Economia
La guerra fa bene ai conti di Leonardo
Il conflitto in Ucraina prima e quello sullo Striscia di Gaza poi fanno volare le azioni del colosso degli armamenti. Mentre la nomina dell'ambasciatore Stefano Pontecorvo alla presidenza la dice lunga sulla tendenza al riarmo. E anche in Europa si lavora a un progetto per intensificare la difesa coinvolgendo Oto Melara, il branch più militarizzato della società
L'indicazione degli analisti è Buy, Comprare. A Piazza Affari il titolo dell’italiana Leonardo valeva 12,94 euro venerdì 6 ottobre, il giorno della quiete, prima che una tempesta di cinquemila razzi piovesse su Israele e i proiettili di Hamas interrompessero le danze all’alba dei giovani a Sderot. La risposta di Israele non si è fatta attendere, mentre il mondo si muove verso un conflitto israelo-palestinese che rischia di travolgere il Medio Oriente. Quindi l’aspettativa dei mercati è che gli affari per Leonardo non possano che migliorare: ecco perché alla riapertura della Borsa il titolo ha cominciato a volare. Il decollo azionario è cominciato venti mesi fa, quando i carri armati russi hanno invaso l'Ucraina.
Il 23 febbraio 2022 Leonardo valeva 6,4 euro, due giorni dopo 9 euro, il 6 ottobre ‘23 viaggiava a 12,94 euro, il 102 per cento in più, il 12 ottobre ha registrato un balzo del 123,5 per cento a 14,31 euro. È la guerra e la corsa agli armamenti a far crescere le aspettative degli azionisti, anche se non tutti se ne sono accorti: mentre le prime pagine dei giornali raccontavano l’orrore in Palestina, nella sezione economia si ipotizza che l’apprezzamento per Leonardo, società partecipata dal ministero dell’Economia al 30 per cento e che si occupa per lo più di difesa militare, fosse da imputare alla futura svolta societaria verso intelligenza artificiale e cybersecurity.
Racconta Mauro Meggiolaro di Shareholders for Change che il militare rappresentava il 49 per cento del fatturato di Leonardo nel 2013, cinque anni dopo era al 68 per cento e oggi il militare pesa per l’83 per cento. Lo stesso amministratore delegato e direttore generale di Leonardo, Roberto Cingolani è convinto che «in futuro la guerra si farà con i byte più che con i proiettili», ma nel frattempo una task force al lavoro 24 ore su 24 sta progettando un nuovo sistema di difesa dedicato all’Europa, confermando che per ora la guerra si continua a fare con i “bullet”: «La situazione geopolitica europea è in drammatico mutamento, al punto che i piani di cinque anni fa sono ampiamente superati. Stiamo lavorando con società tedesche per disegnare un più forte programma di difesa dello spazio europeo. Non posso essere più esplicito, ma a inizio 2024 la direzione risulterà chiara», e poco dopo precisa che in questo piano di difesa «avrà certamente un ruolo Oto Melara», ovvero uno fra i rami più militarizzati di Leonardo, specializzato in cannoni, munizioni, blindati, mezzi militari. Questo progetto fa il paio con il Main Ground Combat System per lo sviluppo di un nuovo carro armato dove i tedeschi hanno teso la mano agli italiani di Leonardo.
Di sicuro le parole di Cingolani sono una poco rassicurante novità per quella che è stata a lungo la tranquilla Europa. Il pericolo potrebbe venire dalla Russia o dal Medio Oriente, dove nei giorni scorsi decine di migliaia di manifestanti si sono radunati nelle piazze in sostengo ai palestinesi. A Baghdad gli iracheni hanno sventolato bandiere palestinesi, bruciato quella di Israele e cantato slogan anti americani. Mentre in Iran cittadini vestiti di un sudario bianco manifestavano la propria disponibilità a combattere fino alla morte per la Palestina. In questo clima di altissima tensione, l’assenza di diplomazia internazionale spinge i paesi a trovare conforto nella corsa agli armamenti: perché se è questa la piega che sta prendendo la storia, allora è meglio farsi trovare preparati.
Cinicamente, si può quindi festeggiare per i risultati della semestrale di Leonardo, che snocciola risultati record, su tutti i 40 miliardi di ordini ancora inevasi e in attesa di essere soddisfatti, con una crescita del 21,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022. A fare la parte del leone è soprattutto la Difesa, declinata in forma di elicotteri inviati massicciamente in Polonia, Austria, alla Royal Air Force inglese e agli Stati Uniti, ma anche di sensori di ultima generazione per gli aerei della Raf, motori elettrici per sottomarini e elettronica per la Difesa, una svolta militare favorita anche dall’esperienza maturata da Lorenzo Mariani, condirettore di Leonardo, ai vertici della controllata Mbda, principale consorzio europeo per la produzione di missili. Orientativamente la previsione è chiudere il 2023 a 17 miliardi di nuovi ordini, mentre i ricavi potrebbero aggirarsi attorno ai 15,6 miliardi di euro. Le commesse provengono da aree del mondo in passato poco esplorate, come Tailandia, Indonesia, Vietnam, Turkmenistan, India per merito di un presidente, Stefano Pontecorvo, nominato ad aprile che, a differenza dei predecessori - pochissimo esperti del mondo e quindi poco autorevoli presso i governi stranieri -, è stato un ambasciatore di altissimo profilo, con ruoli diplomatici in Pakistan, Londra, nell’Africa sub-sahariana, Mosca, Bruxelles e ha coordinato per la Nato l'evacuazione dell’aeroporto di Kabul. Ora il suo compito è portare Leonardo all'attenzione dei paesi stranieri.
E ci sta riuscendo, per esempio, in Arabia Saudita dove c’è grande attenzione per i progetti di Leonardo. In particolare l’Arabia Saudita è interessata a salire a bordo del Global Combat Air Program, il programma di Regno Unito, Italia e Giappone per lo sviluppo di un aereo da combattimento di sesta generazione, che coinvolge l'inglese Bae System, Leonardo e Mitsubishi Heavy Industries. La scelta di Pontecorvo da parte di Giorgia Meloni, molto attenta alle relazioni diplomatiche, è una precisa indicazione di quale sia la direzione che la storia sta prendendo, ovvero il riarmo. Se Pontecorvo fosse finito al ministero degli Esteri sarebbe stata lampante una svolta verso la mediazione internazionale, che in questo momento non c’è in Italia, né altrove. Invece l’indicazione data a Pontecorvo è quella di portare Leonardo nel mondo e proseguire quel ruolo di partner fondamentale per lo sviluppo delle armi del futuro, dai carri armati, agli aerei da combattimento, fino ai sottomarini classe Columbia, che Leonardo sta contribuendo a costruire per la Us Navy.
Del resto, sono tutti programmi con sbocchi commerciali interessanti, se pensiamo al piano di aumento della spesa militare al due per cento del Pil che tocca l’Italia, così come la Germania, paese che prevede un programma da 405 miliardi di euro di nuovi armamenti. Quindi non sorprende che mentre la borsa mondiale perde il 20 per cento di valore, i produttori di armi registrano una crescita di capitalizzazione del 15 per cento.
Uno studio realizzato da Greenpeace Italia, visionato in esclusiva da L’Espresso, sostiene che le prime dieci aziende italiane esportatrici di armi tra il 2021 e il 2022 hanno beneficiato di un aumento del 68 per cento dei profitti, specificando che: «Gli effetti della guerra su ricavi e i profitti inizieranno a vedersi nel bilancio 2023 perché le armi, a differenza di gas e petrolio, non sono vendute in tempo reale su mercati internazionali a negoziazione continua e prezzi trasparenti», c'è scritto nel report. Sofia Basso di Greenpeace commenta: «Il governo ha deciso di tassare gli extra profitti delle aziende fossili e Greenpeace chiede quindi che siano tassati anche gli extraprofitti delle aziende della difesa, perché nessuno possa beneficiare delle stragi di civili e di militari. La corsa al riarmo va fermata». Sulla stessa linea Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza Etica: «È un errore sostenere l’economia del riarmo, soprattutto in un paese che ripudia la guerra per Costituzione. È vero che Pil e mercati stanno premiando le industrie delle armi, ma se queste non diversificano la produzione fra militare e l’ormai residuale civile, possono trovarsi fuori dal mercato non appena le tensioni internazionali si raffredderanno. Sviluppare tecnologie, linee produttive e organizzazione commerciale per nuovi settori produttivi richiede molto tempo, molti capitali e molto coraggio».