Nel suo ufficio di piazza Mastai, seduto dietro a una scrivania di legno massiccio imponente, Marcello Minenna, direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli fa i conti: «Dunque, stimiamo mancate entrate dal gioco illegale per 15 miliardi all’anno, quindi un giro d’affari in nero di circa 80 miliardi senza considerare l’indotto».
Un mare di soldi in nero, mosso dalle scommesse sportive online e dalle sale gioco abusive, sul quale l’Agenzia non ha mezzi per navigare, come denuncia lo stesso Minenna. Lo Stato non bandisce gare per dare nuove concessioni al settore dal 2012, dieci anni, mentre c’è una grande confusione normativa che rischia di essere aggravata, anziché alleggerita, dalla nuova legge di riforma del comparto che sta arrivando in Parlamento: una legge che dovrebbe sbloccare finalmente i nuovi bandi per le scommesse sportive online e in agenzie. Un affare che fa gola a un settore che smuove, considerando anche la parte lecita, quasi 100 miliardi di euro all’anno. Una grande confusione normativa e di regole che agevola le infiltrazioni della criminalità organizzata (sono quasi trenta le concessioni revocate per legami con le mafie) mentre in Parlamento si alzano barricate alla proposta dell’Agenzia di avere più potere trasformandosi in un’Authority di regolamentazione e controllo del comparto.
L’Espresso ha consultato le oltre 15 mila pagine di ordinanze, verbali e intercettazioni delle dieci grandi inchieste che dal 2010 a oggi hanno svelato le infiltrazioni di ’ndrangheta, camorra, Cosa nostra e Sacra corona unita, dall’operazione Gambling di Reggio Calabria all’ultima recentissima indagine coordinata dai carabinieri di Salerno che ha portato all’arresto di un boss calabrese e svelato un giro d’affari sulle scommesse in nero da 5 miliardi di euro. E, collegando le indagini, si scopre che grazie a colletti bianchi e imprenditori dal volto pulito le quattro grandi mafie hanno costituito un vero e proprio cartello nel settore delle scommesse: un tavolino, apparecchiato ancora oggi, che vede seduti i rappresentanti delle mafie da una parte e dall’altra una mezza dozzina di imprenditori con agganci all’estero, da Malta all’Austria, da Panama alle Isole Vergini. Insieme, grazie alla disponibilità economica illimitata che garantiscono le organizzazioni criminali che hanno una enorme necessità di riciclare il denaro fatto con la droga e le estorsioni, sono riusciti e riescono a infiltrarsi anche nel gioco legale con società che hanno ottenuto concessioni dalle uniche due gare fatte in Italia, la prima con il decreto Bersani nel 2006, la seconda con il governo Monti nel 2012: solo per citarne alcune, Betting2000, Italypoker, Bet for Bet, Sgbet, Planetwin365 e alcuni concessionari del marchio Snai a livello territoriale.
Riannodando i fili dei nomi, delle società e dei mafiosi che compaiono in queste dieci grandi indagini emerge il gotha della criminalità: Francesco Schiavone e Michele Zagaria per i Casalesi, Rocco Femia e i clan Tegano, Pesce, Alvaro, Condello e Cordì per la ’ndrangheta, i parenti dei Graviano, di Messina Denaro, di Piddu Madonia, i Santapaola per Cosa nostra, i Prudentino per la Sacra corona unita. Negli ultimi quindici anni questi nomi, anzi cognomi, hanno fatto capolino nelle inchieste sulle infiltrazioni nei concessionari autorizzati dai Monopoli. Lo schema è sempre lo stesso: entrare in una società pulita attraverso i colletti bianchi giusti e poi con un pezzetto di economia “legale” ampliare a dismisura il gioco nero grazie a leggi europee dalle maglie larghe e società e server con sedi in Paesi esteri e mai accreditati dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Marcello Minenna
Il grande castello del gioco delle scommesse sportive in mano alla mafia si sta pian piano scoprendo grazie alla collaborazione di una manciata di protagonisti: Mario Gennaro, uomo del clan Tegano in Calabria, che nei primi anni Duemila ha iniziato la scalata al gioco delle scommesse; Fabio Lanzafame, imprenditore che ha svelato le trame tra le mafie per spartirsi sale, agenzie e territori; Renato Grasso, imprenditore che è stato il cavallo di Troia della Camorra, da Secondigliano a Caserta per entrare nel nuovo mercato online. Sullo sfondo nomi di imprenditori che tornano spesso nelle indagini, perché sono pochi quelli che in Italia conoscono i sistemi informatici: come quello di Luigi Tancredi, il re delle slot machine, il primo a creare un software per il gioco online poi utilizzato da alcuni per le scommesse in nero, o quello di Antonio Padovani, imprenditore catanese che secondo i collaboratori di giustizia era la cerniera con i clan etnei. Nell’ultima indagine di Salerno il nome di Tancredi riappare, ma lui non ha mai ricevuto alcuna condanna per associazione mafiosa e si è sempre difeso sostenendo di non sapere che c’erano organizzazioni criminali dietro i suoi soci o acquirenti, Padovani ha invece appena subito una richiesta di condanna a Catania dopo essere stato arrestato lo scorso maggio.
Il grande cartello delle mafie
È grazie all’indagine Gambling della procura di Reggio Calabria che si compone il puzzle del grande cartello tra le mafie. Un patto sottoscritto nel lontano 2006 e inossidabile fino ai giorni nostri. Scrivono gli inquirenti grazie ai verbali di Mario Gennaro: «La procura della Direzione distrettuale antimafia di Napoli aveva già fatto emergere la stipula di un patto criminale fra la Camorra, Cosa nostra ed esponenti della ’ndrangheta per la distribuzione in Campania, Sicilia e Calabria di una serie di brand tra i quali “Sport and Games” gestiti tramite le società Betting2000 e Ap Games (queste ultime con regolare concessione dei Monopoli, ndr) riferibili agli imprenditori Renato Grasso e Antonio Padovani, espressione rispettivamente della Camorra il primo e della mafia siciliana il secondo, ma in questa sede si è approfondito il legame inesplorato con la ’ndrangheta, con esiti proficui se non addirittura sorprendenti».
In questa indagine, verificando i legami societari di Gennaro, allora conosciuto solo come un imprenditore nel settore delle scommesse sportive online, salta fuori il nome di Maria Condello, sorella di Domenico e Demetrio, per gli inquirenti «esponenti del clan capeggiato dal “Supremo”, lo zio Pasquale Condello». A questo punto «appare evidente il coinvolgimento e l’interesse della cosche e della ’ndrangheta ad estendere la propria egemonia anche in questo settore e gli interessi sono tutelati da Mario Gennaro». Siamo negli anni a cavallo tra il primo e il secondo bando. E Gennaro, con il suo gruppo, crea società e mette piede nella Betting2000 e nella piattaforma di gioco Goalsbet Italia attraverso la Teberal trading autorizzata dai Monopoli e con sede a Malta, dove apre anche la Betuniq, società che inizierà perfino un contenzioso che arriverà al Consiglio di Stato e in Europa perché inizialmente non riconosciuta dall’Agenzia dei monopoli. Tramite un avvocato d’affari, che patteggerà sostenendo di non sapere che dietro a Gennaro c’era la criminalità organizzata, questo gruppo aprirà una miriade di siti non autorizzati e con sede a Malta, in Spagna, nelle Isole Vergini Britanniche, in Romania, in Austria e a Panama. Si scoprirà, grazie anche alla sua stessa collaborazione, che lui era nato e cresciuto dentro il clan Tegano ma che sul settore delle scommesse sportive e delle sale giochi aveva il via libera di tutti i clan di Reggio Calabria: i Pesce, i Logiudice, i Ficareddi, gli Alvaro e i Cordì. Solo per questa indagine si stima una movimentazione di denaro pari a 7 miliardi.
Il Re delle scommesse online
In area ’ndrangheta un’altra operazione, a Bologna, è stata quella Black Monkey. Per tutti gli imputati proprio qualche mese fa è venuta meno l’aggravante dell’associazione mafiosa. Ma i personaggi che compaiono in quelle indagini sono i protagonisti che ricompariranno anche in operazioni giudiziarie di questi giorni.
Come Nicola Rocco Femia, esponente della ’ndrangheta, che tra il 2005 e il 2010 entra nella gestione di alcuni siti web in Romania per il gioco online e qui fa capolino per la prima volta il nome di Luigi Tancredi, allora titolare della concessione dei Monopoli con il marchio Italypoker.it, assolto in questo procedimento. Siamo quindi nel campo delle scommesse legali.
Italypoker di Tancredi si espande in tutta Italia, non solo in Emilia Romagna. E appena arriva in Campania, manco a dirlo, entra in contatto con la Camorra, ma «a sua insaputa, tanto che è stato assolto e oggi è ancora incensurato», precisa l’avvocato Dario Vannetiello. All’inizio si tratta dei clan di Secondigliano: a raccontarlo molti anni dopo è un collaboratore di giustizia, Antonio Leonardi, grazie al quale è scattata l’operazione Imitation game a Roma. Leonardi non è un nome di secondo piano: ha guidato un clan e dal 1996 ha svolto il ruolo di narcotrafficante internazionale per alimentare le piazze di spaccio del clan Di Lauro. Inizia a interessarsi nel settore scommesse «in proprio e non per il clan» già nel 1994 quando a Napoli incontra gli imprenditori di Atlas Bet, John e Tom Jenkins, patron di quello che allora era un colosso europeo del settore. Leonardi racconta come è entrato in contatto con Tancredi e conferma il meccanismo a due binari, legale e illegale: «Ho conosciuto Tancredi nel 2007 quando vivevo a Roma. Una volta mi chiamò perché aveva preso la concessione con il sito Italypoker. Mi contattò per lanciare il sito su tutto il territorio nazionale; in cambio lui mi avrebbe dato una ventina di postazioni a Roma. L’espansione di Italypoker era legale, nell’arco di pochi mesi gli abbiamo fatto prendere una comunità di circa mille utenti».
Tancredi per gli inquirenti è anche il creatore di un software poi utilizzato per le giocate in nero, il cosiddetto sistema “dollaro”, che sarà sfruttato anche dai Casalesi e dalla famiglia Schiavone per la diffusione nel loro territorio. E arriviamo ai giorni nostri. Il mese scorso i carabinieri di Salerno hanno indagato 33 persone per scommesse illegali che hanno movimentato 5 miliardi di euro. Al vertice dell’organizzazione ci sarebbe stato per i pm Luigi Cirillo, figlio del boss di Sibari, che si è scoperto avere conti a Dubai e Praga con milioni di euro depositati. L’indagine nasce dalle dichiarazioni di Gennaro e Nicola Rocco Femia e in queste carte ricompare il nome di Tancredi, arrestato e scarcerato dal Riesame: Cirillo utilizzava un suo vecchio software aggiornato.
Proprio Rocco senior in un verbale inedito dice a proposito di Tancredi: «L’ho conosciuto nel 2005 e aveva già rapporti con la Camorra tramite Renato Grasso. Io stesso insieme a Tancredi dovevo andare dai Grasso e sapevamo che tali ultimi lavoravano con la Camorra napoletana, salernitana e casalese, oltre a fare affari con i mafiosi siciliani e la ’ndrangheta». Restando a Tancredi, il suo nome compare anche in Sicilia nell’indagine sul clan Romeo e i Santapaola nel settore scommesse. Tancredi ha avuto rapporti con gli esponenti di tutte le principali mafie, ma non è stata mai provata la sua conoscenza della caratura criminale dei soggetti in questione ed è stato sempre prosciolto.
Gino Tancredi
I colletti bianchi
Un perfetto colletto bianco, un imprenditore brillante nel settore, è quello che cercano le mafie per entrare nel mondo delle scommesse legali e poi ampliare a dismisura la parte illegale: «Entrambi i binari consentono di movimentare miliardi di euro con facilità, quello che serve alla criminalità organizzata», dice Minenna. Altri imprenditori che hanno lavorato con personaggi legati alle mafie sono Antonio Padovani, Fabio Lanzafame, Carlo Cattaneo e Benedetto Sbacchi detto Ninni. In questo caso tutti hanno avuto la loro base in Sicilia.
Padovani era il referente in Sicilia della società “Sport and games” che aveva il marchio Betting2000 autorizzato dai Monopoli. In breve tempo diventa il gestore della gran parte delle slot della Sicilia Orientale chiaramente con il benestare della famiglia Madonia di Caltanissetta e con il clan Bonaccorso legato ai Santapaola: aveva un filo diretto con il fratello di Benedetto Santapaola. Padovani a Palermo aveva come riferimento l’imprenditore appena condannato in primo grado Ninni Bacchi, sospettato di aver finanziato la famiglia di Pagliarelli a Palermo: Padovani, in un giro per monitorare i suoi investimenti, incontrerà a Bagheria Francesco Tusa, nipote di Giuseppe Madonia e genero di Leonardo Greco, il boss del paese alle porte di Palermo. Rapporti di alto livello nella consorteria mafiosa. A svelare tutte le trame dei legami di Padovani sono i collaboratori di giustizia Gennaro e Fabio Lanzafame. Quest’ultimo ha lavorato anche per Padovani e ha tenuto i rapporti con Cosa nostra a Messina e Palermo, con i clan Santapaola, Ercolano e Cappello a Catania e con i calabresi della cosca Tegano. Un collaboratore di Lanzafame è il gancio per arrivare a un altro imprenditore che, si scoprirà, ha avuto rapporti con la famiglia del superlatitante Matteo Messina Denaro.
L’imprenditore si chiama Carlo Cattaneo: appena due settimane fa è stato condannato in primo grado dopo l’arresto avvenuto nel 2018 nell’operazione della Direzione distrettuale antimafia coordinata da Paolo Guido “Anno zero”. In questa indagine si scopre che Cattaneo gestiva alcuni siti online con i marchi autorizzati Planetwin365 (marchio registrato attraverso la società Oia service con sede a Malta e autorizzata dai Monopoli del quale faceva parte anche Antonio Ricci, che avrebbe curato gli interessi del clan Tegano per la ’ndrangheta e Placenti per la mafia catanese, a conferma del “cartello”).
Cattaneo aveva rapporti economici con Saro Allegra e Francesco Guttadauro, rispettivamente cognato e nipote di Messina Denaro. Qualche giorno fa sono stati invece condannati in primo grado Salvatore Rubino e Nunzio Maniscalco: il primo è un imprenditore nel settore scommesse che in passato ha gestito il marchio Bet for bet e poi è diventato riferimento della Snaitech per Palermo, il secondo è un nome che arriva dal gotha della mafia di Totò Riina, protagonista nel 1991 della famosa rapina al Monte dei pegni.
Imparentati, i due si erano messi in affari a Roma e anche nel settore delle scommesse: dietro, per gli inquirenti, c’erano le famiglie palermitane della mafia di Porta Nuova e Corso dei Mille. Sembra la storia che ritorna, ma resta quello che è emerso in questi anni: il grande cartello delle quattro mafie sulle scommesse legali e illegali. Il bando per le nuove concessioni potrebbe essere pubblicato a breve dall’Agenzia dei monopoli, ma il direttore Minenna lo tiene fermo: «Vogliamo più poteri e chiedo di poter trasformare l’Agenzia in una Authority con maggiori possibilità di controllo anche sui conti esteri», dice. In Parlamento il deputato Guido Germano Pettarin ha presentato una interrogazione: «Minenna vuole creare una nuova polizia di Stato?». Di certo c’è che i vecchi bandi hanno consentito alle mafie di entrare nell’affare scommesse dalla porta principale.