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Inchieste
febbraio, 2022

La verità su Tangentopoli: ecco i verbali che hanno cambiato la storia d’Italia

Le confessioni di Chiesa, il primo arrestato. Le rivelazioni di Larini, il tesoriere del Psi di Craxi e Martelli. La maxicorruzione Enimont. Le tangenti rosse di Primo Greganti. Le ammissioni di Romiti, De Benedetti, Scaroni. I fondi segreti di Pacini Battaglia. Le buste di denaro da Pomicino a Salvo Lima. I soldi della Montedison alla Lega. Le mazzette Fininvest mentre Berlusconi è al governo. Tutta l’inchiesta Mani Pulite raccontata dai protagonisti: 15 big della politica e dell’economia che spiegano ai magistrati «il sistema»

Trent'anni fa, il 17 febbraio 1992, un arresto a Milano ha fatto partire un'inchiesta giudiziaria, chiamata Mani Pulite, che ha cambiato la storia del nostro Paese. In meno di tre anni quell'indagine ha fatto emergere migliaia di casi di corruzione, svelando un sistema organizzato, gerarchico, diffuso da decenni a tutti i livelli, di saccheggio delle risorse pubbliche. Tra gli oltre 1200 condannati per tangenti e fondi neri ci sono i più importanti imprenditori dell'epoca e tutti i leader e tesorieri dei partiti che hanno governato l’Italia per quasi mezzo secolo, liquidati in blocco con le elezioni del 1994 e la nascita della cosiddetta Seconda Repubblica. Da allora la corruzione è cambiata, ma non è certo finita. E non si mai fermate le polemiche, contrapposizioni e riletture di quel periodo di svolta storica, in un'Italia che sembra ancora spaccata in due, pro o contro Mani Pulite.

 

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Per dare ai lettori la possibilità di capire direttamente, senza filtri o mediazioni, cosa è stata Tangentopoli (un fortunato neologismo coniato da un cronista giudiziario di Repubblica, Piero Colaprico) abbiamo deciso di pubblicare i verbali integrali dei protagonisti: il sistema della corruzione raccontato dai big della politica e dell'economia che ne hanno fatto parte o l'hanno dovuto subire. Sono gli interrogatori e i memoriali che hanno svelato la storia segreta del potere in Italia. Le confessioni del primo arrestato, Mario Chiesa, presidente socialista del Pio Albergo Trivulzio, che mettono in moto la valanga giudiziaria. Le ammissioni di Gianstefano Frigerio, il tesoriere della Dc lombarda, poi diventato parlamentare di Forza Italia, dopo tre condanne, e riarrestato nel 2014 per le tangenti dell'Expo. Le rivelazioni di Silvano Larini, il tesoriere del Psi che portava le buste di contanti a Bettino Craxi e ha prestato il suo conto svizzero per incassare i soldi della P2: 7 milioni di dollari versati dal Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, con la regia di Licio Gelli e dell'ex ministro Claudio Martelli.

 

E ancora, le tangenti rosse di Primo Greganti, il «compagno G», l'ex funzionario comunista che incassava all'estero i bonifici della Calcestruzzi, la società di costruzioni del gruppo Ferruzzi, confessate dal manager Lorenzo Panzavolta. L'interrogatorio cruciale di Pierfrancesco Pacini Battaglia, il banchiere segreto dell'Eni, che ammette di aver mandato dalla Svizzera in Italia almeno 50 miliardi di lire (25 milioni di euro), consegnati in contanti ai tesorieri del Psi e in parte minore della Dc.

 

All'aprile 1993, l'anno delle indagini sulle grandi aziende pubbliche e private, risale il memoriale di Cesare Romiti, con l'ammissione che anche i manager di sei società del gruppo Fiat «non hanno potuto resistere» e hanno dovuto accettare «un sistema altamente inquinato» di finanziamenti illeciti ai partiti di governo. In maggio arriva la confessione di Carlo De Benedetti che diverse società del gruppo Olivetti, osteggiate da «un regime politico prevaricatore», hanno dovuto versare, «a partire dal 1987», circa 20 miliardi di lire ai collettori e tesorieri della Dc, Psi, Psdi e Pri. E poi ci sono le ammissioni di moltissimi altri capitani d’azienda, come il super manager Paolo Scaroni, oggi presidente del Milan, che negli anni di Tangentopoli guidava la Techint e raccoglieva anche da altre imprese i soldi che lui stesso poi consegnava ai tesorieri socialisti, per ottenere appalti per le centrali a carbone dell'Enel, di cui poi è diventato il numero uno.

 

Al processo simbolo di Mani Pulite si arriva con gli interrogatori per la maxitangente Enimont, con tutti i nomi dei politici che si sono spartiti oltre 150 miliardi di lire: segreti rivelati dal cervello finanziario del gruppo Ferruzzi-Montedison, Giuseppe Garofano, dopo i suicidi di Gabriele Cagliari, ex presidente dell’Eni, e di Raul Gardini, che aveva guidato per anni il colosso chimico privato. Tra i politici, spicca il verbale di Paolo Cirino Pomicino, ministro del Bilancio nell'ultimo governo Andreotti, che nel novembre 1993 confessa di aver intascato più di cinque miliardi di lire in titoli di Stato, consegnatigli «in tre buste» da Luigi Bisignani, che li aveva riciclati allo Ior, la banca del Vaticano. Davanti al pm Antonio Di Pietro, l'allora parlamentare spiega di aver usato quei soldi per pagare le campagne elettorali dei candidati della sua corrente andreottiana, precisando di aver girato un miliardo e mezzo a Salvo Lima, il politico siciliano colluso con la mafia (secondo numerose sentenze) che fu ucciso dai killer di Cosa Nostra dopo la conferma in Cassazione delle condanne del primo maxiprocesso.

 

Tra le sorprese politiche c'è il verbale del tesoriere della Lega, Alessandro Patelli, che nel dicembre 1993 viene arrestato e confessa di aver incassato una tangente di 200 milioni di lire, già ammessa dai manager della Montedison. Umberto Bossi, fondatore e segretario del partito, nega di aver saputo, ma il 20 dicembre consegna alla procura un assegno con il rimborso integrale del finanziamento illecito.

 

Il capitolo finale di Mani Pulite è l'indagine sulla corruzione per evadere le tasse, che coinvolge anche la Fininvest di Silvio Berlusconi, capo del governo in carica. Nel luglio 1994 il manager Salvatore Sciascia ammette che tre società del gruppo hanno versato tangenti a diversi militari della Guardia di Finanza, che lo hanno già confessato. Sciascia dichiara che a dare l'autorizzazione e a fornire i fondi neri era Paolo Berlusconi, mentre il fratello Silvio non ne sapeva nulla. Condannato in primo grado, il leader di Forza Italia ottiene la prescrizione in appello e una trionfale assoluzione in Cassazione, che conferma solo le condanne dei manager, compreso Sciascia, poi diventato parlamentare.

 

Il sipario su Mani Pulite si chiude il 6 dicembre 1994, quando il pm Antonio Di Pietro, simbolo e motore delle indagini, lascia la procura all'improvviso, dopo la requisitoria del processo Enimont, proprio alla vigilia dell'interrogatorio di Berlusconi. Che una settimana dopo, interrogato nell’ufficio del procuratore Borrelli, polemizza con i magistrati: «E voi per una cosa del genere indagate il capo del governo? Ma vi rendete conto del danno all’Italia?». Lasciata la magistratura, nel 1995 Di Pietro viene indagato e poi assolto a Brescia.

 

Attenzione: tutti i documenti che pubblichiamo negli altri articoli su questo sito sono verbali d'interrogatorio, non sentenze di condanna. Hanno valore di prova solo nelle parti in cui l'indagato confessa i propri reati. Tutte le altre persone chiamate in causa per ipotetiche accuse, invece, vanno considerate innocenti, fino a prova contraria, perché nei successivi processi potrebbero aver dimostrato la propria estraneità o essere state prosciolte per prescrizione, amnistia o altre ragioni. Gli interessati possono inviare commenti, repliche o precisazioni a L'Espresso (all'indirizzo p.biondani@espressoedit.it), che le pubblicherà integralmente su questo stesso sito, all'interno dell'articolo in questione. Abbiamo deciso di pubblicare integralmente questi quindici verbali di Mani Pulite perché sono documenti di interesse pubblico e di importanza storica, che riguardano problemi ancora attuali: contengono le ricostruzioni del sistema della corruzione fornite direttamente dai protagonisti, da personaggi che hanno segnato la vita politica ed economica del nostro Paese e che durante le indagini, assistiti dai loro avvocati di fiducia, si sono assunti la responsabilità di deporre davanti alla magistratura, ripetendo più volte di voler dire tutta la verità.

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