Dal St Mary’s Hospital alle residenze per studentesse straniere citate nella presunta lettera, nessuno ha memoria del passaggio della giovane ragazza

Emanuela Orlandi
Eccola, finalmente, la donna che potrebbe risolvere i dubbi sulla fine di Emanuela Orlandi, l’unica testimone laica ancora in vita nominata nel misterioso documento uscito dal Vaticano. Dopo due ore e un quarto di attesa, la dottoressa Lesley Regan sbuca a passo spedito dal reparto di ginecologia e ostetricia. Tailleur blu, capelli corti e occhiali squadrati, attraversa la sala d’attesa diretta verso il suo ufficio. «Ha un appuntamento con me?», domanda vedendomi in piedi davanti alla porta. Rispondo che ho provato a fissarlo il giorno prima, con parecchie telefonate e una email spedita al suo indirizzo, ma che nessuno mi ha risposto. Insisto: «Soltanto due minuti, miss Regan, è una questione molto delicata. Sono un giornalista, vengo dall’Italia: c’è un documento uscito dal Vaticano che la coinvolge».

Il documento in questione è quello che riassume le spese che lo Stato Pontificio avrebbe sostenuto per la Orlandi dal 1983 al 1997, quindi dopo la sua sparizione. Londra viene citata come residenza di due ostelli dove la ragazza avrebbe pernottato: Casa Scalabrini, in un periodo compreso dall’83 al 85, e l’Institute of St. Marcellina, dall’85 all’88. Il nome della Regan coincide invece con il periodo che va dal 90 al 93. «Queste carte», provo a spiegare alla dottoressa, «sostengono che lei è stata pagata per curare Emanuela Orlandi. È una ragazza sparita tanti anni fa a Roma, la famiglia non l’ha più ritrovata. Mi aiuti a capire». La Regan risponde che ha «una riunione dietro l’altra» fino a sera: «Mi scusi», taglia corto, «ora devo proprio andare».

Provo comunque a mostrarle le foto. Quella più famosa, del manifesto appeso per Roma negli anni ’80: Emanuela sorridente, con una fascia nera sulla fronte. Poi un’altra, sempre di quell’epoca, primo piano del viso, l’espressione più seria. Infine l’identikit di come potrebbe essere oggi, se fosse ancora viva, la figlia del funzionario vaticano scomparsa nel nulla il 22 giugno di 34 anni fa. «Si ricorda questo viso?». La professoressa non si sofferma sulle foto, non fa domande: «Ho avuto così tanti pazienti, e molti di loro erano italiani, che non so proprio cosa dire».

La dottoressa Regan non riconosce quel volto
Nel periodo 1990-1993, quando secondo il documento apocrifo sarebbero avvenute le visite, Regan era un medico di 34 anni. Laureata in ginecologia e specializzata sul fenomeno degli aborti ricorrenti, era stata appena assunta come consulente dall’ospedale più quotato del Regno Unito nel campo: il St Mary’s di Londra, luogo di nascita dei rampolli reali William e Henry del Galles. Anche il St Mary’s è citato nella strana nota spese. Non impiegherà molto, la giovane dottoressa, a mostrare la sua bravura. Sei anni e due figli dopo, viene nominata capo del dipartimento di ostetricia e ginecologia. Un posto che ha mantenuto fino a oggi, aggiungendovi responsabilità e incarichi prestigiosi, come la presidenza della Royal College of Obstetricians and Gynaecologists. Cortese ma irremovibile, la professoressa se ne va suggerendomi di spiegare tutto alla sua assistente, Zosia Michelidis, con cui lavora da quasi trent’anni. Il giorno dopo la signora Michelidis risponderà per email spiegando: «Sono sinceramente dispiaciuta, ma non sono stata in grado di trovare riscontri su Emanuela nei nostri archivi. La professoressa Regan, a cui ho sottoposto di nuovo le foto che mi ha lasciato, non ricorda di averla incontrata».

I luoghi della City in cui potrebbe essere stata la ragazza scomparsa (cliccate sui numeri per i dettagli)

Per cercare altri riscontri citati nel documento bisogna tornare indietro di qualche anno e spostarsi dal quartiere centrale di Paddington, sede del St Mary’s, al sobborgo residenziale di Hampsted, Londra Nord, una delle zone più ricche della città. È qui che in un periodo tra il 1985 al 1988 Emanuela, secondo il resoconto scritto da abili falsari che sembrano voler mandare messaggi interni al Vaticano, dovrebbe essere passata. Le controverse carte uscite dalle Mura Leonine dicono infatti che in quegli anni la Santa Sede ha versato 18 milioni di lire all’Institute of St.Marcellina, una residenza per studentesse straniere gestita dalle suore marcelline.

“Se l’avessi vista me la ricorderei”
L’ostello è un’elegante casa a tre piani con le pareti esterne in mattoncini rossi. Esiste dal 1955 per offrire corsi d’inglese e un alloggio alle studentesse che vengono a Londra da altri Paesi. Sessant’anni circa, sorriso aperto e un leggero accento bergamasco, Suor Giuliana è la responsabile della struttura. Non le faccio subito il nome di Emanuela. Inizio spiegando che sto cercando informazioni su Camillo Cibin, l’ex capo della Gendarmeria vaticana (morto nel 2009). Il suo nome appare infatti nella voce di spesa legata al «soggiorno» al 6 di Ellerdale Road, come se anche lui fosse stato ospite qui. Suor Giuliana potrebbe essere d’aiuto: se ricordasse la presenza di Cibin, il documento assumerebbe valore. La religiosa dice di essere in servizio stabile presso la struttura londinese dal 1987, e di avervi trascorso le estati già da qualche anno prima. Se qualcosa fosse successo davvero, lei dovrebbe saperlo. Le mostro una foto di Cibin, uno dei pochi primi piani che si trovano online: capelli bianchi e radi, punta del naso arrossata. «Noi non ospitiamo uomini», assicura, «al massimo abbiamo fatto delle eccezioni per i genitori di qualche ragazza, ma se Cibin fosse stato qui me lo ricorderei». Quando ascolta la storia della Orlandi il suo coinvolgimento aumenta. Guarda le foto con attenzione, spiega che la madre superiore che c’era allora è morta pochi anni fa, dice di ricordare bene la vicenda di quella ragazzina sparita nel nulla, di immaginare il dolore provato dalla famiglia. «Noi allora ospitavamo circa 150 giovani ogni estate, ma io conoscevo la storia di Emanuela, ne avevo letto tante volte, l’avrei riconosciuta», garantisce.

La suora acconsente a farmi vedere il registro delle presenze di quegli anni. Apre un quaderno compilato a mano, ordinatissimo, dove sono segnati i nomi delle ospiti, la data e il luogo di nascita, quello di residenza, persino l’identità dei genitori. Lo scorriamo insieme. Sono più di trenta pagine, ma non c’è alcun indizio sulla presenza di Cibin o della Orlandi. D’altra parte, se davvero l’avessero portata qui durante il sequestro, difficilmente Emanuela sarebbe stata affiancata ad altre italiane, Né mai avrebbero usato il suo vero nome in un registro ufficiale. Erano gli anni ‘80, la sua foto circolava da tutte le parti, qualcuno l’avrebbe certamente riconosciuta. Più verosimile, nel caso, che sia stata tenuta in un appartamento, sotto la cura delle suore. Avete mai avuto altre case in Inghilterra, di proprietà o in affitto? «Mai», risponde sicura suor Giuliana. Che prima di lasciarci, di sua volontà, promette di controllare i resoconti finanziari di quegli anni, documenti interni in cui «registriamo anche l’acquisto di un giornale», dice, «magari lì c’è traccia di questi soldi pagati dal Vaticano».

Altri possibili testimoni? Tutti morti o trasferiti
In attesa dei documenti promessi da Suor Giuliana, non resta che attraversare di nuovo la città e dirigersi verso sud, nell’ultima struttura che avrebbe ricevuto denaro (8 milioni di lire) per occuparsi di Emanuela. Stockwell, quartiere oggi abitato prevalentemente da neri. La Orlandi sarebbe stata qui, secondo le carte uscite dal Vaticano, tra l’83 e l’85, subito dopo il rapimento, ospite di Casa Scalabrini, un ostello per studentesse di proprietà dell’omonima congregazione.

Esclusivo
“Oltre 483 milioni di lire spesi dal Vaticano per l'allontanamento di Emanuela Orlandi”
18/9/2017
Sebbene leggermente modificata rispetto a trent’anni fa, la struttura esiste ancora. Due case all’angolo tra Clapham Road e Albert Square, tre piani, architettura neoclassica, mattoncini ocra e cancellata bassa in tipico stile inglese. Padre Francesco, sulla quarantina, tuta da ginnastica e cadenza salentina, premette subito che lui è responsabile della struttura da soli sette anni e i registri di quegli anni - quelli che riguardano l’ecentuale presenza di Emanuela - non ci sono. Dice di non sapere chi fosse il manager nei primi anni ‘80 e aggiunge che la gestione dell’ostello, oggi come allora, era in mano alle Suore di Santa Dorotea di Cemmo. «Qui c’è solo una persona che si può ricordare di quei tempi», suggerisce, «si chiama Patrizia, la trova all’asilo bilingue Italian Day Nursery, qua dietro».

Patrizia Diaz, oggi general manager dell’asilo, tra il 1983 e il 1985 aveva appena iniziato a lavorarci, e per un anno dice di aver vissuto nell’ostello. Si ricorda di questa ragazza? «No, ma sinceramente all’epoca non sapevo chi fosse, vivevo a Londra e non avevo nemmeno la televisione». Le suore che curavano l’ostello negli anni ‘80 oggi non sono più qui. Qualcuna è morta, altre sono state trasferite nelle varie missioni in giro per il mondo.
Lascio Londra senza risposte certe. Nessuno degli intervistati ricorda di aver visto Emanuela, ma trentaquattro anni sono tanti e i testimoni rimasti pochissimi.

Tornato in Italia, ricevo le informazioni promesse da suor Giuliana, la madre superiore dell’Istituto di Santa Marcellina. «Ho controllato tutti i resoconti finanziari di quegli anni», dice, «ma non ci sono cifre che ricollegano alla permanenza qui né della ragazza né di Cibin. Posso aggiungere che nessuno in quel periodo è rimasto da noi per tre anni, e mai abbiamo ricevuto cifre neppure lontanamente vicine ai 18 milioni di cui mi ha parlato. Mi dispiace».

Nessun riscontro definitivo, insomma, sul documento uscito dal Vaticano. Ciò nonostante, la sua apparizione è stata accolta con soddisfazione da Pietro Orlandi, fratello di Emanuela. «Il muro sta cadendo», è stato il suo primo commento dopo la pubblicazione della notizia. Dopo 34 anni di ricerche, la famiglia sente di essere più vicina alla verità. Ma è impossibile, per ora, dire se questa sia passata davvero per Londra.