Inchiesta
Per la Romania, l'Italia ormai è "il paradiso dei criminali"
Decine di colletti bianchi condannati a Bucarest vivono nel nostro Paese e riescono a non essere estradati "grazie" alle pessime condizioni del loro sistema carcerario e ad altri cavilli, ottenendo inoltre pene alternative alla detenzione (non previste in Romania). In quattro anni negate 70 estradizioni
L’ultimo caso famoso è quello di Ionel Arsene. Il politico romeno, ex presidente della Provincia di Neamt, è stato condannato in patria a 6 anni e 8 mesi per corruzione. La sentenza della Corte d’Appello romena è del 10 marzo 2023, ma quando i giudici l’hanno letta Arsene non era più in Romania. È riapparso tre settimane dopo a Bari, consegnandosi alla polizia del capoluogo pugliese e chiedendo al tribunale locale di non essere consegnato alle autorità di Bucarest. Alla fine di un lungo iter giudiziario, a inizio novembre la Corte di Cassazione italiana ha deciso di rispedire Ionel in patria, ma quello del dirigente del partito socialdemocratico (Psd) è solo uno dei tanti esempi di politici e imprenditori romeni che, condannati in Romania, si rifugiano in Italia nella speranza di non essere estradati. E spesso ci riescono, evitando di finire in carcere e facendo così infuriare i propri concittadini.
Sebbene sia poco conosciuto da noi, il fenomeno è molto presente nel dibattito pubblico in Romania. “Italia paradiso dei criminali romeni”, è il titolo scelto dall’edizione locale del settimanale americano Newsweek, in una serie di articoli dedicati al tema. L’ex ministro della Giustizia, Stelian Ion, ha recentemente dichiarato che il suo Paese dovrebbe rivolgersi alla Corte di giustizia europea per risolvere la questione. Sprezzante il giudizio della nota giornalista romena Ioana Ene Dogioiu: «Italia e Grecia sono diventate le mete preferite dei criminali, non solo romeni, perché essendo profondamente corrotte, come la maggior parte del fianco sud dell’Europa, possono fornire vie di fuga».
Per capire le dimensioni del fenomeno, abbiamo chiesto i dati all’ambasciata della Romania in Italia. Le statistiche più recenti, relative al 2021, mostrano che quell’anno sono stati 158 i mandati d’arresto europei inviati da Bucarest a Roma, ma in 22 casi il nostro governo ha rifiutato la consegna. Le proporzioni sono simili anche per il 2018, 2019 e 2020. In totale, in questi quattro anni l’Italia si è rifiutata di consegnare alla Romania 70 persone, su un totale di 810 richieste.
Tra coloro che sono riusciti a evitare di finire in una prigione romena ci sono alcuni personaggi famosi. Alina Bica, ad esempio, è l’ex capa della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo. Condannata a novembre del 2019 dalla Corte di Cassazione romena a 4 anni per il reato di favoreggiamento personale continuato nei confronti di un imprenditore, Bica si è trasferita in Puglia circa un anno prima della sentenza definitiva, si è consegnata alle autorità italiane e ha raggiunto il suo obiettivo. A novembre del 2020, la Corte d’Appello di Bari ha negato l’estradizione e ordinato l’esecuzione della pena in Italia.
Giorni di carcere effettivamente scontati nel nostro Paese? Pochissimi, conferma il suo avvocato, Cristian Di Giusto, che oltre a lei ha difeso diversi altri condannati romeni. In Italia, Bica ha trascorso in carcere «alcuni giorni al momento dell’arresto in esecuzione del mandato d’arresto europeo – spiega Di Giusto – dopodiché ha espiato un periodo di alcuni mesi in regime di arresti domiciliari e successivamente è stata rimessa in libertà fino all’attuale espiazione in regime alternativo», cioè l’affidamento in prova ai servizi sociali, con la possibilità di lavorare e con l’obbligo di non uscire di casa tra le 9 di sera e le 7 di mattina. «Nel febbraio del 2023 – precisa l’avvocato – il Tribunale di sorveglianza di Bari ha accolto la richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali per il residuo di pena pari a 3 anni e 9 mesi circa». Non male, considerando che in Romania Bica avrebbe quasi sicuramente trascorso 4 lunghi anni in prigione. Sì, perché un’altra differenza tra i due Paesi consiste nel fatto che in Romania le condanne si scontano quasi sempre dietro le sbarre, anche per pene brevi, mentre in Italia per quelle inferiori a 4 anni non si finisce quasi mai al fresco, ma si beneficia solitamente delle cosiddette misure alternative come, appunto, l’affidamento in prova ai servizi sociali.
Ma qual è stata la motivazione giuridica con cui la Corte d’Appello di Bari ha negato l’estradizione di Alina Bica e ordinato l’esecuzione della pena in Italia? È la legge 69 del 2005, modificata dal decreto legislativo 10 entrato in vigore il 20 febbraio 2021. Secondo la norma, i tribunali italiani possono rifiutare la consegna di chi «legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano».
Per la stessa ragione ha evitato di finire in una prigione romena un altro condannato eccellente: Dragos Savulescu, imprenditore ed ex azionista di maggioranza della Dinamo Bucarest (tra i club calcistici più titolati del Paese), nonché marito della ex Miss Universo Albania, Angela Martini. Il 7 febbraio del 2019 Savulescu è stato condannato in Cassazione a 5 anni e 6 mesi per associazione a delinquere e abuso d’ufficio per una frode commessa dal 2002 al 2014. Consegnatosi alle autorità italiane il 13 gennaio del 2020, dopo che la Romania aveva spiccato nei suoi confronti un mandato d’arresto europeo, è riuscito nel suo intento: nel settembre dello stesso anno la Corte d’Appello di Napoli si è infatti rifiutata di consegnarlo alla Romania e gli ha concesso di scontare la pena in Italia. Nella sentenza, i giudici di Napoli hanno ricordato che Savulescu è «presente almeno dal maggio 2018» nel nostro Paese, dove ha aperto diverse società, possiede un immobile e vive con la moglie. Motivando la decisione, i giudici italiani hanno scritto che in questo modo il condannato «sarà maggiormente vicino ai suoi affetti e ai suoi interessi», inoltre «potrà vivere l’esperienza detentiva come un momento di maturazione della consapevolezza del disvalore dei fatti commessi, piuttosto che come un momento di aspra punizione scontata molto lontano dal suo contesto familiare». Va ricordato che, come prevede la nostra Costituzione, in Italia la pena deve avere funzione rieducativa, non punitiva. Argomento su cui fanno ovviamente forza gli avvocati di molti condannati in cerca di riparo in Italia. Di contro, è comprensibile l’indignazione di molti romeni che vedono su Instagram le foto di Savulescu sorridente in barca, in aereo, intento a fare shopping a Milano, a passeggiare per le vie di Saint Moritz, a prendere il sole in Grecia assieme a Eros Ramazzotti. Istantanee di un uomo che, in effetti, sembra tutto fuorché un condannato per una frode milionaria.
La motivazione più frequente con cui i tribunali nostrani si oppongono alle richieste di estradizione di Bucarest non è però quella del radicamento sul territorio italiano: riguarda invece la situazione in cui versano le carceri. Per questa ragione sono riusciti a evitare di essere consegnati alla Romania, tra gli altri, personaggi di spicco come Marian Zlotea, ex parlamentare e capo dell’autorità sanitaria (8 anni e 6 mesi per corruzione di pubblico ufficiale, associazione a delinquere e concussione), e Daniel Dragomir, già ufficiale dei servizi segreti (3 anni e 10 mesi per traffico d’influenze). Nella sentenza su Dragomir, ad esempio, il 6 ottobre del 2022 la Corte d’Appello di Bari ha rifiutato l’estradizione per «seri e concreti rischi di un trattamento carcerario contrario all’articolo 3 della Cedu», la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. «In Romania gli istituti penitenziari sono pessimi e mancano le risorse per poter affrontare ogni genere di problema strutturale», riassume l’avvocato Di Giusto, che tra gli altri ha difeso anche Dragomir.
Le ricerche che definiscono «inaccettabili» le condizioni di detenzione nelle carceri romene abbondano. Nell’ultimo rapporto del Consiglio d’Europa, pubblicato nell’aprile del 2022, si legge ad esempio che «il sovraffollamento carcerario continua a costituire un grave problema»: le celle vengono descritte come «fatiscenti e prive di mobilio», in alcuni casi per i detenuti è stato riscontrato «uno spazio vitale di 2 metri quadrati», con «materassi e lenzuola consunti e infestati dalle cimici». Va detto che l’Italia non può certo vantarsi delle sue prigioni. L’ultimo rapporto dell’associazione Antigone, del giugno 2023, calcola che all’interno dell’Ue solo Cipro e Romania hanno tassi di sovraffollamento maggiori del nostro. Inoltre, in metà delle carceri italiane non c’è l’acqua calda, in alcuni casi non funzionano i caloriferi e talvolta i detenuti non hanno nemmeno a disposizione i 3 metri quadrati calpestabili (tra i requisiti minimi previsti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo).
La Romania è dunque messa peggio di noi, ma anche l’Italia non sempre riesce a garantire ai carcerati delle condizioni di vita dignitose. Perché allora tanti cittadini romeni cercano di scontare in Italia, più che in altri Paesi Ue, pene inflitte dalla Romania? Oltre alla condizione delle prigioni, spiega l’avvocato Di Giusto, «la legge rumena non prevede la possibilità, se non in rarissimi casi, di poter accedere a misure alternative alla carcerazione. Non esiste neppure la liberazione anticipata, dunque l’ordinamento penitenziario italiano offre qualche possibilità in più qualora venga intrapreso un effettivo percorso rieducativo da parte del condannato. In Romania, invece, non vi è alcun genere di vantaggio neppure per un detenuto che si comporti in maniera irreprensibile». Aggiungiamo a questo il fatto che in Italia vive una grande comunità romena, che rispetto ad altri Paesi Ue il clima è mite e i costi della vita (e degli avvocati) sono relativamente bassi, ed ecco spiegate le ragioni per cui il nostro Paese, visto da Bucarest, può apparire effettivamente come un paradiso. Sempre che l’imputato abbia i soldi per pagarsi il viaggio, un bravo avvocato e una casa. E non è da tutti: secondo le statistiche dell’Unione europea, lo stipendio medio in Italia è infatti quasi il triplo di quello che si percepisce in Romania.
*Inchiesta realizzata grazie al contributo di Journalismfund Europe