Il leghista è il capo del gruppo dei sovranisti al Parlamento europeo e membro della delegazione che tratta con il governo serbo il suo ingresso nell’Ue. Ma all’insaputa di Bruxelles è anche imprenditore a Belgrado attraverso una società estone

Il leghista Marco Zanni, capo del gruppo dei sovranisti di Identità e Democrazia al Parlamento europeo e sensale di Matteo Salvini presso i governi di estrema destra, ha già lasciato parecchi ricordi di sé in Europa. Una volta si scusò con gli italiani di CasaPound e i greci di Alba Dorata perché i colleghi onorevoli di sinistra non furono ospitali quando visitarono Bruxelles per declamare la morte della moneta unica. Un’altra volta si beccò il rimprovero di Jean Claude Juncker perché si rifiutò di alzarsi in piedi nel giorno del suo congedo da commissario. Un’altra ancora subì, con iniezione monodose e con sguardo corrucciato, una lezione di economia da Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea. Quello che invece Zanni non ha lasciato in Europa, nel rispetto della trasparenza, sono le dichiarazioni dei suoi affari in Serbia. Eppure l’agognato ingresso di Belgrado in Europa è un argomento costante nelle sue esternazioni, assai apprezzate dai politici e dai giornali balcanici. Anche perché, fin dal primo mandato a Bruxelles, il 36enne Zanni fa parte della «delegazione al comitato parlamentare di stabilizzazione e di associazione tra l’Unione europea e la Serbia».

 

I documenti sulla galassia di società avviate in Estonia e in Serbia


La folgorazione per la Serbia fu immediata. Già nel settembre 2017, il bergamasco di Lovere, appena fuoriuscito dai 5 Stelle per aggregarsi alla Lega, guidava un gruppo di imprenditori lombardi nella florida provincia della Vojvodina per incitarli a investire nel mercato libero di un Paese candidato a entrare in Europa e però ben saldo nelle sue tradizioni e influenze russe. Il primo a provarci fu lo stesso Zanni nel febbraio 2018 quando aprì a Belgrado con la famiglia e alcuni amici bergamaschi la società Only the brave, solo i coraggiosi, proprio mentre stava per rendere ufficiale il suo approdo nella Lega di Matteo Salvini, più affine ai suoi ideali politici e alle sue visioni europee. Per arrivare a Belgrado, però, Zanni &Co. hanno fatto un giro largo che parte da una strada di campagna di Viimsi, villaggio al nord di Tallin, la capitale dell’Estonia, avamposto dell’Unione europea che confina con la Russia.


L’Estonia ha il vantaggio di essere al contempo europea ed esotica, futurista e flessibile. Nei primi mesi del 2018, dunque, la famiglia Zanni e gli amici di Lovere e della vicina Sovere vanno in Estonia a costituire la Leviathan Holding, evidente omaggio al Leviatano, non sappiamo se nella versione della figura classica della Bibbia o della rilettura di Hobbes. Gli azionisti di Leviathan sono tre società estoni dietro cui c’è la comitiva bergamasca. La famiglia Zanni partecipa a Leviathan con la società Zx3 Investiment. È questa l’unica sigla che, senza altri riferimenti, compare nei documenti che il parlamentare europeo leghista ha depositato a Bruxelles nel luglio 2019. Zx3 sta per Zanni per tre poiché dentro ci sono Marco Zanni e i parenti Paolo e Michele. L’amministratore di Leviathan è Kaja Manniko, una signora estone che in Italia è referente di un’azienda che fabbrica casette in legno e che risiede in una zona rurale sul mar Baltico dove sono domiciliate diverse società di italiani. Leviathan non produce nulla e, si legge nella relazione finanziaria, «svolge una attività di servizi di tecnologia dell’informazione, incluso mining di criptovalute e gestione di server». Dal medesimo atto si evince che Leviathan ha una filiale in Serbia e che si chiama Only the brave. Questa società di Belgrado è stata fondata negli stessi giorni in cui in Estonia, a duemila chilometri di distanza, Zanni con amici e parenti creava la Leviathan.

 

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Only the brave opera nel settore dell’informatica, per la precisione dei data center, i suoi soldi transitano su tre conti di Banca Intesa di Belgrado ed è amministrata da Silvano Zanni, il papà di Marco. Nessuno degli azionisti di Only the brave, nessuno nella controllante estone Leviathan, né tantomeno Silvano Zanni, ha particolari competenze nell’informatica, però l’esordio in Serbia è stato eccezionale: il bilancio del 2018, con scarsi nove mesi di lavoro, ha registrato ricavi per mezzo milione di euro con un utile di una decina di migliaia di euro. Un indubbio successo per degli imprenditori che non hanno trascorsi in Serbia e per una azienda a cui non risultano intestate strutture adeguate alle macchine dei data center. Nel 2019 viene confermato l’utile, però i ricavi si dimezzano. I dati del 2020 non sono ancora pubblicati, ma è stato un anno di grosse trasformazioni. La famiglia Zanni ha liquidato la Zx3 perché si è fusa in Leviathan con le altre due società estoni degli amici di Marco. Il parlamentare europeo fa sapere che questo procedimento prelude a una ritirata: «Il gruppo è una iniziativa di start-up nel settore della blockchain. Only the brave svolge quasi esclusivamente servizi per la capogruppo, il resto sono piccoli clienti privati che necessitano di potenza computazionale. Il gruppo non intrattiene rapporti di fornitura o vendita con soggetti pubblici. Dalla fine dello scorso anno l’iniziativa è in via di smantellamento e i soci stanno procedendo alla chiusura delle società del gruppo, operazione che dovrebbe terminare entro l’estate». Secondo il registro delle imprese estoni aggiornato a questi giorni, il processo che ha condotto alla nuova Leviathan si è concluso a novembre del 2020 con l’approvazione in assemblea dello statuto e adesso Zanni, in forma individuale e non più con il veicolo Zx3, ne è l’azionista principale. Lo scorso ottobre, assieme agli italiani Antonio Maria Rinaldi, Francesca Donato e Valentino Grant, con una interrogazione parlamentare a Fabio Panetta della Bce, Zanni chiedeva se per l’euro digitale si intendesse utilizzare il sistema di blockchain che ha «dimostrato di essere inviolabile e robusto, ma rintracciabile solo nei confronti delle parti contraenti». In fondo, parlava anche per esperienza personale.

 

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Gli altri componenti di Leviathan hanno raccontato all’Espresso che l’avventura in Serbia fu studiata per comodità geografica, per convenienza dei prezzi come la corrente elettrica, per l’ipotesi di un’adesione di Belgrado all’Ue. L’impresa va attribuita a Zanni, lo stesso che da parlamentare europeo, capo di un gruppo di 72 membri che vanno dai nazionalisti francesi di Marine Le Pen al movimento tedesco contro gli immigrati di Alternativa per la Germania, negozia con i serbi il loro sbarco nell’Europa unita. Allora ha diverse ragioni Zanni, come è successo, per contestare il critico rapporto sui serbi del Parlamento europeo. La passione per Belgrado ha travolto anche il capo Salvini che, appena un mese fa, mentre Bruxelles esprimeva le sue perplessità, si è detto pronto a dare il suo benvenuto alla Serbia nell’Ue. Era il 31 marzo. Il giorno dopo, accompagnato proprio da Zanni, Salvini è andato a Budapest a disegnare la sua Europa con il premier ungherese Viktor Orbàn e il premier polacco Mateusz Morawiecki, due esempi di governi autoritari, reazionari e dunque allergici ai diritti civili, comunque appartenenti all’Ue. Zanni viene considerato un leghista da sempre e gli viene perdonata l’origine nei 5 Stelle. I suoi modi decisi e le sue idee marcate, ben radicate nel sovranismo, hanno convinto Salvini a consegnargli il raccordo delle relazioni in Europa. Zanni è fedele all’immagine di Salvini prima che si scoprisse estimatore di Draghi. Formano una coppia politica dalle buone premesse. Chissà cos’altro hanno. In serbo.