L’inchiesta
I padrini della Macro Mafia, la super cupola che controlla la droga in Europa
A Dubai il vertice dei capi dei cartelli che governano il traffico di stupefacenti nel Vecchio Continente. E che vengono da Italia, Olanda, Cile, Bosnia: vi raccontiamo chi sono
C’erano un irlandese, un bosniaco, un cileno, un olandese e un napoletano a un matrimonio a Dubai. Non è una barzelletta ma la fotografia di una Macro Mafia innovativa che ha trovato tra i grattacieli scintillanti degli Emirati un porto franco da cui trafficare tonnellate di cocaina, riciclare denaro sporco e all’occorrenza ordinare omicidi comodamente via chat. Una rete fluida che coopera oltre i confini nazionali ed etnici, usa comunicazioni hi-tech e strumenti finanziari d’avanguardia, continuando però a cementare le alleanze nei banchetti nuziali come la vecchia Cosa nostra. Un passato che serve a costruire la criminalità del futuro, proiettata in una scala globale mai vista prima.
Quando nel maggio 2017 il rampollo del clan irlandese dei Kinahan decide di convolare a nozze, non ha dubbi sulla location: sceglie la più esclusiva, l’hotel Burj al Arab di Dubai. E gli invitati non devono essere da meno. Fa il suo ingresso Raffaele Imperiale, il manager di camorra che ha inventato una rete triangolare delle importazioni di cocaina: dall’Olanda alla Colombia, passando per la Spagna. Lui quel resort a forma di vela, con suite che costano anche 30mila dollari a notte, lo conosce bene: ci ha abitato con tutta la famiglia. Poi ecco Edin Gačanin, il capo della gang bosniaca Tito i Dino. Ha lasciato Sarajevo durante la guerra civile ed è cresciuto nel Brabante settentrionale, ma oramai anche lui si è trasferito negli Emirati da dove controlla le rotte del narcotraffico peruviane. I carichi li fa arrivare nei porti di Rotterdam e Anversa: quelli dove comandano il signore della droga olandese Ridouan Taghi e il suo socio Richard Riquelme Vega, per gli amici El Rico, considerato a Santiago «il cileno più pericoloso al mondo». Un nuovo gotha del crimine: un super cartello riunito per il rito nuziale. Che non è sfuggito agli agenti della Dea, la Us Drug enforcement administration, pronti a trasformarlo in un atto d’accusa: quel ricevimento non è solo la prova che si conoscono e amano il lusso.
UNA POTENZA NARCOTICA E SPIETATA
«Questo possiamo farlo fuori, paghiamo subito», con tanto di spedizione a Dubai per istruire il killer. O ancora: «Facciamo dormire questo cancro di Plooij» (ndr, il procuratore olandese Koos Plooij). Quando gli investigatori sequestrano il telefono di El Rico e riescono a leggere i milioni di messaggi scambiati sulle chat criptate, ecco emergere il sistema: ordinano omicidi e spedizioni di coca milionarie standosene nelle suite emiratine. Al centro ci sono i porti dei Paesi Bassi dove solo nel 2020 le forze dell’ordine hanno scovato oltre 100 tonnellate di polvere bianca. Per i narcos, i sequestri della polizia sono un rischio calcolato: lì viene controllato meno del 2 per cento dei container. L’Olanda è una terra promessa: ha anche il primato nella produzione di droghe sintetiche, con una filiera di laboratori clandestini diffusi sul territorio.
La narco-industria è un business redditizio e fa gola a molti, tutti messi alle corde da Ridouan Taghi. È l’esponente più noto della “Mocro maffia”, la nuova generazione di criminali che dagli anni Duemila ha scalato il potere a colpi di kalashnikov. Mocro è il modo in cui i giovani marocchini si chiamano nello slang di strada, ma a farne parte ci sono ragazzi di ogni etnia uniti dal desiderio di fare soldi facili. A qualunque costo. Taghi è accusato di essere il mandante di parecchi omicidi della guerra che sta trasformando l’idilliaca Olanda in una macelleria messicana: regolamenti di conti nelle strade; sedi dei giornali prese di mira lanciandogli contro furgoni-ariete; container trasformati in camera di tortura. Il padrino di sangue maghrebino aveva trovato il suo buen retiro a Dubai, ma nel dicembre 2019 è stato estradato e ora è protagonista del più grande processo alle organizzazioni criminali nella storia olandese. Il testimone chiave è il collaboratore di giustizia Nabil Bakkali: Taghi, come emerge dai messaggi decriptati, aveva intenzione di «far dormire» tutti quelli che erano legati a Nabil, ordinando una vendetta trasversale come quella scatenata a suo tempo a Palermo contro Tommaso Buscetta. Hanno ucciso suo fratello, poi il suo avvocato Derk Wiersum, quindi Peter R. de Vries, il reporter con una fama insuperabile nell’indagare sui casi criminali che seguiva la sua vicenda.
«I messaggi intercettati sulle piattaforme Encro chat e Sky hanno evidenziato in maniera chiara il ruolo dei criminali olandesi nel traffico internazionale di cocaina. In ballo ci sono enormi quantità di denaro, una posta in gioco alta che fa aumentare il grado di violenza», spiega Sven Brinkhoff, professore di diritto penale alla Open University dei Paesi Bassi: «Per combatterla è necessario agire su più livelli: formazione della polizia, cooperazione internazionale e soprattutto puntare sulla prevenzione. Bisogna far sì che i giovani non siano così attratti dalle mafie». Ragazzini pronti a uccidere per poche migliaia di euro e sicari come Naoufal Fassih, detto Noffel the Belly, finito all’ergastolo per l’omicidio dell’iraniano Ali Motamed. Forse il delitto più inquietante, che trasforma questa storia di coca e pistoleri in un intrigo di spie.
Motamed faceva l’elettricista e viveva in una villetta a schiera ad Almere, un sobborgo di Amsterdam. Il suo vero nome però era Mohammad Reza Kolahi Samad, ed era un membro del movimento Mujahedeen-Khalq, i più agguerriti oppositori degli ayatollah di Teheran. Era scomparso dai radar nel 1981, quando venne accusato dell’attentato terroristico contro gli uffici del Partito della Repubblica Islamica: morirono 73 persone, tra cui quattro ministri e Mohammad Beheshti, allora considerato il vice di Khomeini. Adesso i detective olandesi ritengono che l’esecuzione di Motamed-Samad sia stata ordinata da Teheran e nelle ultime settimane anche gli avvocati di Fassih hanno chiesto di aprire un’inchiesta sui veri mandanti dell’omicidio. A dimostrazione dell’efficacia del super cartello, quando Fassih è fuggito dall’Olanda ha trovato rifugio a Dublino, proprio nel quartier generale del clan Kinahan.
L’IRLANDESE DAI PUGNI D’ORO
La dinastia dei Kinahan nasce agli inizi degli anni Ottanta. Christy è uno dei primi a vendere eroina nel Paese e in breve tempo diventa tanto potente da creare la sua gang. Non si perde d’animo neppure quando lo arrestano. Sconta la pena, si laurea in lingue e una volta scarcerato viaggia in Asia e Sudamerica, Messico e Colombia in particolare. Poi si trasferisce con i tre figli in una villa con piscine e guardie del corpo in Costa del Sol, proprio come avevano fatto Imperiale ed El Rico, e lì Daniel, il primogenito, impara presto il mestiere tanto che gli investigatori lo individuano già nel 2010 come «il detentore del controllo generale della gestione quotidiana del cartello».
Un documento statunitense lo descrive come «un uomo d’affari irlandese coinvolto nel narcotraffico in tutta Europa» che «potrebbe essere interessato ad espandere la sua rete in Africa occidentale». Ha solo 33 anni e dal padre eredita anche la passione per il pugilato. Fonda la Mgm ed è un successo. Il barone della droga sale sul ring della boxe mondiale. La mala però non dimentica. Nel febbraio 2016 al Regency Hotel di Whitehall è tutto pronto per il torneo Clash of the Clans, ma invece dei pugni arrivano le pallottole. Un commando avanza sparando tra la folla. Non sono terroristi dell’Ira né dello Stato Islamico. Sono killer al soldo di una banda rivale e hanno un bersaglio: Daniel Kinahan. Lui riesce a cavarsela scappando da una finestra, ma la sparatoria segna uno spartiacque nella guerra tra i Kinahan e gli eterni nemici, gli Hutch. Daniel preferisce farsi da parte: si dimette dalla Mgm che si trasforma in Mtk Global con sede questa volta nell’amata Dubai. In realtà, però, come documenta un’inchiesta della Bbc, non l’abbandona. Dispensa consigli e soldi. I suoi avvocati fanno sapere che sono «accuse infondate»; di certo rimane il post su Instagram del pugile Tyson Fury che lo ringrazia alla vigilia di uno degli incontri più importanti con un valore stimato pari a oltre 200 milioni di euro. E dalla boxe, stando al The Sun, sarebbe passato alla Premier League. Alcuni calciatori dopo essere stati truffati da un commerciante di orologi si rivolgono proprio a Daniel. Lui gli fa recuperare i soldi e diventano subito amici, con tanto di vacanza in compagnia sotto il sole emiratino. Adesso c’è chi sostiene che il padrino abbia ordinato di far tacere le armi e imposto la pace a Dublino, in modo da evitare ripercussioni su suoi affari intercontinentali, più ricchi di qualsiasi regolamento di conti irlandese.
IL PADRINO DEI TRE CONTINENTI
Proprio come Raffaele Imperiale, capace di passare con successo dalla distribuzione delle acque minerali a quella della droga. Originario di Castellamare di Stabia, inizia la sua ascesa quando arriva ad Amsterdam alla fine degli anni Novanta per gestire un coffee shop e poi un ristorante italiano che si aggiudica un bel 9 dall’allora critico culinario Johannes van Dam. Lelluccio stringe legami con i trafficanti olandesi e inizia a scaricare sulle piazze di Napoli centinaia di migliaia di pasticche di ecstasy. Poi si allarga anche ai narcos sudamericani e passa al grande affare: la polvere bianca. A sostenerlo c’è il clan Amato-Pagano: gli Scissionisti che hanno dato il via alla faida di Scampia e Secondigliano contro il clan Di Lauro. Architetto di una rete globale capace di importare tonnellate di cocaina in Europa, dopo aver investito in Spagna e Regno Unito presentandosi come uno dalle «eccellenti referenze bancarie in tutto il mondo», si trasferisce negli Emirati, dove continua a mantenere i rapporti con il fulcro della sua rete olandese. Nelle comunicazioni criptate con Taghi ed El Rico, stando alle accuse, emergerebbero non solo accordi sugli affari di droga, ma persino discussioni su come eliminare rivali scomodi. Con il suo nickname Pulsar978 parla anche dei due capolavori di Van Gogh rubati ad Amsterdam che poi saranno ritrovati nella cucina di un suo casale vesuviano in cambio di uno sconto di pena.
A Dubai vive una latitanza da sceicco e tutto sembra a prova di arresto, ma a inizio agosto è arrivato il colpo di scena. Imperiale è stato catturato e per un paio di settimane è stato mantenuto il segreto. Un silenzio deciso dalla procura di Napoli per evitare il rischio di manovre parallele. Un anno fa gli Emirati comunicarono la cattura di uno dei suoi luogotenenti, Bruno Carbone. L’avevano identificato tramite le impronte digitali; ma quando gli investigatori italiani sono arrivati a Dubai si sono trovati davanti una persona con impronte differenti. Un mistero, che pare indicare protezioni eccellenti. Nella sua attività planetaria lo scaltro boss campano avrebbe costruito relazioni profonde anche con apparati di intelligence d’ogni Paese, capaci di tutelarlo in cambio di informazioni e, salvo nuove accuse, in Italia non lo aspetta che una breve parentesi in carcere. «L’arresto di Imperiale e di altri esponenti di rilievo è un segnale preciso, stiamo cambiando passo nel contrasto ai fondi illeciti», spiega Hamid Saif Al Zaabi, responsabile del nuovo ufficio antiriciclaggio e contrasto al finanziamento del terrorismo. Un cambio di passo che potrebbe innervosire Kinahan e Gačanin.
Di certo il super cartello che hanno formato dimostra la facilità dei padrini di costruire reti del crimine transnazionali. «Le organizzazioni criminali, pur mantenendo forti legami con i territori di origine, tendono sempre ad insediarsi in territori in cui la minore copertura di accordi di estradizione o una minore consapevolezza della pericolosità possono assicurare tranquillità operativa», sottolinea Nicola Russo, nuovo capo del Dipartimento affari di giustizia del ministero di via Arenula: «Vanno illustrati i pericoli per l’equilibrio dei mercati nazionali causati dall’azione intrusiva delle mafie silenti, cioè dall’inserimento di queste organizzazioni nelle attività commerciali e finanziarie e le ricadute che possono esserci su un sistema di lecita concorrenza. Tutt’oggi si teme e si conosce solo la mafia violenta, quella delle azioni armate, e si sottovaluta, se non addirittura si avalla, la mafia imprenditrice perché pecunia non olet». Per Russo la strategia vincente è quella della «diplomazia giuridica», che mette a sistema le iniziative diplomatiche con la sensibilizzazione sulla pericolosità dei clan e la condivisione di tecniche investigative o profili d’analisi. Un campo in cui il nostro Paese ha una leadership mondiale, come ricorda Russo: «Spesso viene evocato, fino ai limiti dell’abuso, ma ancora una volta non è possibile non ricordare il richiamo che Falcone in sede Onu a Vienna, un mese prima della sua morte, fece ai rappresentanti nazionali sull’importanza di un’azione coordinata e globale nei confronti della criminalità organizzata. l’Italia nel settore della cooperazione in materia di giustizia e sicurezza è una vera super potenza con competenze riconosciute in tutto il mondo».
Ma i padrini sanno quando è il momento di cambiare aria. Se gli Emirati proseguiranno negli arresti, cercheranno una nuova oasi dove portare soldi e trame. Chissà se la terra promessa non possa diventare l’Inghilterra: «A marzo, il governo di Boris Johnson ha istituito nuove aree offshore, dove le merci possono transitare senza troppi controlli, dove si può costruire, produrre e riesportare con un regime fiscale di favore e senza oneri doganali. L’ha fatto in alcune località dove la criminalità organizzata inglese è fortemente radicata. Stupisce che non abbia fatto un controllo preventivo sui rischi criminali», avverte Federico Varese professore di Criminologia all’università di Oxford. I signori della Macro Mafia sono cittadini del mondo, qualsiasi posto gli va bene, purché garantisca lusso e traffici.