Le aziende in difficoltà che prenotano la cassa integrazione per migliaia di dipendenti. I prezzi di gas e luce fuori controllo. La spesa di tutti giorni sempre più cara, mentre tornano ad aumentare i tassi su mutui e prestiti personali. Ecco a voi l’autunno che verrà. La guerra ibrida di Vladimir Putin ha mandato fuori giri l’economia europea. Il ricatto, ora esplicito, di Mosca, via le sanzioni oppure niente gas, ha messo fine alle illusioni. A due anni di distanza dalla grande crisi del Covid una nuova recessione è alle porte. Con una differenza sostanziale, però, rispetto al 2020.
Allora il motore produttivo del continente era stato semplicemente spento in attesa che la pandemia facesse il suo corso. Adesso l’impennata dei costi dell’energia, amplificata dalla speculazione, ha innescato una serie di reazioni a catena che né la politica né i banchieri sembrano in grado di controllare. L’Europa appare indifesa, in balia della tempesta. E nell’Italia in piena campagna elettorale, l’unico argine al caos sono i provvedimenti tampone varati da un governo dimissionario.
Il tempo stringe. All’inizio di ottobre, l’Arera, l’autorità di regolazione sul mercato dell’energia, aggiornerà le tariffe del gas e dell’elettricità sulla base delle nuove quotazioni di mercato, mai così alte. Le imprese si preparano già al peggio, rallentando la produzione oppure fermandola del tutto nel tentativo di contenere i costi, mentre le famiglie frenano sui consumi anche per effetto dell’aumento generalizzato dei prezzi. È questo lo scenario peggiore possibile, uno scenario che ci riporta indietro nel tempo alla metà degli anni Settanta del secolo scorso, segnati dalla recessione economica associata a un’inflazione a doppia cifra. In una parola, la stagflazione. E intanto, l’Italia che si prepara ad affrontare la più grave crisi energetica a memoria d’uomo è costretta a navigare a vista, in attesa che l’Europa trovi un accordo per dare un taglio ai prezzi del gas naturale, a cui sono agganciate anche le bollette elettriche.
LUCI SPENTE
La spirale al rialzo delle quotazioni dell’energia avrebbe già mandato al tappeto milioni di imprese e famiglie se dall’inizio dell’anno il governo non fosse intervenuto a più riprese garantendo sgravi fiscali, bonus e rateizzazioni dei pagamenti. Una serie di misure che fino ad agosto hanno raggiunto un valore pari al 3 per cento del Pil, circa 50 miliardi di euro. Di fatto, lo scudo pubblico ha protetto i consumatori dagli effetti più nefasti dell’impennata dei costi energetici e nell’immediato futuro anche il nuovo esecutivo, quello che uscirà dalle urne del 25 settembre, non potrà fare altro che proseguire sulla stessa strada inaugurata da Mario Draghi.
Finora l’aumento delle entrate, garantito in parte dal boom turistico estivo e in parte dall’effetto inflazione, ha coperto le spese supplementari senza ricorrere a nuovo deficit pubblico, ma nei prossimi mesi andranno trovate altre risorse nelle pieghe del bilancio dello Stato e con ogni probabilità si restringeranno ancora i margini di manovra per la riduzione del debito in rapporto al Pil. Se poi la Russia chiuderà del tutto il flusso di metano verso Ovest, il prossimo inverno sarà inevitabile ridurre di molto i consumi. I sacrifici, però, saranno necessari anche se le forniture garantite dal Cremlino dovessero restare allo stesso livello di quelle attuali, cioè l’80 per cento della media del 2021.
«L’impennata senza precedenti dei prezzi imporrà a tutti di cambiare le abitudini e consumi consolidati nel tempo», prevede Gilberto Dialuce, nominato un anno fa presidente dell’Enea, l’ente pubblico di ricerca che si occupa di energia, ambiente e sviluppo sostenibile. Nelle settimane scorse l’Enea ha pubblicato uno studio che elenca una serie di “buone pratiche” da adottare nelle nostre case con l’obiettivo di ridurre il peso delle bollette. Secondo il rapporto, il risparmio potrebbe arrivare fino a 240 euro in un anno per la famiglia media, quella che consuma 1.400 metri cubi di gas e 2.700 chilowattora di elettricità. Si va dall’uso efficiente di elettrodomestici e dell’illuminazione fino ai risparmi di gas per cottura cibi e acqua calda. Gran parte di questi interventi sono stati recepiti dal “Piano contenimento dei consumi di gas naturale” presentato martedì 6 settembre dal ministro Roberto Cingolani. Tra i comportamenti virtuosi indicati nel piano c’è la diminuzione a 19 gradi, con due gradi di tolleranza, della temperatura massima in edifici pubblici e nei condomini, riducendo di un’ora al giorno il tempo di accensione dei caloriferi. Secondo l’Enea con queste ultime misure amministrative si potrebbe tagliare il consumo di gas di 2,7 miliardi di metri cubi, per il ministero si arriverebbe a 3,2 miliardi se ai risparmi nei consumi domestici si aggiungono quelli negli uffici e nei negozi.
L’efficacia dei provvedimenti evocati dal governo è ovviamente legata alla loro effettiva applicazione. Chi controllerà che, per esempio, i condomini regolino davvero la temperatura come prescritto dalla nuova legge? Dati alla mano, inoltre, si scopre che i risparmi ipotizzati (da 2,7 miliardi di metri cubi a 3,2 miliardi) corrispondono al 4 per cento circa del consumo complessivo di gas in Italia (dati del 2021). L’anno scorso la Russia ha garantito il 40 per cento circa del metano distribuito nel nostro Paese. Va da sé, quindi, che se Vladimir Putin proseguisse nel suo ricatto all’Europa, i risparmi domestici da soli non basterebbero a evitare il collasso del sistema. Da tempo il governo è alla ricerca di fornitori alternativi, ma l’aumento degli acquisti in Algeria e Azerbaijan, sommato al gas liquido supplementare in arrivo dal Qatar e dagli Stati Uniti, non potranno sostituire del tutto la materia prima di Mosca.
LAVORO A RISCHIO
Ecco perché appare sempre più probabile che alla fine il governo sia costretto a imporre una qualche forma di razionamento. È da escludere che i tagli vadano a colpire il gas destinato alla produzione di elettricità (47 per cento del totale) o per il riscaldamento (30 per cento). Se non si troveranno soluzioni alternative, saranno quindi le imprese a farsi carico dai risparmi imposti dalla penuria di metano.
Intanto, però, l’aumento continuo dei costi energetici sta già costringendo centinaia di aziende di ogni dimensione a rallentare la produzione o addirittura a programmare delle chiusure più o meno prolungate nelle prossime settimane. Le associazioni degli industriali di Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, il cuore produttivo del Paese, hanno calcolato in 41 miliardi i costi supplementari nel 2022 legati all’aumento dei prezzi di gas ed elettricità. Nelle settimane scorse i sussidi del governo hanno in parte attutito gli effetti della crisi sui conti delle aziende, ma adesso è l’estrema incertezza sul futuro a condizionare le scelte degli imprenditori, che preferiscono tirare i remi in barca in attesa che la tempesta si allontani. E così, in vista di una nuova stretta, si allunga la lista delle imprese che aprono in via precauzionale le procedure di cassa integrazione. Secondo i calcoli dei sindacati, nella sola provincia di Brescia, dove abbondano le fabbriche del settore siderurgico ad alto consumo di energia, sono almeno una sessantina le richieste di Cig provenienti da altrettante aziende.
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La cassa in arrivo potrebbe essere solo il primo segnale evidente di un’inversione di tendenza del mercato del lavoro, in fase di ripresa dopo lo stop della pandemia. A rischio sono soprattutto i lavoratori a termine e part time, categorie che da tempo ormai trainano la crescita del numero degli occupati. Come se non bastasse sui prossimi mesi gravano anche gli effetti di un dollaro mai così forte negli ultimi vent’anni in rapporto all’euro. Nel solo 2022 la moneta europea ha perso il 12 per cento su quella Usa. Un calo che favorisce gli esportatori verso il mercato americano, ma crea nuove difficoltà per le imprese che devono pagare in dollari i loro contratti di fornitura. Costerà di più, per esempio, il gas liquefatto che arriva dall’America in sempre maggiori quantità per sostituire quello russo, ma vale lo stesso discorso anche per molte materie prime.
PIÙ POVERI
I prezzi aumentano e i salari restano al palo. E così, secondo un rapporto appena presentato da Coop in collaborazione con Nomisma, la perdita del potere d’acquisto per una famiglia con due figli ha già raggiunto il 7,3 per cento del totale della spesa annua. Alcuni beni alimentari, influenzati anche dai forti movimenti speculativi sui mercati internazionali delle materie prime, fanno segnare da settimane aumenti a doppia cifra.
Ecco qualche esempio. Per l’olio d’oliva l’aumento è del 33 per cento nell’arco di dodici mesi, la pasta di semola costa il 31 per cento in più dell’estate scorsa mentre la carne di bovino adulto è rincarata del 25 per cento. Nel complesso, secondo i dati diffusi da Coop, l’incremento medio dei listini della grande distribuzione supera il 9 per cento su base annua. Il commercio si prepara una riduzione della domanda. Perché se i prezzi aumentano, e con i prezzi anche l’incertezza per il futuro prossimo, le famiglie non possono fare altro che tagliare i consumi in attesa di tempi migliori. «È già successo nei mesi scorsi e prevediamo che questi risparmi forzati proseguiranno anche nel prossimo autunno-inverno», dice Marco Pedroni, presidente di Coop Italia.
L’inflazione però non è uguale per tutti: colpisce in primo luogo i meno abbienti. «I beni i cui prezzi stanno salendo più rapidamente, cioè energetici e alimentari, hanno infatti una maggiore rilevanza nel paniere della fascia di a reddito più basso», come ricorda l’ultimo Bollettino economico della Banca d’Italia. Anche l’aumento dei tassi d’interesse deciso dalla Bce già a partire dal giugno scorso ha già innescato un primo ritocco al rialzo del costo dei mutui, un ostacolo in più per giovani e famiglie che vogliono comprare casa.
La nuova crisi minaccia quindi di allargare il divario tra ricchi e poveri nel nostro Paese, una tendenza pressoché costante negli ultimi 15 anni. Già nel marzo scorso, l’Istat segnalava che senza la crescita dei prezzi al consumo del 2021, il numero di famiglie in povertà assoluta sarebbe inferiore di 0,5 punti percentuali: il 7 per cento contro il 7,5 rilevato dalle statistiche. Non sono disponibili dati più recenti, ma la situazione non può che essere di molto peggiorata, visto che l’anno scorso l’incremento dei prezzi si era fermato all’1,9 per cento, mentre nei primi otto mesi del 2022 siamo già all’8,4 per cento, il dato peggiore dal 1986. Nell’autunno della crisi energetica, insieme ai prezzi aumenta anche la disuguaglianza, il divario tra ricchi e poveri in un’Italia sempre più spaccata in due.