I "fascisti del terzo millennio", che occupano uno stabile a Roma, hanno accumulato debiti a sei cifre. E adesso, dopo anni, scatta l'atto di pignoramento
La bolletta della luce? Di certo non “a noi”. I fascisti del terzo millennio di Casapound,
arroccati nell’edificio del Miur occupato abusivamente nel 2003 nel cuore di Roma, di fatture per l’energia non ne vogliono sapere. Nel corso degli anni hanno accumulato un debito a sei cifre, che si aggiunge al danno erariale milionario su cui sta indagando la Corte dei Conti per il mancato sgombero del palazzo:
più di 210 mila euro nei confronti della municipalizzata Acea, come risulta da due decreti ingiuntivi che
L’Espresso ha potuto leggere. Una storia ben diversa da quella che ha raccontato il leader nazionale Simone Di Stefano: “Ci vivono famiglie di italiani, non sono sconosciute al Comune di Roma - ha sostenuto Di Stefano in una intervista a
TgCom24 - perché hanno la residenza, pagano le utenze, è una situazione sotto controllo”.
Giallo all’EsquilinoNel febbraio del 2016 la multiutility romana, dopo aver tentato inutilmente di farsi pagare, ha chiuso i contatori. Eppure al civico 8 di via Napoleone III le luci, la sera, sono ancora accese. Un nuovo operatore? Qui comincia un giallo. La legge 47 del 2014 - firmata dall’allora ministro Maurizio Lupi proprio per bloccare le occupazioni abusive - obbliga i fornitori di utenze a chiedere copia del contratto di affitto o la prova della titolarità dell’immobile per poter allacciare un contatore.
L’articolo 5 della legge Lupi sul punto è chiarissimo: “Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l'allacciamento a pubblici servizi in relazione all'immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge”. Dunque un eventuale contratto per la fornitura della luce successivo al 2014 sarebbe nullo, così come le residenze anagrafiche che Di Stefano ha assicurato essere state concesse dal Comune di Roma.
Da dove arriva l’energia elettrica? Già in passato, subito dopo l’occupazione del palazzo all’Esquilino,
Casapound era stata oggetto di una denuncia per un presunto allaccio abusivo: “Il 14 gennaio 2004 il Ministero ha richiesto all’Acea e alla Telecom la disattivazione delle utenze - aveva spiegato a
L’Espresso il Miur lo scorso febbraio - e il 2 marzo 2004 è stata sporta formale denuncia–querela alle autorità di polizia giudiziaria per segnalare la presenza di presunti allacci abusivi alle forniture di energia elettrica, che seguiva due richieste di intervento del Ministero al fornitore Acea il quale è, quindi, intervenuto per disattivare allacci abusivi”.
Il giallo sulla luce di Casapound poteva essere risolto dall’ispezione del Nucleo tutela spesa pubblica della Guardia di finanza. Su delega della Procura della Corte dei Conti del Lazio, le Fiamme gialle hanno tentato una prima volta il 22 ottobre scorso di entrare nell’edificio pubblico occupato da Casapound per “acquisire elementi informativi e fonti di prova utili alle indagini in corso - si legge nel decreto di accertamento diretto - rilevando lo stato dei luoghi e individuando esattamente gli immobili occupati e la loro specifica destinazione”.
Un vero e proprio atto di indagine disposto in base all’articolo 61 del Codice di giustizia contabile, per stabilire se i locali occupati fossero adibiti a “uffici, sedi di associazioni o gruppi politici, abitazioni private”. Ma a bloccare quell’accertamento della Finanza è stato un “un atteggiamento molto duro di chiusura”, come ha spiegato la Procura contabile. D’altra parte, come ha ammesso Di Stefano, “in quattordici anni non è mai venuto nessuno” per controllare. L’isola della tartaruga frecciata continua a godere di una sorta di extraterritorialità. L’ispezione è poi avvenuta il 26 ottobre, ma si è limitata a constatare lo stato dei luoghi, senza nessuna verifica sulle utenze che non rientrava nel mandato stretto della Corte dei Conti.
La caccia ai soldi di CasapoundL’atto di pignoramento presso terzi per le bollette non pagate da Casapound, per una cifra complessiva di
330 mila euro (il debito aumentato della metà, come previsto dal codice di procedura civile), è stato emesso lo scorso 14 settembre, su richiesta dei legali di Acea, dal Tribunale di Roma. Il tentativo degli avvocati è quello di intercettare crediti che Casapound avrebbe nei confronti di enti pubblici e società, affinché vengano girati direttamente alla società romana dell’energia. Come a dire: se qualcuno deve dei soldi a Casapound, li dia a noi.
Nella lista dei soggetti di cui “Casapound risulta essere creditrice”, figurano due istituti bancari (uno a Milano e uno a Roma), la cooperativa Isola delle tartarughe -
ovvero il soggetto che raccoglie per conto di Casapound il 5 per mille - e diciassette Comuni in giro per l’Italia, da Bolzano a Isernia. In molti Comuni citati nell’elenco del Tribunale civile di Roma vi erano consiglieri comunali eletti nelle liste del partito di Gianluca Iannone. I legali della società romana puntavano ad incassare probabilmente anche i gettoni di presenza eventualmente ancora non versati.
Gli atti a favore di Acea erano già stati dichiarati esecutivi e muniti delle relative formule nel corso del 2017, ma la procedura per il recupero dei soldi è partita solo nel giugno scorso, notificata anche al presidente di Casapound, Gianluca Iannone. Anche lui residente, come risulta dall’atto di notifica, nel palazzo occupato.