Transizione ecologica
Il ministro della Transizione ecologica annuncia all’Espresso una stretta ai pannelli nei campi e regole stringenti per le grandi aziende che in questi mesi stanno affittando o acquistando migliaia di ettari dai coltivatori sfiancati dal mercato agroalimentare. Ma non tutti sono convinti
di Antonio Fraschilla
Arginare la corsa all’acquisto e all’affitto di terreni agricoli da parte di piccole, grandi, sconosciute o conosciute aziende energetiche che vogliono realizzare i più estesi parchi fotovoltaici d’Europa nelle aeree interne del Paese. E ridurre la tentazione delle imprese vocate all’agricoltura di trasformarsi in produttrici di energia togliendo spazio alle coltivazioni nei loro campi. Sono queste le promesse, e gli impegni, del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani dopo le inchieste de L’Espresso su quello che sta accadendo nelle campagne d’Italia: centinaia di agricoltori che hanno affittato terreni agli intermediari finanziari delle compagnie di energie rinnovabili e le prime autorizzazioni già arrivate per mega impianti. Il tutto in assenza di una pianificazione sulle aree idonee per questi investimenti e sui limiti da imporre alla concentrazione di pannelli in colline e pianure.
«Nel Piano di ripresa e resilienza, che ha a disposizione oltre 4 miliardi di euro di incentivi per le rinnovabili, non daremo aiuti alle aziende agricole che vogliono installare fotovoltaico a terra e metteremo dei limiti percentuali all’utilizzo dei campi agricoli da parte delle grandi compagnie energetiche, dando priorità invece ad aree dismesse, ex zone industriali e zone non produttive», annuncia Cingolani che vuole così mediare tra gli obiettivi che l’Italia deve raggiungere sul fronte dell’energia rinnovabile, raddoppiando di fatto la produzione da solare e vento da qui al 2033, e le paure del mondo agricolo e delle associazioni civiche che temono da un lato la riduzione delle aree destinate alle produzioni alimentari e dall’altro rischi per il paesaggio.
Il piano del ministro
Il responsabile del dicastero della Transizione ecologica ha incontrato le associazioni degli agricoltori dopo le inchieste de L’Espresso e la corsa delle aziende a presentare domande di autorizzazione per installare grandi impianti fotovoltaici nelle regioni a più alta vocazione agricola, dal Veneto alla Sicilia, passando per Sardegna, Lazio, Campania, Puglia e Calabria. I coltivatori, sfiancati da un mercato sempre più asfittico e poco remunerativo, stanno cedendo i loro terreni a prezzi che variano dai 2 ai 3 mila euro di affitto all’anno per ettaro, con vendita fissata a circa 30 mila euro. A firmare i contratti sono gli intermediari delle aziende nel settore delle rinnovabili e le società negli ultimi mesi stanno presentando decine di richieste di autorizzazione a Regioni e ministero: duecento solo in Sicilia, cento in Sardegna, settanta in Veneto, una cinquantina in Puglia e Calabria, altrettante nel Lazio.
Il ministro assicura che il settore sarà adesso regolato per evitare speculazioni ma anche ritardi nelle autorizzazioni per impianti che servono al Paese per avviare davvero una transizione energetica sostenibile dal punto di vista ambientale: «ll Pnrr non prevederà incentivi ad alcuna attività fotovoltaica a terra, ma solo agrofotovoltaico verticale, cioè quello sospeso e comunque con assetti che consentono al di sotto coltivazioni di vario tipo. Oltre ai fondi del Pnrr, ci saranno incentivi ordinari e nei nuovi bandi che a breve pubblicheremo, in accordo con Coldiretti e Confagricoltura, daremo la possibilità all’agricoltore di usare in aggiunta al verticale anche il fotovoltaico a terra solo su un’area limitata e non utilizzata per le produzioni. Una cosa deve essere chiara: a questi bandi possono partecipare solo aziende agricole e non energetiche. Quindi non basta certamente aver affittato o comprato un terreno per poter ottenere gli incentivi, occorre essere davvero produttori nel settore agroalimentare».
I grandi impianti
Cosa succede quindi con i progetti per impianti anche di 500 ettari presentati da aziende energetiche da nord a sud? Qui si apre un’altra partita, quella delle regole chiare e trasparenti con l’individuazione delle aree idonee a ospitare questi progetti. In Parlamento non è stata approvata alcuna norma su questo fronte per tensioni politiche di non poco conto, dovute anche alla pressione delle lobby del settore che vogliono mano libera preferendo per i loro impianti i terreni agricoli: quest’ultimi possono ospitare senza molti altri interventi i pannelli (quindi con un costo per le aziende energetiche minore). In Conferenza unificata Stato-Regioni si è discusso un emendamento per limitare la percentuale di uso di suolo agricolo da dedicare al fotovoltaico, proponendo una cifra intorno al 10 per cento. L’emendamento è stato poi ritirato.
L’Unione europea però, con l’ultima direttiva in tema energetico appena recepita dall’Italia, obbliga il governo Draghi a emanare entro maggio le linee guida per individuare le aree idonee. In base a queste indicazioni le singole Regioni dovranno varare dei regolamenti attuativi per stabilire se in una collina o in una pianura potranno o meno essere installati pannelli fotovoltaici.
Il ministro Cingolani assicura che a breve sarà firmato un suo decreto, «che prevederà un limite all’utilizzo di terreni agricoli»: «I parametri tecnici che si stanno individuando per l’agrivoltaico prevedono che la porzione di suolo interessata garantisca livelli minimi di produzione sia agricola che energetica, anche con attenzione al coinvolgimento delle imprese agricole e al mantenimento della specificità delle culture eventualmente preesistenti: non si potrà, in sostanza, estirpare vigneti per piantare funghi sotto i moduli. Sul fronte dei grandi impianti proposti dalle aziende energetiche è stata invece approvata una modifica della disciplina delle aree idonee che ora prevede che per gli impianti fotovoltaici siano individuate “le modalità per minimizzare il relativo impatto ambientale e la massima porzione di suolo occupabile dai suddetti impianti per unità di superficie”. Questa previsione ci consentirà di inserire nella disciplina delle aree idonee una percentuale massima di terreno agricolo utilizzabile, dando invece spazio ampio all’installazione di fotovoltaico in zone industriali dismesse e non di pregio paesaggistico e agroalimentare».
Fare in fretta
Il problema è che mentre il ministro annuncia provvedimenti i tecnici di Regioni e ministero in assenza di regole e limiti devono dare le autorizzazioni. Il decreto semplificazioni del governo Draghi ha previsto il passaggio di competenze dalle Regioni al ministero per impianti grandi, superiori ai 10 megawatt e, secondo i calcoli di Italia Nostra, in questo momento solo nel dicastero di Cingolani sono pendenti 51 domande per impianti in Puglia, nove in Sicilia, sette in Sardegna e dieci in Basilicata.
Altri impianti molto grandi sono stati invece autorizzati nei mesi scorsi direttamente dalle Regioni, come quello a Rovigo della Shell approvato dal governo di Luca Zaia o quello nel Val di Noto, mentre proprio pochi giorni fa sempre in Sicilia è stato dato un primo parere positivo a quello che al momento sarebbe uno dei più grandi impianti d’Europa: 500 ettari di terreno impegnati tra Motta Sant’Anastasia, Misterbianco e Catania su progetto della società Big Fish del gruppo Falck. Dice Aurelio Angelini, docente dell’Università di Palermo e a capo della commissione Via-Vas della Regione Siciliana: «In questo momento, a legislazione vigente, abbiamo le armi spuntate perché le amministrazioni regionali non hanno approvato i piani energetici con le indicazioni delle aree idonee».
Legambiente chiede non solo regole chiare ma anche procedure veloci perché tra ministeri e Regioni la burocrazia «sta bloccando molte autorizzazioni, anche in aree non agricole». Sostiene il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini: «Quello che dice il ministro Cingolani ha senso ma solo se parliamo di aree agricole esistenti. Noi chiediamo di incentivare l’agrivoltaico soprattutto in aree che sono agricole sulla carta ma in realtà non coltivate. In questo modo si recupererebbero terreni non utilizzati. Il problema è che fino a oggi il governo ha scritto i decreti senza parlare con nessuno. Invece sul fotovoltaico a terra, cioè sui grandi impianti, ci auguriamo che le aree idonee siano identificate in terreni non agricoli, cioè in aree dismesse. E su questo Cingolani deve subito presentare un piano per avviare le bonifiche e quindi agevolare l’installazione degli impianti».
Le associazioni degli agricoltori restano scettiche come ribadisce Stefano Masini, responsabile ambiente di Coldiretti e docente all’Università di Tor Vergata: «Energia, clima e qualità dell’habitat devono trovare un equilibrio tra gli interessi in gioco. A Rovigo e in Sicilia stiamo protestando contro la realizzazione dei grandi impianti senza regole chiare e che tolgono decine di ettari alla nostra agricoltura, in alcuni casi anche in zone con produzioni di eccellenza. In questo momento c’è comunque una grande confusione, le regioni che vanno in ordine sparso e ognuna con suoi criteri, mentre su una cosa noi siamo stati chiari con tutti, anche con il ministro: siamo contrari a qualsiasi spazio agricolo ceduto per fotovoltaico a terra, per noi non va concessa questa possibilità, e anche sugli impianti in sospensione occorre stare attenti perché mancano studi scientifici sulla coesistenza di queste strutture con produzioni agroalimentari». La partita è ancora aperta, in ballo ci sono incentivi e investimenti per 6 miliardi e la pressione sul ministero e sul governo è molto forte.