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Per il governatore leghista e per il suo assessore al Welfare, il forzista Giulio Gallera, non è facile conciliare i segnali positivi con i dati ancora allarmanti della regione dove tutto è iniziato e dove il Cov-Sars-2 continua a mietere la maggior parte delle vittime (oltre 15 mila pari 48,9% del totale nazionale).
Il mantra della speranza per la fase 2 è nella possibile mutazione del virus che forse è in declino. Anche qui non c'è accordo. Sul fronte dell'ottimismo ci sono i due esponenti più noti e stimati del Comitato tecnico scientifico (Cts) regionale: Giuseppe Remuzzi, direttore dell'istituto Mario Negri, e Alberto Zangrillo, primario di terapia intensiva del San Raffaele di Milano, che ha trascorso il picco dell'emergenza a dormire su una poltrona in ospedale, quando un malato intubato su sei non ce la faceva.
Sull'altro ci sono i più prudenti come Massimo Galli, alla guida del dipartimento malattie infettive del Sacco e membro del Cts nazionale, spesso polemico con la gestione della sanità lombarda e mal visto da molti colleghi più vicini alla giunta del Pirellone.
Galli ha lanciato l'allarme sull'apertura ai tanti positivi che erano chiusi in casa e ha parlato di “bomba Milano” sottolineando che il virus non ha perso vigore, l'epidemia sì ma solo a seguito delle misure di distanziamento. Sembrano sfumature ma il contrasto a un virus di cui si sa ancora poco è fatto di prudenza, anche perché finora ogni fuga in avanti è stata punita dai fatti.
Sulla stessa linea di Galli si sono pronunciati l'immunologo Alberto Mantovani e altri partecipanti al seminario online del 12 maggio patrocinato da un panel non certo ostile alla giunta composto dall'Humanitas, dalla Bocconi e dall'Irccs istituto nazionale dei tumori dal quale proviene il direttore generale della sanità lombarda Luigi Cajazzo.
Contabilità a rischio
La data che tutti attendono con ansia, rispetto a tempi di incubazione previsti fra cinque e quattordici giorni, è quella del 18 maggio, due settimane dopo la fine del lockdown.
I numeri dicono che c'è ancora molta strada da fare. I ricoverati, ancora al di sopra dei 5 mila, sono il 41% del valore nazionale. Nei primi tre giorni di maggio la media dei nuovi casi in regione è stata di 531. Dalla riapertura di lunedì 4 maggio fino a domenica 10 i positivi sono in media 564 al giorno e salgono fino a 1397 complessivi fra lunedì 11 e martedì 12 ossia quasi 700 al giorno.
Danilo Cereda, il responsabile delle malattie infettive dell'Unità di crisi della Lombardia, ha parlato di incidenza di dati dei giorni scorsi. È curioso che la sfasatura delle cifre, non segnalata nel momento peggiore dell'emergenza, stia diventando una costante proprio adesso che i numeri sono in calo, dunque in teoria più gestibili. Dopo il maxirecupero di decessi di sabato 2 maggio (+282 riferiti al mese di aprile), ci sono stati conguagli di casi positivi il 6 maggio (+130 tra Varese e Milano), il 7 maggio (+31 a Varese), l'8 maggio (+25 a Cremona) e il 12 maggio (+419 fra Bergamo e Varese).
«C'è molto ancora da capire sulla Fase 2», dice Massimo Lombardo, direttore generale dell'Asst di Lodi in quota Lega. «Qui siamo stati i primi ad affrontare l'ondata e adesso stiamo mettendo in pratica nuovi sistemi come la telesorveglianza».
In che consista la telesorveglianza lo spiega Ermanno Lucchini, lodigiano, con oltre quaranta giorni di ricovero fra l'ospedale della sua città. «Sono stato contattato da un numero con prefisso 02 di Milano e una signora mi ha chiesto come stavo. Dopo avere risposto a questa e ad altre domande, ho chiesto io con chi stavo parlando. Mi è stato detto che non potevano dirmelo. Ho insistito, visto che un'ignota stava acquisendo i miei dati personali e ho saputo soltanto che stavo parlando con un call center non meglio specificato, incaricato dalla Regione. Anche mio figlio è stato contattato sul cellulare che avevo lasciato al momento del ricovero come familiare di riferimento».
Parlare con dipendenti di un call center può anche sollevare il morale a chi ha superato una malattia e un ricovero. Ma il sistema scelto dal Pirellone presenta problemi di privacy e di semplice utilità. La sensazione è che in Lombardia si continui a procedere per tentativi, non sempre di successo.
Sullo sfondo rimangono le polemiche per i tanti soldi spesi per allestire le terapie intensive nei padiglioni della Fiera di Milano, un nuovo spazio caldeggiato da Gallera e inaugurato da Guido Bertolaso con una spesa di 21 milioni di euro in una situazione del tutto decontestualizzata rispetto alle terapie intensive tradizionali, inserite nell'organismo ospedaliero. Il numero di posti rispetto ai piani otiginali è calato molto più rapidamente della curva epidemiologica: dai 600 annunciati ai 53 effettivi di cui solo poche unità occupate al momento.
Tra l'altro, la Fondazione Fiera di Milano, che ha concesso gratis alla regione per un anno i padiglioni 1 e 2 dell'area Portello, al momento ha confermato tutti gli appuntamenti espositivi di settembre e non è chiaro come le due realtà potranno convivere a così breve distanza.
L'ipotesi di chiusura di alcuni centri Covid, come quello alla Fiera di Bergamo dove fino all'8 maggio ha lavorato il personale sanitario russo, è ancora molto dibattuta fra i medici. Chi teme un ritorno di fiamma si scontra con chi pensa che si debba tornare a una gestione quasi normalizzata e allo smaltimento degli arretrati che l'emergenza ha creato in ogni altro settore clinico. Fra questi ultimi, c'è Gallera che però ha smentito le voci di chiusura della struttura bergamasca.
L'assessore forzista si è occupato del recupero dell'ordinaria amministrazione nella conferenza stampa di martedì 12 maggio quando ha anche annunciato il via libera della giunta ai test dei privati sull'immunità sierologica.
Anche qui la situazione ha aspetti contraddittori, se non paradossali. In sostanza, secondo quanto ha spiegato Gallera, se risulti negativo alle immunoglobuline G e M, non significa che non sei malato in quel momento. Se risulti positivo, ugualmente non significa che non sei malato in quel momento.
«Il test», ha detto l'assessore, «ha valore di screening epidemiologico per realtà collettive come le imprese. Chi lo propone deve occuparsi di tutto. Deve trovare i test, il laboratorio, farsi dare il consenso di chi è controllato, spiegargli che potrebbe andare in quarantena e recuperare i tamponi per gli eventuali positivi».
L'aspetto economico sarà molto rilevante. La tariffa fissata per i laboratori accreditati è di 62,83 euro, poco meno dei 65 euro che finora chiedevano la maggior parte delle strutture.
Se protesti, ti licenzio
Nel frattempo chi ha messo in evidenza pubblica le falle della sicurezza nelle strutture accreditate dalla regione e nelle Rsa sta passando guai che vanno al di là dei postumi del virus. Il Don Gnocchi ha licenziato il primo dei 18 dipendenti della Ampast, una grossa cooperativa (225 dipendenti, 127 soci e 6 milioni di euro di ricavi) diretta dal senegalese 'Ndiaye Papa Waly.
I lavoratori, tutti positivi al Covid-19, avevano reso di dominio pubblico le loro contestazioni attraverso un comunicato ripreso dalle piattaforme del sindacato Usb.
Contro il licenziamento e la sospensione, motivata espressamente dal danno di immagine che l'istituto Palazzolo e la fondazione Don Gnocchi avrebbero ricevuto, i 18 hanno fatto ricorso attraverso l'avvocato romano Romolo Reboa, difensore di alcuni parenti delle vittime dell'hotel Rigopiano.
A dispetto del fatto che i vertici del don Gnocchi sono sotto inchiesta per omicidio colposo e strage colposa e nonostante le tutele rinforzate dalla legge 179 del 2017, i cosiddetti whistleblower non vanno troppo di moda in Lombardia.