Nel 2025 saranno 21 milioni i connazionali che pagano per una copertura aggiuntiva rispetto al Ssn. «Ma avere un sistema sanitario a doppio binario che distingue ricchi e poveri è rischioso»
Si chiamava Inam, Istituto nazionale per l’assicurazione contro le malattie, e fino agli anni Settanta è stato il più importante ente mutualistico d’Italia. Chiunque lavorasse ?ci versava una fetta del proprio stipendio per garantire le cure a tutta la famiglia. E chi non lavorava, se si ammalava finiva sul lastrico. Poi è arrivato il
Servizio sanitario nazionale, ?che nel 1978 ha spazzato via le mutue e azzerato le disuguaglianze fra ricchi e poveri. Oggi, sotto l’accattivante inglesismo del “second welfare”, le mutue sono tornate ?in auge, prendendo le sembianze di casse, polizze sanitarie ?e fondi di previdenza integrativa.
Dice il quarto Rapporto Welfare che il benefit più amato dai dipendenti in un’azienda è l’assistenza sanitaria integrativa: la desiderano 3 lavoratori su 4. Ed effettivamente, oltre ai buoni pasto, le imprese offrono per lo più la mutua privata. Succede perché il sistema sanitario è in affanno e gli italiani cercano un’alternativa. Già oggi un terzo delle cure è offerto da strutture private e i cittadini spendono di tasca propria oltre 35 miliardi.
I primi a rendersi conto del grande affare sono state ?le assicurazioni, spiega Aldo Piperno, docente di Sociologia dei Fenomeni Economici all’Università Federico II di Napoli. ?I premi nel settore della salute sono passati da 1,7 a 2,1 miliardi in dieci anni e crescono del 4,1 per cento l’anno. «Fino al 2000 il comparto del welfare sanitario privato era residuale», c’era il Servizio sanitario nazionale per tutto ?e per tutti. Poi la domanda di visite specialistiche in tempi rapidi è cresciuta e lo Stato, alle prese con i tagli ha sganciato benefici fiscali per favorire la creazione di nuove mutue che, teoricamente, dovrebbero servire a coprire i buchi lasciati dalla sanità pubblica. Così il nuovo sistema di welfare aziendale ha preso piede. L’Agenzia delle Entrate dice che nel 2014 erano 9 milioni gli italiani con un’assicurazione sanitaria integrativa, saliti a 14 nel 2017. ?Saranno 21 milioni nel 2025.
Franco Masini, responsabile dell’Unità Coronarica di Parma ?e medico di Emergency, lancia l’allarme: «
Si va verso un sistema sanitario a doppio binario. Un servizio pubblico ?per le fasce più deboli. E una sanità privata per garantire procedure rapide. La sanità italiana non è più universale, neppure in Emilia». Infatti le persone che si assicurano sono per lo più lavoratori dipendenti, spesso dirigenti, uomini, del Nord Italia, ben istruiti. «Eppure ci sono 10 milioni di italiani che non riescono ad accedere al sistema sanitario pubblico», continua Masini, preoccupato per la rinascita delle mutue. ?«È un fenomeno che stiamo sottovalutando e parecchio rischioso», conclude.
Del resto sulle mutue stanno puntando davvero tutti. ?I sindacati, in tandem con le organizzazioni datoriali, ?siedono nei consigli d’amministrazione dei maggiori fondi ?di previdenza. Per esempio Metasalute, fondo sanitario ?dei metalmeccanici, da quest’anno è diventato obbligatorio per tutte le tute blu e passerà da 200 mila a 1,5 milioni ?di iscritti. Le imprese ci guadagnano perché quella parte ?di salario è tassata meno della metà rispetto al resto ?della busta paga. «Ma così facendo lo Stato non incassa ?oltre 700 milioni di tasse che potrebbero servire a sostenere la sanità pubblica», spiega Costantino Troise, segretario ?di Anaao Assomed, il maggior sindacato dei medici.
Inoltre l’effetto del second welfare potrebbe essere tutt’altro che positivo, perché secondo un’indagine Ocse e altre ricerche condotte in Germania, Francia e Canada le mutue private fanno aumentare il numero degli utenti della sanità, specialmente per le visite specialistiche: 46,6 per cento ?per gli assicurati, 25,9 per i non assicurati. Perché le visite più costose e i secondi accertamenti vengono fatti sempre ?a carico del sistema sanitario nazionale.