Condannati per reati di mafia, sono big sponsor del candidato sindaco di Palermo Roberto Lagalla. I due fanno asse e puntano a riprendersi anche la Regione

Uno è sfacciato e ama i bagni di folla. L’altro invece si muove da sempre dietro le quinte, al massimo qualche battuta, e non si fa vedere certo nelle piazze, bensì nei saloni affrescati di qualche hotel esclusivo. In fondo sono sempre gli stessi e non sono cambiati nemmeno dopo le condanne per fatti legati alla mafia, gli scandali e le cattive amicizie mai rinnegate, né prima né durante né dopo il carcere. Entrambi sono tornati in campo per ricominciare da dove avevano finito: la gestione di pezzi di potere e il tessere relazioni per essere sempre al centro delle scelte che contano.

 

Salvatore Cuffaro e Marcello Dell’Utri in Sicilia fanno asse e sponda reciproca, e questa è una novità rispetto agli anni d’oro. Entrambi ripartono dal basso, dai primi scalini della politica, dopo le disavventure giudiziarie, chiamiamole così: hanno imposto al centrodestra il candidato al Comune di Palermo, Roberto Lagalla, perché da qui vogliono tentare la scalata e puntano a diventare determinanti alle prossime elezioni regionali, dove già vogliono lanciare l’uscente Nello Musumeci. Non sono certo i meravigliosi primi anni Duemila, quando Salvatore Cuffaro detto Totò era il potente governatore della Sicilia e il senatore Marcello Dell’Utri godeva i frutti del suo lavoro in Forza Italia iniziato nel 1994, quando ha scelto i dirigenti uno per uno a partire dal suo delfino Gianfranco Micciché, incassando il 61 a zero nei collegi in Sicilia e una messe di voti al Sud.

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Ma dopo gli anni bui delle indagini, dei processi e delle condanne, Cuffaro per favoreggiamento aggravato e Dell’Utri per concorso esterno come garante del patto di tutela di Berlusconi da parte della mafia, i due sono tornati alla luce del sole di Palermo per essere determinanti. E, giurano, lo saranno ancora in vista dei prossimi appuntamenti elettorali nonostante le parole di sconcerto dei familiari delle vittime di mafia, come Maria Falcone che ha criticato il candidato Lagalla per non essere sostenuto da «persone dal passato adamantino come dovrebbe fare un aspirante sindaco della città delle stragi», oppure il procuratore Alfredo Morvillo che si è detto molto preoccupato per «una Sicilia che rischia di tornare in mano alla mafia»: e che entrambi lo abbiano detto al trentennale della strage di Capaci nella quale morirono Giovanni Falcone e Francesca Morvillo è emblematico del clima che si sta tornando a vivere a certe latitudini.

 

(Igor Petyx)

DIETRO LA NUOVA DC, IL PASSATO
L’ex governatore Cuffaro, nonostante l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, non fa una piega. Anzi rilancia: «Ho pagato le mie colpe, ho il diritto di fare politica e vogliono rifondare la Democrazia cristiana». Cuffaro è stato l’ago della bilancia quando il centrodestra era diviso per lanciare la corsa di Lagalla: si conoscono fin dai tempi dell’Università , entrambi studenti di radiologia. Lagalla è stato anche assessore alla Sanità in uno dei governi Cuffaro, uno degli ultimi prima delle dimissioni anticipate a causa della condanna per favoreggiamento.

 

Totò in questi giorni batte palmo a palmo tutti i quartieri di Palermo in vista del voto del 12 giugno e nella sua “nuova” Dc ha imbarcato quello che è stato sempre un pezzo del suo mondo politico: la sanità, il sottobosco del precariato, le società pararegionali. A vedere i nomi che compaiono nella lista della Dc, più che una operazione elettorale sembra davvero una operazione di potere.

 

Non ci sono calamite del voto, ma volti che hanno un peso. Come quello di Nuccia Albano, medico legale che per prima fece l’autopsia al corpo di Falcone. Albano è sorella di Giovanni, potente presidente del consiglio d’amministrazione dell’Ospedale Giglio di Cefalù, da sempre una enclave cuffariana: l’ex amministratore del Giglio era Stefano Cirillo, medico fedelissimo di Cuffaro che con lui ha organizzato i viaggi di beneficenza in Burundi appena uscito dal carcere. Alla presentazione della lista Dc, in un teatro stracolmo, c’erano rappresentanti del mondo delle farmacie, come Mauro Pantò, e dell’imprenditoria, come Fabio La Vardera, candidato, che lavora nella società che gestisce i servizi del porto di Palermo, uno dei polmoni economici e occupazionali più importanti della città.

(Igor Petyx)

Nella lista della Dc cuffariana ci sono anche dipendenti delle società parapubbliche, come la Reset che accoglie l’ex bacino storico dei precari del Comune, oppure medici che in passato hanno avuto ruoli chiave nell’azienda sanitaria locale. Manca un altro suo mondo e gran bacino elettorale, quello legato all’agricoltura, lui che si picca di avere un’azienda che produce vino  e distillati per la quale ha ricevuto in passato lauti contributi della Regione con i fondi Ue.

 

Per il resto Cuffaro riparte da dove aveva finito e, tutto sommato, da un mondo che gli ha dato gioie ma anche dolori: Cuffaro è stato condannato per aver rivelato indagini di mafia e aver prestato il fianco all’ex re delle cliniche di Bagheria e prestanome di Bernardo Provenzano, Michele Aiello. Cuffaro non ha mai detto chi gli aveva dato la soffiata sulle indagini della Direzione distrettuale antimafia che coinvolgevano anche i marescialli Giuseppe Ciuro e Giorgio Riolo. E non ha detto perché ha incontrato Aiello nel retrobottega di un negozio di Bagheria per parlare del tariffario regionale sui rimborsi sanitari delle prestazioni di radioterapia alle quali teneva moltissimo Aiello, visto che solo la sua clinica faceva quelle prestazioni (guarda caso).

 

Nel processo è stato dimostrato che «Cuffaro ha in concreto fatto pervenire alla commissione competente a stabilire i prezzi una indicazione proveniente proprio da Aiello e ciò benché il Cuffaro non avesse alcuna competenza funzionale nell’atto di formazione del nuovo tariffario regionale». In quel processo, al di là dei reati, vennero fuori le sue frequentazioni con personaggi come Salvatore Aragona, riferimento del boss Giuseppe Guttadauro, o quel suo delfino politico, Domenico Miceli, che Cuffaro sapeva essere uomo dello stesso Guttadauro.

 

Si legge nella sentenza di appello poi confermata in Cassazione: «Cuffaro conosceva benissimo il suo amico Miceli, nonché conosceva anche Guttadauro, e sapeva che era stato condannato per reati di mafia». Cuffaro dice di aver pagato, ma su questi passaggi del suo passato non ha detto mai nulla. Come non ha detto nulla dello scandalo della cartolarizzazione dei crediti della sanità con Nomura e le laute consulenze arrivate ai suoi collaboratori, a partire da Marcello Massinelli; o del censimento degli immobili costato 100 milioni di euro, della formazione professionale cresciuta a dismisura e poi collassata per i costi esorbitanti, della privatizzazione delle grandi reti e degli invasi, solo per citare alcuni dei tanti scandali della Regione ai tempi dei suoi potenti governi. Palermo, per lo meno un pezzo della città, sembra aver già dimenticato questo passato ingombrante. Cuffaro lo sa e guarda avanti: ha suggerito il nome di una assessora a Lagalla e punta a presentare le liste anche alle regionali dove, assicurano i suoi, farà risultati migliori: in fondo Totò è stato sempre più forte in provincia e nei paesi. E dopo Lagalla ha già fatto sapere che lui vuole appoggiare alle prossime regionali il governatore uscente Nello Musumeci. E qui salta fuori ancora un gioco di sponda con l’altro condannato tornato a tessere trame politiche siciliane, Dell’Utri.

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L’ASSE TRA TOTO’ E MARCELLO
Dell’Utri, che portò il boss palermitano Vittorio Mangano ad Arcore per proteggere Berlusconi, è stato tra i primi sponsor di Lagalla rompendo con il suo allievo Gianfranco Micciché, che invece puntava su Francesco Cascio, ex deputato. È bastato che Dell’Utri facesse sapere dentro Forza Italia che lui puntava su Lagalla per far scattare la fronda tra gli azzurri acchiappavoti pronti a mollare Micciché e Cascio al loro destino.

 

Poi è arrivato il sì di Cuffaro e a quel punto Lagalla ha prevalso su tutti. Ma anche in vista del voto delle regionali Dell’Utri e Cuffaro giocano di sponda. Micciché, al solito, punta su altri cavalli contro il «fascista Musumeci», come ha detto in una intervista a La Stampa. Dell’Utri invece, in una saletta dell’Hotel Des Palmes, telefona a Berlusconi davanti a Musumeci per incassare il via libera alla ricandidatura dell’ex missino ed ex presidente della commissione regionale antimafia che si vanta del suo passato adamantino. Guarda caso Musumeci ha nominato nella sua giunta in quota Forza Italia l’ex sindaco di Agrigento Marco Zambuto. E chi è lo sponsor di Zambuto? Il deputato diventato amico fraterno di Marcello, Riccardo Gallo Afflitto. Tanto che quando Micciché ha protestato, Dell’Utri al suo ex pupillo ha detto chiaramente: «Gianfranco non mi costringere a scegliere tra te e Riccardo». Come dire, ho già scelto.

 

In questo fronte dellutriano gioca poi anche l’assessore regionale all’Economia Gaetano Armao, grande amico di Gallo Afflitto. Sarà un caso che proprio Armao abbia proposto e ottenuto da Musumeci la promozione del fratello di Cuffaro, Silvio, nel ruolo di potente dirigente generale delle Finanze della Regione Siciliana? E, ritorni della storia, e del potere, Silvio Cuffaro adesso di cosa si occuperà? Anche di immobili e del censimento costato oltre cento milioni di euro e voluto dal fratello. Un inciso: Silvio era già stato nominato da Zambuto a capo del suo gabinetto. Insomma, Cuffaro e Dell’Utri sembrano davvero giocare di sponda perché hanno in fondo bisogno l’uno dell’altro per tornare a giocare la partita del potere. Sono passati vent’anni e a Palermo tutto ritorna. Lagalla, Musumeci, sembrano nuovi ma chi li regge e sostiene oggi sono gli eterni Totò e Marcello.