La cartina di tornasole della salute mentale in Italia sono le 395.604 richieste di contributo al bonus psicologo fioccate sul sistema informatico dell’Inps lo scorso autunno. In palio c’erano una cinquantina di euro per al massimo dodici sedute, pochi spiccioli per cui gli italiani hanno sgomitato. Alla fine solo una domanda ogni dieci è stata accolta - 41.657 per la precisione - e i fondi sono stati stanziati non in base alla gravità del disagio (era sufficiente un’auto-psicodiagnosi di malessere post covid per partecipare alla lotteria del bonus), ma secondo la ricchezza del richiedente. E terminate le dodici sedute? Il governo ha rifinanziato la misura con cinque milioni per quest’anno e altri otto per il 2024. Spiccioli rispetto ai 25 milioni messi sul piatto nel 2022. In estrema sintesi, da quest’anno chi ha un disagio - e non può permettersi uno psicologo privato - dovrà contattare il centro di Salute Mentale della propria zona e sperare che qualcuno disdica all’improvviso una visita, per essere ricevuti e ascoltati da un medico specialista. Più di tutto, serve tanta fortuna per essere presi in carico dall’Ssn, il Servizio Sanitario Nazionale.
Circa la metà delle segnalazioni pervenute al Tribunale per i diritti del Malato a gennaio riguarda proprio il deserto sanitario della cura mentale. Qualche esempio: il centro unico prenotazione del Molise ha risposto a una madre, disperata per il grave disturbo mentale del figlio, che la prima data utile sarebbe stata fra dodici mesi. È andata a finire che la famiglia sta pagando 90 euro a seduta, tre la settimana, nello studio di un medico privato. In Emilia Romagna, un bambino con una diagnosi di alterazione globale dello sviluppo psicologico non è stato preso in carico dall’Ssn perché non c’erano centri di neuropsichiatria infantile disponibili ad accoglierlo: anche in questo caso la famiglia si è sobbarcata l'intero costo delle cure. In Liguria, i cittadini e le associazioni dei famigliari di persone psichiatriche stanno raccogliendo le firme per chiedere alla Regione di consentire anche ai medici che stanno ancora studiando per diventare psichiatri e a quelli in pensione di essere arruolati nelle aziende sanitarie del territorio, che sono talmente sguarnite da avere una media di otto camici bianchi, anziché i 26 necessari per coprire i bisogni minimi locali.
I più colpiti dal disagio mentale sono i bambini e gli adolescenti: «Da alcuni anni gli esperti registrano un trend in crescita, ma la pandemia ha impresso una forte accelerazione al fenomeno», spiega Alberto Zanobini, presidente dell'associazione ospedali pediatrici italiani, Aopi, che spiega come nel suo ospedale pediatrico, il Meyer di Firenze, «nel 2018 gli accessi al pronto soccorso per problemi psichici sono stati 226, mentre nel 2022 sono saliti a 624 casi. Nell’arco di soli quattro anni l'incidenza è triplicata. Il problema più frequente è quello dei disturbi alimentari, in crescita anche i casi di autolesionismo e i sintomi ansiosi. Occorre un’attenzione speciale da parte delle istituzioni al problema della salute mentale», ritiene il medico. In base a un’indagine di Aopi solo un paziente pediatrico su cinque riesce a essere ricoverato in un reparto di neuropsichiatria e quattro su cinque vengono ospitati in reparti non appropriati, di cui uno addirittura nella psichiatria per adulti.
Ma è l’intero settore delle cure mentali ad attraversare un momento di grave criticità: «A fronte dell’aumento del disagio mentale, in particolare fra gli adolescenti, è nostro dovere etico dirvi che i Dipartimenti di Salute Mentale erogano con estrema difficoltà le prestazioni minime che dovrebbero essere garantite dai livelli essenziali di assistenza e operano in condizioni drammatiche», questo hanno scritto i 91 direttori sanitari dei dipartimenti di salute mentale di tutta Italia alle massime cariche dello Stato, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la premier Giorgia Meloni, il ministro della Salute Orazio Schillaci, i presidenti di Camera e Senato, in una lettera che suona come un campanello d'allarme. In Italia si sta sottovalutando la marea di quattro milioni di italiani con un disagio mentale, che solo in minima parte è assistita dal pubblico, visto che le Asl hanno in carico poco più di 800mila pazienti.
Secondo i dati del ministero della Salute, in media ogni giorno 1.313 persone si rivolgono al pronto soccorso per patologie psichiatriche, «ma l’85,4 per cento non viene ricoverato», spiega Massimo Cozza, direttore del dipartimento Salute Mentale dell’Asl Roma 2, che continua: «Probabilmente, con un’adeguata rete pubblica di salute mentale le persone con disturbi psichiatrici potrebbero avere le giuste risposte senza dover andare al Pronto Soccorso dove, per altro, al di là del ricovero, si può fare solo una visita psichiatrica con un'eventuale prescrizione farmacologica, quando invece servirebbe un approccio globale, psichico e sociale, che può essere realizzato esclusivamente con una salute mentale comunitaria basata sulla relazione tra operatore - psichiatra, psicologo, educatore, terapista, assistente sociale - e paziente». In mancanza di personale medico e infermieristico, i medici di base e gli specialisti fanno sempre più ricorso ai farmaci: secondo gli ultimi dati diffusi dal ministero della Salute, i pazienti trattati con antipsicotici erano 14 ogni mille abitanti nel 2015, oggi sono 20 ogni mille abitanti; quelli curati con antidepressivi erano 124, saliti a 126,5 ogni mille abitanti. Per chi se lo può permettere, l’alternativa ai farmaci è ricorrere a cure private, tant’è che i dati della cassa previdenziale degli psicologi raccontano come il reddito medio dei professionisti per le visite private è cresciuto del 27 per cento tra il 2020 e il 2021, mentre «le prestazioni psicologiche private hanno raggiunto il valore record di 1,7 miliardi di euro, in aumento del 25 per cento rispetto all'anno precedente», dice il report dell’Enpap, l’Ente nazionale di previdenza degli psicologi.
Si arricchiscono gli psicologi, a scapito dei dipartimenti statali: «La rete pubblica dei dipartimenti di Salute Mentale, sempre più sfilacciata, ha bisogno di un rilancio dei percorsi psicologico-psicoterapeutici per realizzare una salute mentale comunitaria in grado di dare risposte ai bisogni dei cittadini. Chiediamo risorse per i servizi pubblici, consentendo alle Regioni di attuare fin dal 2023 un piano di assunzioni straordinario, secondo gli standard per l’assistenza territoriale definiti a fine 2022 proprio da Agenas», scrivono i dirigenti delle Asl al governo. Si tratta di destinare ai dipartimenti di Salute Mentale due miliardi di euro per raggiungere l’obiettivo minimo del cinque per cento del fondo sanitario, così come richiamato dalla recente sentenza della Corte Costituzionale, la 22 del 2022. Oggi la rete della salute mentale riceve il 2,75 per cento dei fondi della sanità pubblica, ma la Corte Costituzionale ha richiamato lo Stato a rifinanziare il servizio per evitare che la carenza di cure nelle fasi iniziali della patologia possa sfociare in esiti dannosi per l’intera comunità.
«La nostra lettera non ha ricevuto alcuna risposta dal governo», dice lo psichiatra romano Massimo Cozza, che aggiunge: «Pensare di affrontare il disagio mentale con la politica del bonus psicologo è un’assurdità ed è controproducente, perché grazie al bonus oggi ci troviamo con molte persone che hanno avviato una terapia e non potendo permettersi altre sedute, l’hanno dovuta interrompere». Il Ssn conta 30mila operatori fra medici, infermieri, educatori e assistenti sociali, all’appello ne mancano 10mila per consentire ai dipartimenti territoriali di funzionare a dovere. Per assumerli è necessario spendere due miliardi nel prossimo triennio: si tratta di parecchi quattrini, considerato che l’intera spesa sanitaria nazionale si attesta attorno ai 20 miliardi di euro, ma non sono poi così tanti se si considera che l’Ocse, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, stima nel quattro per cento del Pil il costo totale della scarsa salute mentale, tenendo conto della riduzione della produttività e dell’aumento delle assenze sul lavoro, oltre all'incremento di spese sociali e di costi diretti per il sistema sanitario dove, alla fine, ricadono i casi più gravi di chi non è riuscito ad affrontare il malessere in stadio embrionale.