Diritti negati
I favori del governo Meloni a Erdogan sul caso di Devrim Akcadag, il giornalista curdo arrestato in Italia
Il sottosegretario all’interno ammette l'intervento dell'esecutivo per la richiesta di estradizione della Turchia dell'uomo accusato di essere vicino al Pkk. Accuse archiviate per tre volte in Germania. E ora anche la procura generale smonta la tesi di Ankara: «Prove molto vaghe e confuse»
«In data 7 agosto 2023, anche nelle more dei complessivi accertamenti da svolgere in ordine alla vicenda in questione, a mezzo della preposta articolazione, il Ministero della Giustizia ha chiesto alla corte di appello il mantenimento della misura cautelare in atto». E ancora: «in data 7 settembre 2023, poi, è stata inoltrata alla competente procura generale la domanda di estradizione, con relativa documentazione, fatta pervenire dalle autorità turche». Così il sottosegretario all’interno, l’avvocato Emanuele Prisco, rispondendo venerdì scorso a una interrogazione parlamentare presentata dai deputati Angelo Bonelli e Luana Zanella, ha riconosciuto il ruolo di primo piano avuto dal governo italiano nell’aver favorito l’arresto del giornalista curdo tedesco, Devrim Akcadag.
Dopo l’inchiesta de L’Espresso, il ministero degli affari Esteri e quello della Giustizia si erano entrambi celati dietro un rigoroso silenzio, quando, in particolare a Carlo Nordio, L'Espresso aveva chiesto se avrebbe rifiutato «l’estradizione tenendo conto della gravità del fatto, della rilevanza degli interessi lesi dal reato e delle condizioni personali dell’interessato». E anche quando L'Espresso aveva chiesto conto del perché l’Italia dava seguito ad un procedimento richiesto da uno stato extraeuropeo nei confronti di un cittadino europeo già assolto per ben tre volte per gli stessi fatti in uno stato membro, la Germania, non era stata fornita alcuna risposta da via Arenula.
Ma la novità è che la procura generale della Repubblica regionale ha chiesto alla Corte d'Appello di Sassari che sia rigettata la richiesta di estradizione. L’avvocata generale dello Stato, Maria Gabriella Pintus, infatti, nel suo pronunciamento, ha espresso parere sfavorevole all’estradizione sottolineando che «deve rilevarsi che in Turchia sussistono condizioni generali di violazione dei diritti fondamentali della persona e del giusto processo con rischio di trattamenti degradanti nelle carceri». Non solo. Pintus, nelle carte giudiziarie di cui siamo in possesso, parla di elementi di prova molto vaghi e confusi, ed evidenzia anche che «sulla base della documentazione allegata dalla difesa deve infatti ragionevolmente ritenersi che l'accoglimento della richiesta di estradizione possa preludere alla violazione dei diritti fondamentali della persona».
«Stupisce che il ministero, che pure a pieno titolo partecipa al procedimento estradizionale sin dal primo momento, non solo ha inizialmente confermato la misura cautelare ma non ha mai risposto alla richiesta difensiva di ordinare la immediata scarcerazione all’autorità giudiziaria, che almeno in un secondo momento è stata capace di cogliere i profili critici della richiesta estradizionale turca», dice a l’Espresso l’avvocato del cronista curdo tedesco Devrim Akcadag, Nicola Canestrini.
Da parte sua, il governo Meloni, attraverso il rappresentante del Viminale Emanuele Prisco, ha ammesso dunque il ruolo decisivo avuto nella vicenda dall’esecutivo; affermando di aver richiesto alla procura generale di Berlino di indicare se le autorità tedesche avessero intenzione di emettere per i fatti in questione un mandato di arresto europeo. Tuttavia, nella risposta fornita ai parlamentari Prisco omette un particolare importante. Dice infatti che «le autorità tedesche hanno già esaminato le accuse alla base della medesima segnalazione dell'Interpol nel 2015, astenendosi dall'avviare un procedimento preliminare e non dando seguito alla richiesta di arrestare il soggetto a causa della cittadinanza tedesca del medesimo». Ma la verità è un’altra: è che in Germania le indagini per terrorismo richieste da Ankara a Berlino sono state archiviate per ben tre volte, perché non è stato accertato che l’uomo avesse legami con il Pkk o che fosse stato inviato in Europa dall’organizzazione, come ha riconosciuto nell’ultima sentenza di archiviazione proprio il procuratore capo di Berlino.
Di più: ancora l’esponente del governo Meloni ha detto in aula che l’Unione Europea considera il PKK alla stregua di una organizzazione terroristica e sottoposta come tale a sanzioni nel quadro del regime creato per combattere il terrorismo. «Un regime che è stato rinnovato, da ultimo, nel luglio del 2023», ha rivelato Prisco. Appena qualche settimana prima dell’arresto di Devrim.