A primavera scade la misura che, insieme alla cassa integrazione, ha in parte arginato la crisi da Covid-19 per alcune categorie. E il malcontento potrebbe portare a scontri strumentalizzati dall'estrema destra. Che già si sta preparando

«È partita la rivolta contro chi ci sta riducendo alla fame e tenendo a catena. È soltanto l’inizio». Da settimane Giuliano Castellino lancia gli squilli di rivolta. L’ex leader di Forza Nuova ha abbracciato gli emuli nostrani dei gilet arancioni e sogna una nuova marcia su Roma, pronto a capeggiare le vittime del lockdown. Non c’è solo lui. C’è un Paese logorato da un anno di pandemia, che ha bruciato i risparmi per tamponare le perdite: sempre più insofferente per le chiusure dei Dcpm, sempre più angosciato dai sacrifici per arrivare a fine mese. E c’è una scadenza che preoccupa tutti: la primavera, quando terminerà il blocco dei licenziamenti. A quel punto la tentazione di scendere nelle piazze, per convinzione o per calcolo politico, rischierà di diventare inarrestabile: si teme una “primavera calda”.


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«Assistiamo a un moto di ribellione che sta coinvolgendo trasversalmente tutte le categorie sociali», conferma il capo della Polizia Franco Gabrielli: «Alle intenzioni mobilitative di esponenti della piccola e media impresa si sono affiancate quelle di aderenti a movimenti neo sovranisti e indipendentisti, tutti accomunati da un’aspra critica verso il governo. Si è registrata la presenza di gruppi ultras con l’evidente obiettivo di canalizzare il malcontento popolare: c’è un diffuso sentimento di ribellismo e opposizione alle regole con azioni di intolleranza e violenza».

La diga che finora ha arginato l’onda sono gli ammortizzatori sociali: cassa integrazione e niente licenziamenti garantiti su ampia scala per frenare l’impoverimento. Secondo uno studio della Banca d’Italia, le misure governative hanno già salvato circa 600mila posti di lavoro; un paracadute molto costoso, che si vorrebbe prorogare. Ma il quadro politico è sempre più confuso e il bilancio statale ha già accumulato 142 miliardi di debiti.


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All’orizzonte c’è la panacea del soccorso europeo, che ha vincoli severi e, soprattutto, non arriverà prima dell’autunno. «Inoltre i soldi del Recovery Plan saranno diluiti in più anni e non riguardano gli ammortizzatori sociali essenziali per far sopravvivere le persone e accompagnare la transizione post-pandemia», ragiona Dario Guarascio, professore di Economia dell’innovazione all’università di Roma Sapienza. Ed ecco materializzarsi l’incubo. Il ministero dello Sviluppo economico ha creato un fondo per la salvaguardia d’impresa da 300 milioni, ma ci sono 105 tavoli di crisi ancora aperti, da cui dipende lo stipendio di 110 mila persone. «C’è il rischio che nei prossimi mesi si possano perdere due milioni di posti di lavoro. Ad oggi ne è già stato cancellato un quarto. Bisogna correre subito ai ripari per evitare che scoppi una bomba sociale», avverte Pierpaolo Bombardieri, segretario generale Uil.

Non sono calcoli teorici. Il Covid sta gettando nella povertà quasi 5,5 milioni di italiani e l’Istat ritiene che 14 milioni di persone rischino di trovarsi presto nella stessa condizione. Li trovi ovunque. Daniele è fermo sul suo taxi davanti alla basilica di San Giovanni. La testa china sul volante, attorno il vuoto di una Roma senza turisti e senza corse. «Con mia moglie un anno fa abbiamo comprato casa: ogni mese paghiamo 1.100 euro di mutuo. Ora però non riesco a tirar su più di 800 euro lordi e lei rischia di finire la cassa integrazione. Per pagare il mutuo abbiamo già bruciato tutti i nostri risparmi: se non cambia qualcosa, io mi piazzo davanti a Palazzo Chigi. Non ne posso più».


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Una voce tra tantissime. Che alimentano la grande paura della “primavera calda”. Con piazze disperate e pronte a tutto. Con agitatori professionisti che dall’estremismo di destra a quello di sinistra inneschino lo scontro. Per questo anche il capo della Polizia teme che la fine degli ammortizzatori sociali «possa costituire l’occasione per coinvolgere ampie categorie di fasce sociali nelle tradizionali mobilitazioni antagoniste nonché pretesto per queste ultime per infiltrarsi nelle vertenze aziendali di maggiore visibilità mediatica».

Le prove generali le abbiamo viste ad ottobre con i disordini da Torino a Catania, da Milano a Napoli. La seconda ondata del virus ha compattato i disegni di clan, tifoserie violente e ultradestra. «È tempo di lotta, di urlare la tua rabbia » - hanno scritto ultras della Lazio e nazifascisti delle curve del nord Italia: dai Blood&honour di Varese ai camerati di Cesena, e poi Forza nuova e Fronte Veneto Skinheads. «Con la scusa della pandemia ci hanno arrestato. Ci hanno affamato. Zero euro a famiglie e lavoratori. È giunto il momento di ribellarsi». «Cercano di appropriarsi delle manifestazioni di protesta per avere visibilità attraverso la violenza», chiarisce Pietro Castelli Gattinara, ricercatore a Sciences Po e presso il Center for Research on Extremism (C-Rex) di Oslo. Era già accaduto con la crisi economica e politica tra il 2008 e il 2011: «Per CasaPound un trampolino per espandersi a livello nazionale: parlando di case popolari e mutui si sono strutturati con associazioni parallele, da un sindacato (Blocco lavoratori unitari, ndr) alla distribuzione del cibo. Il movimento del generale Pappalardo, che ora si è unito a Forza Nuova, ricorda molto i forconi più che i gilet gialli francesi. Ora però siamo davanti a un arcipelago di singoli che promuove teorie del complotto e una contro-cultura che dai margini cerca di trasferirsi al centro della società», spiega Castelli Gattinara.

I cattivi maestri fanno lezione sul web. Dove vengono però studiati dalla Polizia. Lo spiega Gabrielli: «C’è stata un’intensificazione dei momenti di confronto online tra i militanti ed i gruppi più rappresentativi che hanno convenuto di “prepararsi per affrontare il futuro che ci attende”, elaborando nuove strategie per “tornare in strada”».


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Non è detto che le manifestazioni siano tutte strumentalizzate. Anzi, finora la maggioranza delle proteste sono state pacifiche e spontanee, ma per chi non ha più fonti di reddito è facile perdere il controllo ed essere strumentalizzato. «In tanti domandano interventi in sanità pubblica, istruzione, richieste politiche rispetto alla gestione della pandemia e alla direzione in cui dovrà andare il Paese. Se verranno meno le forme di sostegno e non arriveranno investimenti, il conflitto sarà sempre più acuto. Le associazioni di categoria sembrano però consapevoli dei rischi: sanno che in questa situazione non ci sono soluzioni semplici e non basta tenere aperte le serrande. Il punto è che non riescono a reggere perché non ci sono più clienti», analizza Donatella Della Porta, professoressa di Scienza politica e direttrice del Centro di studio sui movimenti sociali alla Scuola Normale Superiore. Anche il Viminale monitora «le iniziative di disobbedienza civile a carattere nazionale, con le quali si invitano i gestori degli esercizi di ristorazione, bar, palestre e piscine a mantenere aperte al pubblico le proprie attività a prescindere dei limiti governativi». E Gabrielli sottolinea «lo sforzo di molte associazioni di categoria per cercare di canalizzare questo disagio, reale e sfibrante, in forme di dissenso pacifico».

Accade però che intorno agli atti di disobbedienza come la campagna #IoApro di alcuni ristoratori subito si coalizzi il sostegno di fascisti, sovranisti e complottisti: nelle chat Telegram campeggiano tricolori, foto di Mussolini e braccia tese. «Negli anni tra le due guerre la crisi economica ha contribuito ad aumentare l’appeal dei fascismi. Oggi però c’è un problema: a difendere i lavoratori non ci sono più le forze di sinistra, la coscienza di classe si è andata sgretolando lasciando spazio alle destre e alla loro demagogia. Mancano i posti di lavoro? È colpa dei migranti. Trovano spazio offrendo soluzioni populistiche che rappresentano delle trappole», chiarisce Andrea Mammone, storico dell’Europa all’Università di Londra ed esperto di movimenti di destra. Che oggi vogliono fare scudo delle istanze sociali per andare alla carica della democrazia.

Sanno che ci sono categorie allo stremo, che non hanno beneficiato nemmeno della cassa integrazione e dei ristori governativi. È l’enorme mondo del precariato o del lavoro totalmente in nero. Radicato nel turismo, una risorsa chiave ferma ormai da mesi. «Il virus ha portato tutti i nodi al pettine. Assunzioni tramite ditte di appalto che cambiano ogni anno e che non applicano il contratto turismo per pagare di meno i lavoratori», nota Silvia Tagliabue del sindacato Sial Cobas Milano alberghi. E così, dopo che con il “decreto agosto” è stata data la possibilità di licenziare con la cessazione d’azienda, Mary che portava asciugamani freschi di bucato in un hotel di Milano si è trovata senza paga assieme ad altri cento suoi colleghi: «Ora non c’è richiesta nemmeno per le pulizie nelle case: la situazione è disperata. Gli uomini almeno rimediano qualche lavoretto come facchini per le consegne. Noi siamo ferme».

Un esercito di donne con stipendi da fame e contratti capestro. «Quello che ci aspetta è un livello di retribuzioni che peggiora. Molti sono migranti, più ricattabili e meno consapevoli dei diritti», evidenzia la sindacalista Tagliabue. Partite Iva, collaboratori, intermittenti, a termine, ombre invisibili che restano in una condizione permanente di insicurezza. Gabriele Mattia De Angelis era andato a lavorare per la stagione invernale in Trentino e invece si è trovato in terapia intensiva per il Covid: «Non ho nemmeno trent’anni. Ora sono disoccupato e con tanto di beffa: il mio contratto era di addetto alle vendite, perché mi occupavo degli sci, quindi non ho avuto alcun aiuto per il settore turistico. In questo periodo ho accettato anche di fare 10 ore di lavoro per 30 euro e in nero. Chiederò il reddito di cittadinanza, non avrei mai voluto».

Il sistema di un Paese che ha vissuto un impoverimento industriale e una frammentazione del mercato lavoro.

WELFARE MAFIOSO
«Quando arriva la crisi paghi il prezzo più alto se ti sei concentrato su piccole imprese che offrono contratti temporanei e precari senza investire nelle competenze. Domandiamoci per quale motivo negli ultimi venti anni a proliferare in modo preponderante siano stati ristorazione, piccoli luoghi per la ricezione, iniziative di speculazione edilizia. Si è trattato di una crescita effimera, proprio come ora succede con le piattaforme di food-delivery. Si innestano, come parassiti, in un contesto fragile. Rider costretti alla fame, ristoratori che pur di lavorare devono accettare i margini imposti dalle piattaforme e loro che si arricchiscono portando i soldi nei paradisi fiscali», nota l’economista Guarascio. 

La crisi si rivela un moltiplicatore delle diseguaglianze, accentuando lo smarrimento. Sta per scadere persino il contratto di quelli che dovevano trovare lavoro agli altri: il 9 febbraio scenderanno in piazza anche i navigator, le figure create dal governo Lega-M5S per accompagnare dal reddito di cittadinanza all’occupazione.

«A complicare il quadro c’è il peso enorme, soprattutto nel Mezzogiorno, del lavoro nero, per definizione escluso da qualsiasi misura di sostegno al reddito. Il fondo “next generaton Eu” può solo parzialmente essere di aiuto. Servono politiche di sostegno e soprattutto un intervento pubblico che permetta di costruire un tessuto produttivo ad alto valore», ragiona Marco Elia, ricercatore dell’Agenzia nazionale politiche attive del lavoro.

L’epicentro delle diseguaglianze è il Sud. A ottobre a Napoli a cercare in piazza il consenso tra camerieri, ristoratori e parcheggiatori abusivi non c’era solo la destra, ma anche gli emissari della camorra. «Le proteste sono funzionali ai mafiosi: possono dire che ci pensano loro a risolvere i problemi. Creano consenso con un welfare alternativo soprattutto nelle periferie delle aree metropolitane, dove è più alto il disagio», sottolinea Luca Bianchi, vicedirettore di Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. «Il sud ha pagato una perdita doppia rispetto al centro-nord. Nel 2020 sono già spariti circa 150mila posti di lavoro. Bisogna poi aggiungere gli irregolari, migliaia di persone che riescono a sopravvivere solo grazie al reddito di cittadinanza e di emergenza. L’estate aveva dato un po’ di respiro, ma ora ci aspetta un periodo di grande preoccupazione. Le misure di confinamento sono valide se c’è un sistema sociale di tenuta per poterle prolungare», conclude Bianchi.

In questo contesto le mafie trovano terreno fertile. Offrono sostegno ai più poveri e protezione alle imprese in difficoltà: elargiscono credito e aiuti interessati, ampliando così il loro potere. «Le conseguenze negative del Covid sul tessuto produttivo e terziario genereranno innumerevoli opportunità di infiltrazione e di conseguente illecito profitto da parte della criminalità organizzata», conclude Gabrielli: «Starà a noi contrastarli con l’indispensabile contributo degli attori, pubblici e privati, dell’economia legale».