Sulle grandi opere il matrimonio Lega-M5S traballa ancora prima di partire. Lo dimostrano gli investimenti nelle due regioni in mano al centrodestra. In Lombardia e Veneto tra Verdi e grillini è sempre Casa Vianello

Una consuetudine della politica destina gli scontri sulle ideologie al livello nazionale. Al livello locale bisogna amministrare, dunque bisogna mettersi d’accordo. Fra le tante novità di questa crisi c’è il rovesciamento di questa regola. Negli stessi giorni in cui grillini e leghisti si facevano filmare a un tavolo, pensosi, cooperativi e intenti a redigere il nuovo contratto di governo, nelle sale dei consigli regionali era business as usual sul tema che, più di ogni altro, rende precario un accordo fra i due vincitori del 4 marzo: le grandi infrastrutture.

Qualche estratto dalla sola settimana iniziata il 21 maggio. Regione Lombardia, interno giorno. Niente nuovi finanziamenti del Cipe alla Pedemontana? «Farò di tutto perché possa essere completata», ha detto il governatore Fontana il 21 maggio e il giorno dopo ha aggiunto: «Io sarò a combattere contro questo governo», in caso di blocco dei finanziamenti pubblici che al momento coprono appena un quarto del totale necessario per l’autostrada più cara della storia italiana (57,8 milioni di euro al chilometro per 5 miliardi complessivi di spesa).
Il derby brianzolo è proseguito il 25 maggio fra il senatore a cinque stelle Gianmarco Corbetta e il consigliere regionale del Carroccio Andrea Monti. «Su Pedemontana Lombarda M5S continuerà a ribadire la sua contrarietà», dice il primo. «Pedemontana va fatta. Per il resto c’è il Maalox», ribatte il secondo.

Passato il confine a est, in Veneto lo scontro continua. Anche qui un governatore leghista, Luca Zaia. Anche qui una Pedemontana da difendere contro la vile aggressione grillina.«Qui non cambia nulla», dichiara Zaia. «Noi restiamo in maggioranza e loro all’opposizione».
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Il capogruppo M5S in Regione, Jacopo Berti, contrattacca: «Sono un soldato e faccio quel che mi dice il Movimento. Ma su Pedemontana e Mose non arretro di un centimetro». Chiude lo scambio il pari grado Nicola Finco, capogruppo verde in Regione. «Siete dei pagliacci. Dove governate, fate disastri». Stesse spaccature sul terzo valico dell’alta velocità ferroviaria Milano-Genova, sulla gronda del capoluogo ligure e sulla Tav Torino-Lione, unica grande opera che il contratto grillo-leghista prometteva di sospendere e di rimettere in discussione, forse perché la regione Piemonte è in mano al Pd.
 
Il braccio di ferro su Paolo Savona, sull’uscita dall’euro e sul default del debito pubblico risulta ancora più pretestuoso alla luce dei soldi veri, quelli che dallo Stato passano alle aziende sotto forma di appalti, concessioni, aumenti automatici dei pedaggi.

Il muro contro muro fra Lega e M5S sulle grandi opere impatta sull’identità profonda dei promessi sposi di governo e si risolve solo con la resa di una delle parti, che si assume un rischio in termini di consenso. La rivolta della base non è cosa da poco per i due movimenti che lavorano in presa diretta sugli umori del popolo, come viene definito chi non vota Pd, e che allo stesso tempo hanno un’impostazione da centralismo democratico.
A oggi resta difficile trovare una base di accordo fra il Carroccio d’asfalto e il partito di maggioranza relativa, quello che ha saputo dialogare meglio con quanto resta dell’ambientalismo dopo la scomparsa dei Verdi.
L’andamento delle grandi opere nelle due principali regioni a guida leghista non sembra fatto per ammorbidire l’antagonismo giallo-verde, tutt’altro, e il mese di giugno è ricco di appuntamenti destinati ad accendere la contrapposizione.

Mi chiamo bond, Veneto bond
La Spl, superstrada pedemontana veneta, è la società privata incaricata di realizzare il nuovo tracciato a nord dell’A4, all’incirca parallelo all’autostrada. L’opera, a suo modo, è un capolavoro di ingegneria. Finanziaria, non civile. La carta di identità è la seguente: 95 chilometri, lavori completati al 31 per cento, con una spesa di 700 milioni su 600 milioni complessivi previsti in partenza. Per ora il conto è salito a 3 miliardi di euro. Fin qui, il ritratto è banale. Veniamo ai segni particolari. Spl nasce sotto la magica aura del project financing. Viene firmata una convenzione fra la parte pubblica e i privati del consorzio ispano-italiano Sis (Sacyr e Dogliani) che nel 2009 si impegnano a costruire la superstrada con i loro soldi (600 milioni), in cambio di una lunga concessione. L’esborso della Regione è limitato a un canone di 29 milioni di euro più Iva all’anno per quindici anni (532 milioni totali).

Ma il piano finanziario e industriale della Spl viene bombardato a tappeto dalla Bei e dalla Cassa depositi e prestiti. I due enti stimano che i flussi di traffico previsto sono gonfiati del doppio e che il pedaggio (0,22 euro al chilometro) è quasi quadruplo rispetto alla concorrenza dell’A4 (0,06 euro), una situazione in fotocopia di quella fra la Brebemi e il tratto lombardo della stessa A4.

La Corte dei conti spedisce alla Regione la prima di tre tornate di rilievi che, alla fine, occuperanno diverse centinaia di pagine e si occuperanno anche della figura del commissario governativo straordinario Silvano Vernizzi, candidato per un posto al ministero delle infrastrutture del governo-non governo di Giuseppe Conte e attuale amministratore delegato di Veneto Strade, controllata dagli enti locali veneti.
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Nel 2013 il Veneto e Sis firmano una nuova convenzione ma i privati capiscono che non basta. Quattro anni dopo arriva una terza convenzione che rovescia i termini dell’operazione iniziale. Sarà la Regione, non Sis, a incassare i pedaggi in cambio di un canone annuale che, a fine concessione (2020-2059), supererà i 7,3 miliardi di euro Iva inclusa. Bei e Cdp prevedono incassi di poco superiori alla metà di questa cifra. I lavori rimanenti vengono finanziati da bond garantiti dalla Regione per 1,57 miliardi di euro. L’obbligazione senior e la subordinata a dieci anni pagano interessi annui del 5 e dell’8 per cento rispettivamente. Il rendimento si avvicina a quello dei bonos venezuelani prima del default. L’allora senatore M5S Enrico Cappelletti ricorre all’Anac di Raffaele Cantone ma il 6 dicembre 2017 l’authority ha convalidato il progetto.

Come è abituale dopo le vicende del ponte sullo Stretto, lo spauracchio per insistere nei lavori è la penale che si dovrebbe pagare al concessionario. Gli uomini di Zaia hanno sparato una cifra astronomica: 14 miliardi di euro. Vero o presumibilmente falso che sia, la Corte dei conti aspetta ancora le controdeduzioni della giunta ai suoi ultimi 39 rilievi critici sul “Mose in terra ferma”, come l’hanno definito grillini e ambientalisti. Le repliche dovevano arrivare entro aprile. Adesso la scadenza è giugno. Sempre in questo mese il Tar dovrebbe pronunciarsi sul ricorso presentato da Salini-Impregilo, secondo classificato nella gara d’appalto dopo Sis. La più grande società di costruzioni italiana sostiene che, rispetto al capitolato iniziale, le condizioni dell’appalto sono così radicalmente cambiate da imporre una nuova procedura di assegnazione.

La triplice Intesa
Più di Teem (tangenziali esterne Milano) e di Brebemi, l’Apl (autostrada pedemontana lombarda) è il simbolo del leghismo su un tracciato che si sviluppava fra Como, Varese, Monza e Bergamo, dove la Lega affonda le sue radici. L’ultimo anno è stato vissuto pericolosamente. Nel luglio scorso la Procura di Milano ha presentato istanza di fallimento sull’iniziativa che, ancora una volta, doveva essere a carico dei privati salvo finire interamente in conto al contribuente.

Il salvataggio è arrivato in tribunale il 19 dicembre grazie a un mutuo da 200 milioni concesso alla Regione da Banca Intesa, azionista di minoranza di Apl e protagonista delle nuove infrastrutture al Nord. Neanche il tempo di esultare che l’8 gennaio il governatore Roberto Maroni ha annunciato di non volersi ricandidare. Nove giorni dopo si è dimesso il suo rappresentante in Apl Federico Maurizio D’Andrea, ex colonnello della Finanza al lavoro nel pool Mani pulite con Antonio Di Pietro, a sua volta presidente di Apl dal 2016 al 2017. L’uscita di D’Andrea si spiega in parte con l’abbandono di Maroni ma a fare saltare il banco è stata la rottura con il consorzio austriaco Strabag, non voluta dal manager ma imposta dall’azionista Regione dopo che Strabag aveva iscritto riserve (costi in eccesso al progetto) per 3 miliardi di euro, pari al doppio del valore dei lavori appaltati (1,5 miliardi).
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Al posto di D’Andrea, la giunta di centrodestra fra Lega e Forza Italia ha nominato il commercialista Antonio Franchitti ma solo per il tempo necessario ad approvare, entro giugno, il bilancio 2017 che D’Andrea non ha voluto firmare. Entro questo mese, dovrebbe anche andare a sentenza la causa di Strabag alla Regione sul risarcimento del danno per la rescissione del contratto. E il 30 giugno è anche il termine per presentare il nuovo progetto, riveduto e corretto in base alle necessità di tagliare l’investimento. Rischiano la cancellazione la Varesina bis e la tratta D fra Vimercate e Bergamo, finanziariamente molto pesante (1 miliardo di euro di valore). Il tracciato in Brianza dovrebbe ricalcare l’attuale Milano-Meda e salvare il Bosco delle querce.

Sembra un favore agli ambientalisti ma è un risparmio anche questo. L’area verde è nel territorio di Seveso e ci sono timori concreti che le ruspe possano riportare in superficie le tracce della catastrofe ambientale di 42 anni fa, con aumento vertiginoso delle spese di bonifica. Infine, com’è accaduto in Veneto, esiste il rischio concreto che il progetto comporti, come volevano i grillini, una ridiscussione a partire da zero dentro il Cipe, l’organo ministeriale che decide gli affidamenti finanziari alle opere di interesse pubblico.

Il film “mamma, mi si è ristretto l’appalto” prosegue con l’autostrada della Val Trompia, fortemente voluta dal re dell’industria locale Franco Gussalli Beretta e dalle associazioni di autotrasportatori. Partita con un montepremi di 900 milioni per 35 chilometri e quattro corsie su due sensi di marcia, l’opera era stata appalta alla Salc (Salini Claudio costruzioni), da non confondere con Salini-Impregilo. Il contenzioso sui costi in eccesso è partito poco dopo l’assegnazione. Salc ha chiesto 58 milioni in più, Anas ne ha offerti quasi 9. L’impresa ha rifiutato e ha fatto ricorso alla magistratura amministrativa. Il Consiglio di Stato deciderà entro la prima metà di giugno. Nelle more si è pensato di volare più basso e di ridurre a un terzo (11 chilometri) il tracciato in modo da rientrare nelle spese previste inizialmente. «Con un governo a cinque stelle, non si fa», aveva detto molto semplicemente il consigliere regionale grillino Franco Alberti.

La saturazione del territorio lombardo è ben rappresentata dai conti economici di Apl, ma anche di Teem e Brebemi che si sono scambiate il proprietario come accade ai calciatori che non hanno reso abbastanza. Brebemi, passata da Gavio a Intesa, è quella che va peggio. Nel biennio 2015-2016 ha accumulato 118 milioni perdite aggregate, anche se c’è ottimismo per il 2017 e per il 2018.

Teem, passata da Intesa a Gavio, ha accumulato nel triennio 2015-2017 90 milioni di rosso. La Pedemontana, essendo ancora largamente incompiuta perde 30 milioni di euro fra 2015 e 2016. Eppure la giunta vuole portare a casa anche la Treviglio-Bergamo, a partire da 300 milioni di euro. Fra i sostenitori c’è il neodeputato azzurro Alessandro Sorte. «Con i grillini al governo», ha detto, «la Bergamo-Treviglio è a forte rischio». Da assessore regionale ai Trasporti con Maroni, Sorte aveva lanciato l’idea di una funivia di collegamento fra l’aeroporto di Orio al Serio e Bergamo. Chi sa che ne pensa Luigi Di Maio.

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