli amici che difendono, raccomandano e favoriscono Corallo comprende diversi altri politici, tra cui ha un ruolo cruciale il braccio destro di Giulio Tremonti, l’ex onorevole Marco Milanese. Gli agganci consentono a Corallo di dettare le norme statali sui giochi (attraverso un lobbista che poi confessa), modificando a suo favore il decreto sul terremoto del 2009 in Abruzzo, che legalizza le videolotterie, e la legge 78/2009, che gli proroga la concessione senza gara.

Le nuove indagini oggi svelano che, negli stessi mesi, le offshore di Corallo riempiono di soldi tre familiari di Fini. Tra il 2008 e il 2009 il cognato, Giancarlo Tulliani, intasca 1 milione e 260 mila euro, più altri 281 mila dollari. Soldi usati per comprare anche la famosa casa di An a Montecarlo, che poi rivende guadagnando un altro milione. Un tesoretto diviso con la consorte di Fini, Elisabetta Tulliani, che incassa dal fratello in Italia 739 mila euro. Mentre al suocero, Sergio Tulliani, vengono accreditati all’estero altri 3 milioni e 599 mila dollari, registrati così nel computer segreto di Corallo: «decree 78/2009». Per l’accusa è come una confessione: tangenti per comprare la legge. Nell’insieme i tre Tulliani, ora indagati per riciclaggio, hanno intascato più di sei milioni. Di cui Fini giura di non avere mai saputo nulla.

La dote vincente del re delle slot è l’eccezionale capacità di uscire incolume da inchieste che sembrano rovinose. Tra gli esempi spicca una maxi-corruzione bancaria. La procura di Milano nel 2011 accusa Corallo di aver ottenuto prestiti senza garanzie per 148 milioni versando 900 mila euro (con accordi per 3,5 milioni) al presidente della Bpm, Massimo Ponzellini. Un banchiere non è un pubblico ufficiale, per cui è punibile solo su querela del danneggiato. Cioè della banca. Quando Corallo rientra dalla latitanza e ottiene subito i domiciliari, il nuovo vertice della Bpm ritira la querela gratis: la banca non si sente danneggiata dalla corruzione. E il reato sparisce.
Il nuovo ordine d’arresto disegna l’identikit di un uomo capace di comprare tutti e spiega anche il suo primo, vero passo falso. Nel 2014 la polizia olandese accusa Francesco Corallo di aver pagato fatture false per un milione all’allora primo ministro delle Antille, Gerrit Schotte: una presunta tangente per costruire un maxi-residence a Port Cupecoy. Secondo la stampa olandese, l’ex capo del governo è stato condannato in primo grado, nel 2016, a tre anni. A Roma invece Corallo è accusato di aver riciclato, in quell’affare, 15,5 milioni sottratti al fisco italiano. Proprio l’inchiesta ai Caraibi permette allo Scico di perquisire, per la prima volta, la casa e gli uffici di Sint Maarten, dove Corallo nasconde i file segreti. Sono gli atti che chiudono il cerchio sul riciclaggio fiscale. Aprono nuove indagini, ancora segrete. E ripropongono il problema cruciale dell’origine delle fortune del miliardario siculo-olandese.

Anche qui sembrava aver vinto Corallo. Nel 2009, quando la Dia inserisce nella relazione antimafia un allarme sui legami tra Corallo senior e il boss Santapaola, il figlio Francesco insorge: rivendica di essersi fatto da solo e giura di aver chiuso già a vent’anni ogni rapporto con papà. Nel 2011 una sezione del tribunale civile di Roma gli dà ragione e «ordina al ministero dell’Interno di cancellare dalla relazione le frasi che accostano i Corallo al clan Santapaola». Dopo quel verdetto, il Tar annulla un’interdittiva antimafia disposta dal prefetto, che deve revocare anche il commissariamento della società dei giochi. Corallo junior torna così padrone del suo impero. E cita per danni il prefetto, chiedendogli mezzo miliardo. Ora però, a riaprire anche il capitolo mafia, è la nuova inchiesta del pm Barbara Sargenti e del procuratore capo Giuseppe Pignatone. Nell’isola dei Caraibi lo Scico ha scoperto, tra mille altri segreti, il curriculum originale di Francesco Corallo, in cui egli stesso confessa di essere stato «proprietario e direttore» di almeno tre società-cassaforte fondate dal padre: che controllano proprio il casinò e l’hotel di Sint Maarten, oltre a un’azienda di arredamento a Miami. Una gestione dei tesori di papà che prosegue «dal 1984 al 1999». I rapporti col padre, che il figlio aveva sempre negato, continuano anche dopo la condanna di Corallo senior: un rogito notarile del 2007 certifica che è ancora Gaetano a rappresentare il figlio Francesco nella vendita di una società catanese.

In attesa che i Monopoli valutino le nuove accuse, Corallo continua a godere di «una posizione unica e dominante», come scrivono i giudici che lo hanno arrestato. Tra il 2011 e il 2013, infatti, tutti gli altri concessionari (ora saliti a 13) hanno dovuto affrontare una nuova gara e rispettare regole anti-crimine più severe. Solo per Corallo vale ancora la vecchia concessione, in teoria scaduta.

Le nuove regole sono, anzi sarebbero, imposte da una legge varata da Tremonti nel 2010, dopo la rottura tra Berlusconi e Fini. Da allora è obbligatorio identificare il «titolare effettivo» della concessione statale: dunque, basta offshore. E la società non può essere gestita da soggetti condannati o inquisiti per gravi reati. Contro le nuove regole, Corallo ricorre al Tar, che gli dà torto. Ma la quarta sezione del Consiglio di Stato, nel 2013, ribalta il verdetto. Secondo questa decisione, che ha come relatore Oberdan Forlenza, il numero due della giustizia amministrativa, le nuove regole anti-crimine sarebbero in contrasto con la libertà d’impresa. Per cui vanno riesaminato dalla Corte costituzionale. E intanto per Corallo non valgono.

Tra marzo e settembre 2015, prima la Corte Costituzionale e poi la Cassazione a sezioni unite (cioè al massimo livello) bocciano il Consiglio di Stato su tutta la linea: le nuove regole sono validissime, anzi in un settore a rischio come l’azzardo sono doverose. La società di Corallo viene quindi convocata, nell’aprile 2016, per applicare le nuove regole, ma non si presenta. A quel punto è lo stesso Consiglio di Stato a fare nuovo ricorso a favore di Corallo, questa volta alla Corte europea di giustizia. E nell’attesa sospende le nuove regole: uno stop considerato dubbio. Fatto sta che, in Italia, un collegio di toghe amministrative è libero di contraddire la Corte Costituzionale e la Cassazione messe insieme. Mentre Corallo può continuare ad arricchirsi anche mentre è in carcere. Perché il Consiglio di Stato contro tutti dice che è giusto così. Giustissimo: bisogna solo spiegarlo ai giocatori rovinati o alle loro vedove e orfani.

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