Inchiesta
Francia, tutta la storia dei milioni che le banche di Putin e Orban hanno regalato a Marine Le Pen
Undici milioni da Mosca. E ora altri dieci dall’Ungheria, per finanziare la candidata alle presidenziali di Parigi. Che sul tema continua a non rispondere alle domande: chi le ha dato quei prestiti e a quali condizioni? Ecco cosa sappiamo
Soldi dalla Russia di Putin. Ancora soldi dall'Ungheria di Orban. Per finanziare il suo partito, Rassemblement National (Rn), dal 2018 nuovo nome del Front National (Fn), che lei ha guidato subentrando nel 2011 al padre Jean-Marie, Marine Le Pen ha sempre puntato su speciali banche estere. Di Mosca e di Budapest. Prestiti ottenuti nel passato: oltre 9 milioni di euro dalla Russia. Altri prestiti incassati nel presente: 10,6 milioni dall’Ungheria, per finanziare la campagna presidenziale del 2022. A quali condizioni? Ci sono state pressioni politiche di Vladimir Putin o di Viktor Orban per far ottenere finanziamenti bancari così ingenti alla leader di un partito straniero? Il regime russo e il governo ungherese hanno chiesto contropartite politiche o militari?
A queste domande Marine Le Pen non ha mai risposto. Non ha mai spiegato le condizioni di quei prestiti, i tassi d’interesse applicati dalle banche, l’esistenza di eventuali accordi collaterali di altro tipo. L’argomento è stato toccato anche nel dibattito televisivo che la sera di mercoledì 20 aprile, per quasi tre ore, ha opposto la candidata di destra al presidente in corsa per la rielezione Emmanuel Macron, che l’ha accusata di «dipendere dal potere russo, da Putin». Un confronto decisivo, seguito da 15,6 milioni di telespettatori, quattro giorni prima del secondo turno elettorale che domenica 24 è destinato a designare il nuovo presidente della Francia.
Questo articolo ricostruisce tutta l’oscura vicenda dei prestiti russi e ungheresi al partito di Marine Le Pen, sulla base delle notizie documentate dai giornalisti d’inchiesta francesi di Mediapart, integrate dalle informazioni sugli oligarchi e sui banchieri russi raccolte da L’Espresso con il consorzio Icij. Tutto parte da uno scoop del 22 novembre 2014: Mediapart rivela che il partito di Marine Le Pen ha ottenuto un finanziamento di 9 milioni di euro da una banca russa controllata dal regime di Putin. Il giorno successivo la stessa Le Pen conferma la notizia a Le Monde, senza alcun dettaglio in più.
Passano altre due settimane prima che la leader della destra francese fornisca qualche particolare: solo contorno, niente sostanza. Si limita a dire che Mosca non sarebbe stata la sua scelta originaria. Per finanziare il suo partito si era rivolta, a metà 2013, a quattro banche francesi, ricevendo un secco no alla richiesta di un prestito di cinque milioni di euro. Rifiuto ribadito, in seguito, anche da un istituto svizzero. Altri dati? Zero.
Quindi è ancora un’inchiesta di Mediapart a rivelare che il Front national, all'inizio, aveva chiesto alle banche russe prestiti per 40 milioni di euro, fino al 2017. Negli stessi mesi Marine Le Pen ha dichiarato in più occasioni la sua ammirazione per Vladimir Putin. E ha difeso pubblicamente una linea politica filo-russa.
A tessere la tela dei rapporti economici tra la destra sovranista francese e le banche controllate dal regime di Mosca sono stati alcuni intermediari, incaricati di tenere i contatti con Parigi e di avvicinare i big del regime di Mosca. In questa rete spicca Konstatin Malofeev, lo stesso oligarca ultra-nazionalista che è stato al centro di almeno due trattative segrete per finanziare la Lega di Matteo Salvini.
In Francia la svolta matura già nel giugno 2013, quando Marine Le Pen fa un viaggio di dieci giorni in Crimea, che all’epoca fa ancora parte dell’Ucraina, e poi a Mosca, dove incontra uomini di vertice della Duma, la Camera bassa della Federazione russa: il presidente, Sergei Narychkine, legato a Putin dai tempi dello spionaggio militare nel Kgb, e il responsabile della commissione esteri, Alexei Pouchkov. Davanti alle telecamere, come riporta Le Monde, la leader del Front National denuncia «una sorta di guerra fredda causata dall'Unione europea contro la Russia». E proclama: «La Russia è demonizzata».
Il 17 marzo 2014, il giorno dopo il referendum plebiscitario che certifica l'annessione della Crimea alla Russia, Marine Le Pen si schiera apertamente con Mosca. Lo rivelano i suoi stessi messaggi di quei giorni, poi hackerati da Anonymous International, dove il sostegno del Front national alla Russia viene citato e ripetuto per 66 volte. Di più. I russi, proprio per questo, si chiedono come «ringraziare i francesi». Poche settimane dopo, il 12 aprile, con la Crimea ormai annessa, la presidente del Fn è di nuovo a Mosca, dove vede, una seconda volta, Sergei Narychkine. È un momento delicato. Sono appena scattate le prime sanzioni degli Stati Uniti e dell'Unione europea. E anche il presidente della Duma è finito nella lista nera. Marine Le Pen si sbilancia anche in questa occasione, sottolineando il suo sostegno a Mosca: «Ho già detto, fin dall'inizio, che le sanzioni e perfino le minacce di sanzioni sono controproducenti. Lo ribadisco».
Il sospetto che la sua linea politica possa avere delle contropartite economiche si fa strada quando si scopre che pochi giorni dopo, il 18 aprile, Jean Marie Le Pen, padre di Marine e fondatore del partito, ha ricevuto due milioni di euro per la sua micro-associazione politica Cotelec, fondata nel 1991 per finanziare le campagne del Fn. A donarli, con la mediazione dell’oligarca Malofeev, è una società di Cipro, Vernonsia Holdings Limited, che è controllata da un banchiere russo vicinissimo a Putin: Yuri Kudimov, ex ufficiale del Kgb (come lo zar di Mosca) diventato direttore della Veb Capital, il braccio finanziario della Veb Bank, una delle maggiori banche statali russe. Kudimov è anche un grande amico di Malofeev.
Pochi mesi dopo, in settembre, è il partito guidato da Marine Le Pen a beneficiare di un prestito più consistente, concesso da un’altra banca controllata da Mosca: 9,4 milioni di euro. Soldi sbloccati, secondo Mediapart, grazie a un intervento di Alexandre Babakov, consigliere di Putin e responsabile della cooperazione con le organizzazioni russe all'estero.
A erogare quei milioni, con uno schema finanziario complesso, è la First Czech Russian Bank (Fcrb), fondata nel 1996 con capitali di Praga e di Mosca. Quella banca nel 2002 è stata acquisita dalla StroyTransGaz (Stg), la società russa che costruisce i gasdotti per la Gazprom. Due aziende strategiche, entrambe controllate da fedelissimi di Putin. La Stg investe 100 milioni di dollari nella banca ed estromette i vecchi azionisti. Cinque anni dopo, cambia la catena di comando, ma non l’obbedienza politica. Nella Stg entra un nuovo grande azionista: il miliardario russo Gennady Timchenko, amico intimo e presunto tesoriere personale di Putin. Quindi la società dei gasdotti esce dalla banca Fcrb, che passa sotto il controllo di un nuovo azionista di maggioranza: Roman Popov, che per dieci anni è stato il direttore finanziario della Stg. A Mosca lo considerano una specie di principe consorte: a contare sarebbe soprattutto sua moglie, che è la figlia di Viatcheslav Baboussenko, classe 1957, anche lui ex spia del Kgb, poi dirigente della banca Fcrb e quindi per vent'anni top manager della Stg, fino al grado di vicedirettore per la sicurezza. Tanti intrecci di potere che ruotano tutti intorno a Putin.
Gli amici del presidente però gestiscono malissimo la banca. Al punto che, nel 2016, la Fcrb entra in crisi e rischia il fallimento. Deve intervenire la banca centrale russa, che fa pulizia nei bilanci e scopre prestiti a società di comodo, mai restituiti, per almeno 277 milioni di dollari. La governatrice Elvira Nabiullina usa il pugno di ferro: chiude cento compagnie finanziarie e dichiara insolvente la First Czech, nominando nuovi amministratori. E il prestito al partito di Marine Le Pen che fine fa? L’unica certezza è che viene trasferito alla Aviazapchasst, una società aeronautica legata ai servizi segreti, che ora si chiamano Fsb, in pratica l'ex Kgb. Da quel momento, del finanziamento bancario al partito della destra francese non si sa più nulla. Non si conosce nemmeno il dato fondamentale: è stato restituito o no?
In compenso, il 24 marzo 2017 Marine Le Pen incontra per la prima volta, al Cremlino, Vladimir Putin, che rilascia una strana dichiarazione: «Noi non vogliamo in alcun modo influenzare gli avvenimenti in corso». Una settimana dopo è in programma il primo turno delle elezioni presidenziali, con la candidata del Front National che fa il pieno di voti e raggiunge il ballottaggio.
Ora, cinque anni dopo, Marine Le Pen è di nuovo in corsa al secondo turno. E ancora una volta si parla di ingerenze di regimi autoritari nella politica francese. E di un altro prestito, questa volta di oltre 10 milioni di euro, arrivati al partito dall’Ungheria. Da quale banca? «Non lo dirò mai», confessa Marine Le Pen. Che nell'ottobre 2021, all’inizio della campagna elettorale, aveva incontrato Orban a Budapest. E in un tweet lo ha ringraziato per la «fiducia».
Nel faccia a faccia televisivo con Macron di mercoledì 20, Marine Le Pen ha espresso «solidarietà al popolo ucraino», riconoscendo che «l'aggressione di cui l'Ucraina è stata vittima non è ammissibile». Quando però ha cercato di stuzzicare l’avversario, perché a suo tempo aveva ricevuto «Putin in pompa magna, prima a Versailles e poi a Bregançon, nel luogo di vacanza», Macron le ha risposto, piccato, con una frecciata sui prestiti russi: «Ho ricevuto Putin come un capo di Stato, non come un banchiere, madame Le Pen».