In Italia ci sono migliaia di depositi abusivi o semi abusivi che sempre più spesso vanno a fuoco. E un sistema che unisce i clan alla cattiva imprenditoria. Perché tonnellate di monnezza possono diventare oro

Incendio in una discarica abusiva in Emilia-Romagna
Cascate di immondizia ingoiate da grandi buchi neri, lì dove da sempre si cementa il patto tra boss e imprenditori senza scrupoli: ancora oggi questo è il business migliore per i colletti bianchi in cerca di soldi sporchi. Si arricchiscono grazie alla grande incertezza che imprigiona l’Italia della spazzatura. La differenziata langue, non si investe in impianti per produrre energia dai rifiuti e nemmeno si costruiscono termovalorizzatori. Così le discariche continuano a proliferare.

Quelle legali sono oltre 120 e secondo l’Ispra (l’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale) nel 2018 hanno digerito 6,5 milioni di tonnellate di immondizia, oltre il 20 per cento del totale. La Commissione Ue ci impone di dimezzarle entro il 2035 ma non è un obiettivo facile: nonostante sia vietato dalla fine degli anni Novanta, andiamo avanti persino a gettare i rifiuti senza sottoporli ad alcun trattamento. Si prosegue sulla spinta dell’emergenza tra stoccaggi pieni, mancanza di sbocchi e colonne di camion che ogni anno trasferiscono la raccolta delle regioni meridionali.

Al Nord si trovano ben 26 dei 38 impianti di incenerimento con recupero di energia, 173 sui 281 centri di compostaggio. Perché dove esiste un ciclo integrato dei rifiuti, l’uso delle discariche è ridotto al minimo: in Lombardia solo il 4 per cento; in Friuli Venezia Giulia il 7; in Trentino Alto-Adige il 9. In queste regioni la differenziata viaggia al 70 per cento: la stessa percentuale che la Sicilia getta in discarica. Una scelta dannosa per l’ambiente ma conveniente per le amministrazioni: seppellire i rifiuti costa in media 110 euro a tonnellata, in Campania addirittura 60 euro. Per questo Legambiente ritiene sia fondamentale un intervento più deciso: «Una nuova ecotassa che premi i comuni più virtuosi, capaci di ridurre il rifiuto indifferenziato avviato allo smaltimento e introduca mille nuovi impianti di riciclo per raggiungere l’obiettivo rifiuti zero in discarica».

Il sistema ha un altro punto debole: i soldi sono pubblici, ma lo smaltimento è sempre più in mano ai privati. Che spesso pur di ottenere i profitti scelgono qualsiasi scorciatoia. Il campionario è vasto. Rifiuti trattati da chi ha licenze, accaparrati con triangolazioni e certificati con false fatture e simulazioni di avvenuto recupero. O trasportati con auto di scorta e poi bruciati nel tunnel dello smaltimento illegale che stanno trasformando la pianura padana nella nuova “terra dei fuochi”. In assenza di impianti, ecco gli inceneritori fai-da-te che provocano emissioni di diossina micidiali: decine di capannoni riempiti di scarti e dati alle fiamme. L’alternativa al vecchio metodo di seppellire nel terreno, spesso anche nei parchi, che resta comunque in voga: nel Gargano a inizio anno sono stati trovati scarti dei cantieri edili distribuiti in 11 mila metri quadrati.
La discarica di Bellolampo a Palermo

«Quello dei rifiuti abbandonati è un fenomeno esteso su quasi tutto il territorio nazionale», spiega il numero due del comando per la tutela ambientale dei Carabinieri Giuseppe Cavallari. «A cui si aggiungono gestioni improprie da parte di aziende che sono autorizzate ma trattano più rifiuti del dovuto e non li smaltiscono nel giusto modo, senza tutelare l’ambiente e i cittadini». Da gennaio 2019 a oggi i militari hanno sequestrato oltre 40 discariche non autorizzate e denunciato più di 3.300 persone.

I DANNI CHE NESSUNO PAGA
Incendiare è ancora più conveniente: nell’ultimo anno ci sono stati oltre 250 roghi dolosi di depositi, che rendono velenosa l’aria. Ad Aprilia, sul litorale romano, l’ultimo incendio ad agosto al deposito della Loas Italia, con un titolare già arrestato per aver smaltito illecitamente rifiuti, ha causato un picco di diossina pauroso, che ha battuto il precedente del 2017. Allora a pochi chilometri di distanza era andata in fiamme la Eco X di Pomezia: un’area di stoccaggio con 5 mila tonnellate di plastica in più di quelle autorizzate. La società è fallita, lasciando il conto da pagare per la bonifica. Le regole prevedono che chi chiede la licenza per aprire una discarica vincoli una somma a garanzia di eventuali problemi, ma fidejussioni e assicurazioni si rivelano spesso tarocche. A Brescia la Procura ha scoperto un traffico di polizze false stipulate in Romania e Bulgaria e gestite dal clan camorristico dei Mallardo. A Treviso due funzionari della Provincia hanno accettato fideiussioni rilasciate da intermediari finanziari inadeguati e intanto le società dopo aver inquinato per anni sono fallite. La Commissione parlamentare Ecomafie sta svolgendo un’inchiesta su questi castelli di carte che dovrebbero garantire almeno gli indennizzi: «Il censimento sta portando alla luce molte irregolarità. Si va da polizze false a garanzie emesse da società insolventi o fallite, fino a siti privi di qualsiasi copertura fideiussoria», spiega il presidente Stefano Vignaroli. Della pulizia delle discariche ora si fa carico la struttura guidata dal commissario Giuseppe Vadalà, che ha permesso in tre anni di decurtare le multe inflitte dalla Ue per le infrazioni dei vincoli europei: sono stati risparmiati 16 milioni ed entro dicembre un’altra decina di siti saranno messi a posto, ma ne rimangono ancora quaranta.

MALAGROTTA 2, L’ETERNO RITORNO
Roma resta la città eterna dei rifiuti perduti. Monte Carnevale è una cava esaurita a pochi metri da Malagrotta, l’ex più grande discarica d’Europa chiusa dopo molte battaglie e sei anni di sanzioni milionarie dall’Ue. La grande pattumiera dell’Urbe non è ancora stata bonificata, ma quella cava per la sindaca Virginia Raggi è la soluzione per dare sfogo alle tonnellate d’immondizia prodotte dalla metropoli. La Regione Lazio ha chiuso l’impianto di Colleferro e il Campidoglio deve trovare un’alternativa, anche a costo di spaccare il M5S. Monte Carnevale è a pochi metri dalle case, da una riserva naturale protetta, dall’aeroporto di Fiumicino (con la sicurezza del traffico aereo a rischio per gli stormi di gabbiani richiamati dai rifiuti) e pure da un centro interforze del ministero della Difesa che ha manifestato perplessità per la sicurezza. Il proprietario, Valter Lozza, rischia di prendere il posto del “supremo” Manlio Cerroni trasformandosi nel nuovo “re della monnezza”. Già condannato in primo grado per aver tentato di corrompere un perito del tribunale e accusato dalla procura di Roma per aver smaltito rifiuti pericolosi, gestisce altre due discariche nel Lazio. Precedenti che non imbarazzano gli amministratori pubblici.

Per ora il Consiglio di Stato ha sospeso solo l’autorizzazione a ricevere insieme fanghi e inerti, ma - sottolinea la giurista ambientale Paola Ficco - «suscita più d’una perplessità che la Regione Lazio abbia pensato di conferirli alla stessa categoria di discarica. Inoltre la Regione non intende sottoporre il progetto alla valutazione d’impatto ambientale, aggirando la legge». Alla fine, conteranno solo le leggi dell’emergenza: il tempo è poco e l’immondizia è tanta. Lo scorso luglio la Procura ha disposto anche il sequestro dell’impianto di Rocca Cencia, a est della capitale, dopo le denunce dei residenti per i miasmi: smaltiva 700 tonnellate di indifferenziato. L’altro, quello del Salario, è andato a fuoco nel 2018. E non si può sperare nella differenziata: avrebbe dovuto raggiungere il 70 per cento entro il prossimo anno, ma i numeri reali sono un mistero. Così la discarica resta l’unica alternativa all’invasione dei sacchi neri nella capitale.

L’IMPORTANTE È “CUMMIGHIARE”
Il «simbolo della crisi rifiuti in Sicilia», come l’ha definita la Commissione antimafia regionale, è la grande collina di proprietà del Comune che da decenni mastica l’immondizia di Palermo. A Bellolampo, poche settimane fa, un dirigente è stato sorpreso mentre intascava una tangente da 5 mila euro. L’ultimo episodio di un calvario, tra sequestri e dissequestri, danni ai macchinari e incendi e le colonne di Tir che trasportano i rifiuti dall’altra parte dell’isola e li consegnano nelle mani dei privati. In Sicilia non ci sono termovalorizzatori né grandi impianti di compostaggio. Solo discariche. Un affare che nel 30 per cento dei casi passa da affidamenti diretti perché la perenne emergenza non ammette gare. È così che la “munnizza”si trasforma in oro. Qui si dice “cummigghiare”, coprire e far sparire, con tanto di pubblici ufficiali a libro paga pronti a informare dei controlli. «Tieni», dice Leonardi mentre le microspie registrano il rumore dei soldi, «con questo ti fai il Ferragosto». Un sistema organizzato che ha creato veleni con «limiti di contaminazione regolarmente superati, emissioni di biogas, potenziale contaminazione delle acque sotterranee». Accade a Siculiana, nell’impianto della famiglia di Giuseppe Catanzaro, già presidente della Confindustria locale. Se quarant’anni fa Leonardo Sciascia scriveva «l’immondizia arriva alle ginocchia e la mafia alla gola», oggi la Sicilia rischia di esplodere nella bomba creata dalla grande alleanza tra clan, imprenditori e colletti bianchi.

UNA FILIERA DELL’ILLEGALITÀ
Rifiuti che viaggiano, gare al ribasso e cavilli in cui le mafie hanno grandi margini di guadagno attraverso società formalmente in regola, che gestiscono all’apparenza lecitamente i rifiuti. A lanciare l’allarme è la Direzione Investigativa Antimafia: il business dei rifiuti è una testa di ponte per allargare connessioni con il mondo imprenditoriale. E così in provincia di Como un soggetto vicino alle famiglie calabresi si è proposto di trasferire gli scarti in Calabria per smaltirli in cave abusive. E poi vagoni carichi di monnezza diretti in Bulgaria con documenti falsi. Le regole impongono alle aziende certificazioni, ma proliferano mediatori senza scrupoli pronti a un giustificativo su misura. Spostando il problema altrove: all’estero o nei depositi che poi vengono bruciati. Un ottimo affare, il fuoco, perché offre soldi facili e pochi rischi: come ha dimostrato la commissione Ecomafie, nella maggior parte dei casi nessuno risponde.

E LA PANDEMIA AIUTA IL CRIMINE
A fine marzo, nel pieno dell’epidemia di Covid, la differenziata si ferma e le discariche si allargano. Una circolare del ministero dell’Ambiente permette alle regioni di aumentare l’accumulo fino al 20 per cento. Il che crea un grande interesse criminale: «La ‘ndrangheta in particolare sfrutta la pandemia per fare affari con lo smaltimento di rifiuti contaminati, rilevando società attraverso prestanome», rivela Alessandra Dolci, a capo della Direzione Distrettuale Antimafia e anticorruzione di Milano. Secondo l’ex procuratore di Civitavecchia ed esperto in temi ambientali Gianfranco Amendola ormai «si va in totale contrasto con il decreto del 2003 che qualifica come discarica qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno». Si possono infatti parcheggiare gli scarti nel primo capannone: un permesso provvisorio. Così come erano provvisorie le ecoballe campane, che da vent’anni però continuano a seminare veleni.