Non studiano, non lavorano, non si integrano con la società. Ma sono ragazzi tutt’altro che sdraiati: fragili, preda del crimine, disoccupati e sfiduciati. E ora uno studio li esamina, cancellando finalmente i comodi stereotipi

«Non mi hanno rinnovato il contratto», la voce di Gaia trema. Sono passati cinque mesi da quando l’azienda di moda l’ha sostituita «con una stagista neppure retribuita», ma ancora non si dà pace. Per lei, che ha 25 anni, quel tirocinio era il riscatto di una vita di sacrifici. I suoi sacrifici, certo, ma soprattutto quelli della madre, cassiera in un supermercato di Cormano, periferia Nord di Milano.

 

Andrea di anni ne ha 17, vive a Tor Bella Monaca, frazione di Roma, c’è un’associazione che sta provando a coinvolgerlo in un progetto teatrale, per riportarlo a scuola. Ma in quale scuola se il quartiere ha tassi di dispersione scolastica da record? Poi c’è Fatima, 33 anni, eritrea d’origine, ha tre figli, parla poco italiano, non esce quasi mai di casa e al lavoro neanche ci pensa. Gaia, Andrea e Fatima non hanno granché in comune. Gaia ha in tasca una laurea triennale e a lavorare c’ha provato, anche se l’essere stata respinta alla prima occasione l’ha demoralizzata; Andrea pensa che la strada sarà la sua scuola e fa spavento perché lì comanda un microcosmo autarchico in mano alla rete criminale dello spaccio; Fatima non ha mai sognato un futuro per davvero, guarda il mondo dalla finestra di una casa popolare di Verona.

 

In comune hanno l’emarginazione dalla società, della scuola, dal lavoro. Il che li rende identificabili fra i tre milioni di Neet italiani, acronimo di Not engaged in education, employment or training. Tradotto: essere uno dei tanti che in quel momento non studia, né lavora, né riceve una formazione. Persone dette per l’appunto “né-né”. Il Censis le fotografa come una marea crescente: hanno fra i 15 e i 34 anni, più donne che uomini, in preda ad agorafobia, depressione, disagio. Dopo la Turchia, il Montenegro e la Macedonia, l’Italia è il Paese con il maggior tasso di né-né in Europa, attorno al 25 per cento, incidenza che raddoppia al Sud ed è più frequente fra figli di migranti e donne. Ma continuare a considerarli un’unica omogenea degenerazione della società non serve granché.

Lo hanno capito Action Aid e Cgil che presenteranno l’8 novembre il dossier “Ai margini del fenomeno Neet”, qui anticipato da L’Espresso, nel quale il comitato scientifico - le sociologhe Chiara Saraceno e Giuliana Orientale Caputo e il demografo Alessandro Rosina - hanno per la prima volta scattato una nitida fotografia di chi sono i Neet per sfatare alcuni luoghi comuni (tipo che se ne starebbero tutti sul divano, ingrassati dal reddito di cittadinanza), arrivando a stroncare l’unica misura che le istituzioni dal 2016 a oggi hanno messo in campo per aiutarli, Garanzia giovani, che «non ha scalfito il fenomeno e ha lasciato indietro i più vulnerabili, quelli che ne avrebbero avuto più bisogno», si legge nel report. Un testo che dovrebbe aiutare il governo a meglio indirizzare le misure a sostegno dei giovani, specialmente quelle del Pnrr.

 

Peccato che il governo Meloni abbia così a cuore la situazione dei giovani italiani da aver affidato il tema ad Andrea Abodi, ovvero il nuovo ministro dello Sport e dei giovani (per l’appunto), uno con un curriculum lunghissimo ma nel mondo del calcio e del Coni. Eppure il problema dell’Italia non è il calcio, piuttosto il fatto che un giovane su tre, che ha tra i 25 e i 35 anni non ha uno straccio di futuro, come avvertono Action Aid e Cgil: «Più si cresce con l’età, più aumenta la loro quota. «La maggioranza, il 42,2 per cento, ha un diploma di maturità, i laureati sono più di uno su dieci, mentre chi ha la licenza media è il 35 per cento», dice il rapporto, che per la prima volta dimostra come Gaia, Andrea e Fatima sono per l’Italia tre problemi diversi e come tali vanno affrontati, ministro permettendo.

 

I giovanissimi fuori da scuola
«Qui le chiamano scuole parcheggio. Si iscrivono quelli che finiscono le medie senza le idee chiare. Sono istituti di periferia, hanno scarsa presa sui ragazzi che si sentono insoddisfatti, prima bigiano qualche lezione e nel giro di poco finiscono per abbandonare definitivamente. È un copione visto e stravisto», a parlare è Alessandro Bongiardina, psicologo di strada del gruppo Abele che bazzica i quartieri torinesi Barriera di Milano, Vallette, Borgo Vittoria: «Si buttano nel contesto di quartiere, gironzolano coi più grandi, per noia fanno qualche crimine. Raggiungerli è difficile».

A Torino come a Roma: «I clan che nella capitale spadroneggiano hanno gioco facile ad affiliare i più giovani, sfiduciati e consapevoli che il merito, l’impegno, lo studio non li porteranno da nessuna parte. Laddove non arriva lo Stato e l’istruzione, in quelle zone grigie, si infila la mafia. I giovani stanno sul divano? Magari. I più vengono assoldati dal crimine», avverte Giuseppe De Marzo, portavoce della Rete dei numeri pari. Sono i giovanissimi fuori da scuola, hanno fra i 15 e i 19 anni e il report di Action Aid e Cgil li descrive come ragazzi in cerca di nulla, tanto meno di un primo impiego, trasversali a tutto il Paese, vivono con la famiglia, non ricevono alcun sostegno economico dallo Stato, sono dimenticati dalla scuola e non ancora intercettati dai servizi sociali. Se, per fortuna, qualche associazione del terzo settore prova a rimetterli in carreggiata, non è detto che ci riesca.

 

Alla ricerca del primo impiego
Vivono al Sud, hanno fra i 20 e i 24 anni, hanno un diploma. Spesso vivono in città metropolitane con un solo genitore e sono per lo più maschi. Con entusiasmo scemante cercano il primo impiego: «È il gruppo più numeroso e mette ancora una volta in luce la fragilità del mercato del lavoro del Sud, dove nonostante le azioni di ricerca e l’immediata disponibilità al lavoro, i giovani hanno difficoltà ad introdursi per la prima volta nel mercato occupazionale. Sarebbe interessante approfondire quanto influisca il lavoro sommerso, molto diffuso nel Meridione», si legge nel report.

La condizione di sfiducia, l’assenza di prospettive, il rancore assumono le sembianze della violenza, dice Salvatore Inguì, assistente sociale di Palermo: «Pestaggi, estorsioni, sequestri, lesioni anche dentro casa. Sono fenomeni coerenti con i modelli diffusi dalla società. Però c’è anche voglia di offrire solidarietà, di partecipare a processi di trasformazione, di migliorare lo stato delle cose. È lì che bisogna insistere per evitare che una generazione affondi nella disperazione e nella rabbia perché si è resa conto che non ha più margini di riscatto».

 

Ex occupati in cerca
Al terzo girone si incontrano i giovani dai 25 ai 29 anni, che hanno perso o abbandonato un lavoro e ne stanno cercando uno nuovo. Sono principalmente maschi, con un alto livello di istruzione, vivono isolati e percepiscono un sussidio di disoccupazione. Vivono nel Centro Italia e sono i meno numerosi, soprattutto perché chi ha buone carte da giocare trova presto una nuova opportunità, spesso all’estero, gli altri sprofondano verso la quarta categoria dei né-né, gli scoraggiati.

 

Gli scoraggiati
Sono i cosiddetti giovani adulti, hanno fra i 30 e i 34 anni. Per un po’ hanno lavorato, poi sono stati messi alla porta. Vivono al Nord, non in città ma in periferia o in provincia. Sono donne, senza figli, una buona quota ha un passaporto straniero. Sono i più numerosi. Non hanno un diploma per reagire hanno perso qualsiasi fiducia nel futuro. «Se i 15enni si affacciano al mondo del lavoro senza formazione ed esperienza, i 30enni hanno sviluppato una relazione diversa con il mondo dell’occupazione. I primi sono privi di orientamento, i secondi saprebbero come muoversi ma hanno perso la speranza», si legge nel report di Action Aid e Cgil, che prosegue: «Questa consapevolezza ci permette di sostenere che è necessario sviluppare e immaginare politiche di reinserimento lavorativo e scolastico diverse a seconda del target e della fascia d’età dei Neet a cui si rivolgono». Tutto il contrario di quanto fatto finora.

 

Il flop Garanzia giovani
Nata nel 2016 con l’obiettivo di attivare i né-né grazie a una dote da 1,3 miliardi di euro, i risultati di Garanzia giovani stanno a zero, visto che il numero di Neet - tre milioni - negli ultimi sei anni è andato aumentando. Oggi i giovani registrati al progetto sono 1,7 milioni, ma quelli contattati dai centri per l’impiego sono 1,4 milioni e le Regioni in cui i Neet sono più numerosi - Lombardia, Campania, Sicilia, Puglia – sono quelle in cui il servizio è più debole. «Dai dati si capisce che uno dei limiti di Garanzia giovani è la difficoltà di raggiungere i più vulnerabili, i più svantaggiati che sarebbero dovuti essere i primi beneficiari del servizio», dicono Action Aid e Cgil.

Solo alla metà dei ragazzi registrati è stata fatta una proposta - un tirocinio, un corso di formazione, un incentivo occupazionale - e al termine dell’intervento sono 540mila gli occupati: in sintesi un terzo di chi si affida a Garanzia giovani ce la fa. Eppure la voglia di riuscirci è tanta se si considera che il 92 per cento dei ragazzi a cui è stata fatta una proposta ha concluso l’intero percorso. Parte del flop viene dalla tendenza a utilizzare per lo più il tirocinio, che «non funziona per chi ha bassi titoli di studio e chi è più scoraggiato nella ricerca di lavoro», dice il report, che parla anche di un effetto San Matteo perché Garanzia giovani finanzia politiche che funzionano per chi è meno svantaggiato, condannando all’invisibilità i più fragili.

 

I suggerimenti per invertire la rotta ci sono: creazione di misure ad hoc per i quattro gruppi di Neet, maggiore presa sui territori, investimenti su scuole, politiche attive e sociali, nuove politiche del lavoro, meno precarietà e più riqualificazione professionale, progetti innovativi per dedicare gran parte dei fondi del Pnrr a quei giovani che continuano a essere una risorsa sprecata per l’Italia, che senza i suoi ragazzi rischia di invecchiare veramente troppo rapidamente.

 

Le foto di questo servizio sono state realizzate da Rocco Rorandelli per WeWorld che ha attivato S.p.a.c.e. acronimo di Studenti pendolari acquisiscono competenze educative, un progetto che sostiene i ragazzi e le ragazze delle periferie in Liguria, Piemonte, Abruzzo, Campania, Sardegna e Lombardia. A sinistra, la "piana" di via Boifava a Milano. Qui a destra, il Bar Central di Avezzano, uno dei luoghi di ritrovo nella città abruzzese. In alto, i preparativi per un'esibizione in occasione della giornata internazionale della donna presso l’Istituto superiore “Gaetano Filangieri” di Frattamaggiore, Napoli