Finanza Green

Quanto inquina il fondo per il clima italiano

di Gloria Riva   6 novembre 2023

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Coral South di Eni in Mozambico

Doveva nascere per sostenere la transizione verde africana. Invece servirà a finanziare il piano Mattei, ovvero progetti vicini ad Eni che, soprattutto in Mozambico, lavora in aree devastate dalle guerre scatenate dalle risorse del sottosuolo

L'intento è nobile. Destinare i 4,2 miliardi del Fondo Italiano per il Clima ai Paesi in via di sviluppo, sostenendo il loro processo di transizione ecologica. L’idea di istituire un siffatto fondo non è venuta a questo governo, neppure a quello precedente, men che meno a quelli che sono venuti prima. Il Green Climate Fund è invece figlio dell’accordo di Glasgow in cui le Nazioni Unite si sono impegnate a mobilitare 100 miliardi di euro per affrontare i cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo. In teoria, tutti i Paesi che hanno firmato quell’accordo dovrebbero aver già creato una task force per sostenere simili progetti. Il governo italiano, invece, sta cercando di svuotarlo, il fondo.

 

Il Green Climate Fund italiano ha visto la luce questa estate: Dario Scannapieco, ad di Cassa Depositi e Prestiti, ha nominato a capo del fondo un uomo di sua fiducia, Paolo Lombardo. I due hanno condiviso un lungo percorso professionale alla Banca Europea degli Investimenti, dove Lombardo si è occupato di Paesi emergenti e Africa dell’Est. Dunque, Lombardo sembra essere l’uomo giusto al posto giusto per la messa a terra dei 4,2 miliardi di finanziamenti (alcuni a garanzia, altri a fondo perduto) per l’Africa. Sempre che gli sia concesso di toccare palla. Perché in manovra di bilancio si è deciso di finanziare il Piano Mattei per l’Africa proprio con 200 milioni di euro l’anno, fino al 2026, pescando proprio dal Fondo per il Clima. Preoccupano le parole della premier Giorgia Meloni che, di questo stesso fondo, ha parlato nelle scorse settimane in Mozambico, un Paese martoriato dalla guerra, che insiste nella provincia di Cabo Delgado, territorio estremamente povero, ma con un terreno estremamente ricco di gas e petrolio – risorse sfruttate da Eni, con il suo progetto di estrazione Coral South, e dalla francese Total – ma che gli estremisti islamici rivendicano per sé. Meloni, accompagnata nel suo viaggio in Mozambico dal numero uno di Eni, Claudio Descalzi, ha annunciato che il Piano Mattei a sostegno dell’Africa sarà finanziato con i soldi del Fondo Italiano per il Clima, proprio come conferma la bozza della manovra di bilancio. Non l’hanno presa bene gli attivisti di Cabo Delgado, che temono un cortocircuito fra Fondo per il Clima, Piano Mattei, Eni ed estrazione di idrocarburi, come racconta a L’Espresso Daniel Ribeiro di Justica Ambiental: «Prima delle esplorazioni, l’area di Cabo Delgado era abitata per l’80 per cento da pescatori e agricoltori, che sono stati privati della loro terra e dell’accesso al mare. Il governo locale, preoccupato soprattutto di far correre i progetti di Total ed Eni, ha intensificato la presenza militare, affidandosi a mercenari provenienti da Russia e Sud Africa, che utilizzano la forza nei confronti della popolazione locale. I giovani, vessati dai militari, con bassi livelli di scolarizzazione, privati delle terre e di qualsiasi possibilità di lavoro, sono finiti fra le braccia della jihad. La situazione a Cabo Delgado è esplosiva e peggiora di giorno in giorno, con una scia di quattromila vittime, un milione di sfollati e una sempre più devastante insurrezione armata da parte degli integralisti. I ricavi governativi dalle esplorazioni sono una goccia nel mare, insufficienti a garantire progetti di sviluppo locale e il livello di indebitamento del Paese è diventato insostenibile».

 

La presenza delle compagnie petrolifere in Mozambico avrebbe innalzato i livelli di povertà e corruzione del Paese: «Per invertire la rotta è necessario porre un freno ai progetti di sfruttamento dei giacimenti», conclude Ribeiro che il 3 novembre è a Roma, invitato dalle associazioni Recommon, Focsiv e dai cattolici di Movimento Laudato Sì, per raccontare i rischi del Piano Mattei, che a parole serve a interrompere i rapporti non predatori. E Ribeiro potrebbe non avere tutti i torti, se anche Asvis (Associazione per lo Sviluppo Sostenibile), nel suo rapporto 2023 da poco pubblicato, denuncia che «non è ancora stato reso pubblico il piano industriale per gli investimenti del Fondo Italiano Clima, uno strumento che deve porre l’Italia tra i protagonisti del finanziamento delle operazioni di mitigazione e adattamento nei Paesi in via di sviluppo, come chiesto dai risultati delle Cop sul cambiamento climatico. Parallelamente, l’impegno italiano sottoscritto a Glasgow di non finanziare più con risorse pubbliche l’estrazione di idrocarburi è eluso: la Cassa Depositi e Prestiti, che gestisce il Fondo, sta infatti continuando a finanziare investimenti italiani all’estero per lo sfruttamento degli idrocarburi, il che riduce la credibilità politica dell’Italia nella comunità internazionale e risulta contraddittorio rispetto agli impegni di attuazione dell’Agenda 2030, ribaditi anche nel G7 a guida giapponese».

 

Posticipare i traguardi nella lotta al cambiamento climatico è una figuraccia internazionale e un boomerang per le aziende. Come dimostrano i mancati obiettivi di Enel, società a partecipazione pubblica, che a fine anno dovrà sborsare un’extra cedola ai suoi investitori. Scrive l’analista Josephine Richardson che «le decisioni politiche del governo hanno impedito a Enel di ridurre i propri asset di carbone, ostacolando la possibilità di raggiungere l’obiettivo previsto dai titoli di investimento green». Morale, il mancato raggiungimento degli obiettivi costerà a Enel 27 milioni di dollari di extra cedola a favore degli investitori del Sustainability Linked Bond: «È l’extra cedola più alta mai pagata nella storia». In passato, solo in due casi si era verificato un mancato raggiungimento degli obiettivi. A pagare sarà Enel, per colpe di un governo poco consapevole del sempre più stretto legame fra finanza e sostenibilità.

 

I bond di Enel sono dei Sustainability Linked Bond, Slb, ovvero titoli di debito, il cui rendimento finanziario dipende da obiettivi di sostenibilità che la società, o lo stato che li emette, definisce al momento dell’emissione e determina il prezzo minore o maggiore pagato a questi ultimi in base ai risultati ottenuti. Il primo Slb è stato emesso nel 2019 dal Cile, che ha legato le sue emissioni di debito pubblico alla sostenibilità e alla produzione di energia da fonte rinnovabile. Da allora il Cile ha raccolto miliardi con questo strumento, che ha ottenuto un rating A- dall’agenzia Fitch, e piace agli investitori istituzionali, al punto che BlackRock stima in tre trilioni l’anno il volume degli investimenti green finanziabili. Ora anche Gabon, Rwanda e Uruguay si muovono sulla stessa strada. Altri Paesi, come Tailandia, Mongolia e Maldive stanno facendo un passo ulteriore: «I governi stanno lavorando alla creazione di linee guida per le proprie imprese, in particolare per le quotate, per valutarne il livello di sostenibilità», spiega Filippo Addarii, fondatore di PlusValue, gruppo di ricerca e consulenza basato a Milano e Londra che, per le Maldive, sta elaborando un framework utile a imporre alle società quotate (e a chiunque vorrà investire nel paradiso del turismo) di operare nei limiti della sostenibilità. L’autorità per lo sviluppo dei mercati finanziari delle Maldive, insieme al programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, ha affidato all’italiana PlusValue il protocollo di rendicontazione di sostenibilità per le società quotate alle Maldive. «In concreto è il primo strumento di policy del Paese per allineare gli investimenti privati alla transizione climatica e a uno sviluppo sostenibile, specialmente nel turismo. Questo avviene perché il governo delle Maldive è tra i primi Paesi ad aver compreso il potenziale della finanza internazionale se indirizzata allo sviluppo sostenibile», dice Addarii, che tende una mano al governo italiano: «Il laboratorio per la sostenibilità delle Maldive è un’opportunità per l’Italia, che ha lanciato il Fondo per il Clima, da usare in Africa e Medio Oriente». Tuttavia, dalla riduzione dello stanziamento, alla commistione con il Piano Mattei: pare che il governo abbia in mente di seguire altre logiche, più tradizionali, per spendere quel denaro.